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Rosario Giuliani Quartet in concerto alla Casa del Jazz

Il titolo del disco e quelli delle tracce, spiega Giuliani, descrivono perfettamente la natura di questo progetto

“Summertime 2016”, per la rassegna  di concerti all’aperto nel parco della Casa del Jazz, lunedì 18 luglio, Parco della Musica Records presenta: ROSARIO GIULIANI QUARTET in concerto, in “The Hidden Side”, il nuovo disco del sassofonista Rosario Giuliani, accompagnato da un inedito trio formato dal batterista Fabrizio Sferra, storico compagno di tanti progetti precedenti e due giovani musicisti come Alessandro Lanzoni al pianoforte e Luca Fattorini al contrabbasso. Al trio si aggiungono due ospiti: Paolo Damiani al violoncello e Marcella Carboni all’arpa.

"Il titolo del disco e quelli delle tracce, spiega Giuliani, descrivono perfettamente la natura di questo progetto, differente da ogni altro mio lavoro precedente. La sua essenza è nella ricerca di un rapporto nuovo con la musica, l'esplorazione di una zona nascosta e sconosciuta di essa e quindi allo stesso tempo di una parte nascosta e sconosciuta di me. Per fare questo mi sono preso dei rischi, concependo alcuni brani senza forma, strutture armoniche e ritmiche precise. E l'ho potuto fare grazie alla grande apertura mentale e disponibilità dei musicisti che ho scelto che si sono immedesimati e hanno contribuito alla realizzazione di questo disco."

A sfogliare le pagine di un dizionario, la voce “nascosto” non regala particolari emozioni, o sorprese, o significati (appunto) appartati, solitari, desueti. Il senso, però, che al termine vuol attribuire Rosario Giuliani con questo suo nuovo, emozionante, lavoro, va al di là delle convenzioni, e delle attese. Perché la parte che viene sottratta alla vista, il lato oscuro al quale, lungo tutto l’arco del disco, il sassofonista allude, è qualcosa d’altro. Arriva, cioè, da un’epifania, dalla manifestazione di un nuovo orizzonte, dall’aprirsi, improvviso, di nuove prospettive.

Dallo sbocciare di pratiche della creazione, della visione, e dell’ascolto alle quali Giuliani si è avvicinato con la cautela di chi è abituato a soppesare ogni gesto, ma con la curiosità che rende grande un’artista, costringendolo quasi a una curiosità febbrile e spasmodica verso mondi e orizzonti lontani. L’epifania è la scoperta, elementare e semplice, di un’idea musicale appartata, fatta di ragionamenti ai quali il musicista pontino non era prossimo, ma dentro la quale si è proiettato senza schermi, o corazze. Partecipando a una registrazione di Paolo Damiani, si è materializzato l’incontro, l’epifania, appunto, con una musica diversa, che forse rappresentava la parte nascosta di quella che Giuliani aveva sempre frequentato e scritto.

Un impianto dentro il quale far muovere le idee, i suoni e i ritmi come pedine di un risiko dell’anima, in cui gli spazi non si occupano ma si controllano, in cui la strategia non è vincere, ma abbandonarsi al piacere del canto sospeso, del gesto accennato, dell’alea. Come conciliare, dunque, questa diversa prospettiva dentro un quadro di riferimento, emotivo prima che musicale, del tutto nuovo?

Come trovare i tratti comuni per identificare sia il percorso regolare che l’imprevista deviazione? Sta tutto qui il (gioco di) prestigio che Rosario Giuliani estrae dal cilindro: non un trucco, sia chiaro, e neanche un’illusione, quanto piuttosto la creazione ex novo di un sistema di significati debordante, affrontata senza pudore, cercando oltre le consuetudini la parte nascosta di qualcosa che si è sempre visto parzialmente, di cui non si è talvolta avuta la capacità di guardare oltre, o attraverso. Tradurre in musica una simile congerie di sensi non era facile.

Per farlo, Giuliani ha dapprima inventato un suono, una cubatura timbrica, un sostegno sonico capace di essere elastico e cedevole al tempo stesso: resiliente. La presenza del violoncello e dell’arpa, nelle mani, rispettivamente, di Paolo Damiani e Marcella Carboni, è solo un indizio; la prova del ragionamento è nella scelta della sezione ritmica, costruita con altrettanta geniale lungimiranza, e ottenuta alchemicamente contrapponendo il più immaginifico, icastico e visuale dei batteristi italiani, Fabrizio Sferra, al giovanissimo pianista Alessandro Lanzoni, dal timbro ossimoricamente brillante e pensoso, e all’eclettico Luca Fattorini al contrabbasso.

Sistemato il presupposto timbrico, Giuliani ha composto musiche che sorprenderanno l’abituale ascoltatore, abituato forse a un jazz più muscolare, energico e vibrante. Ragionando sugli spazi, il sassofonista ha esplorato un versante diverso e pieno di promesse, sperimentando forme e vuoti, lavorando su ritmi e armonie, così come sulla loro assenza. Un affresco emozionale, dentro il quale il rischio, il gioco, l’alea e la poesia abitano con le stesse credenziali.

Per un progetto così personale, quasi privato, Giuliani non si è limitato a comporre: ha anche immaginato una sorta di musica a programma. I titoli del disco alludono a molte delle cose con le quali perdiamo contatto: la forza dell’amore, la magia dei colori, una voce ascoltata e forse dimenticata, il cielo la luna e le stelle. Ogni brano è l’invito a guardare, osservare, cercare, se è il caso, la parte nascosta delle cose, i sensi più riparati, i lati invisibili. A non fermarsi all’apparenza.

Tutti, tranne l’ultimo. Tamburo, infatti, è dedicato a Marco Tamburini. Ma sappiamo che Marco non se n’è andato, come tutti credono. Semplicemente, da qualche parte, si è nascosto.

Casa del Jazz: viale di Porta Ardeatina, 55

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