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Roma e la piaga delle grandi opere incompiute

Si stima infatti che a Roma il valore delle grandi opere pubbliche iniziate e non terminate sia di circa 2 miliardi

Leo Longanesi soleva spesso dire che "alla manutenzione l'Italia preferisce l'inaugurazione", e non aveva certo torto. Invero, se fosse vissuto oggi si sarebbe reso conto che da qualche anno a questa parte il nostro Paese, Roma in testa, oltre che a non occuparsi di manutenzione non riesce più neanche ad inaugurare qualcosa. Siamo la nazione delle grandi opere incompiute, dei sogni realizzati a metà. E, anche in questo primato, Roma è in testa alle classifiche d'Italia. Si stima infatti che nella nostra città il valore delle grandi opere pubbliche iniziate e non terminate sia di circa 2 miliardi di euro. E sono questi soldi letteralmente presi e buttati fuori dalla finestra, giacché tale investimento non ha prodotto nulla, se non cantieri abbandonati in attesa di ingoiare altro denaro – o per farli chiudere o per terminare i lavori.

Il porto natatorio di Valco San Paolo, la Cittadella dello Sport di Tor Vergata (firmata Calatrava), la Nuvola di Fuksas, Mercati Generali di via Ostiense, Acquario di Roma all'EUR (qui la cosa non è ancora fermata, ma certa non dà grossi segni di vita) e altre decine di progetti infrastrutturali o architettonici che, singolarmente o nel loro insieme, avrebbero dovuto migliorare la qualità di questa città, rendendola più moderna e più vivibile. Si va a colpi di decine di milioni di euro per dare gli input giusti per cominciare, si espropria, si mettono a contratto fior fiore di ingegneri ed architetti, si fanno progetti mirabolanti che vorrebbero farci diventare la New York d'Europa. E poi nulla. A un certo punto qualcuno si rende conto che i costi, in maniera del tutto inaspettata, gonfiano fino a scoppiare, fino a rendere praticamente impossibile realizzare il progetto. E' come se gli indici dei costi di questi piani, similmente a cellule tumorali, ad un certo punto impazzissero, iniziando a duplicarsi in maniera incontrollata, fino a rendere impossibile la continuazione del progetto. E così gli investimenti iniziali, che in totale arrivano a quei famosi 2 miliardi di euro, spariscono nel nulla, ingurgitati dalle società di costruzione e dagli altri mille appalti che le milioni di necessità nuove ed impellenti impongono febbrilmente. Tutte necessità evidentemente non previste dai primi progetti.

Se si fosse in malafede si potrebbe addirittura pensare che i mille preventivi fatti sulle grandi opere romane siano stati ideati per presentare con cadenze regolari dei problemi, così da ingigantire sempre di più i costi e creare dei buchi neri in grado di macinare più denaro di una manovra finanziaria. Si pensi alla famosa metro C: il suo costo iniziale doveva essere pari ad 1 miliardo e 925 milioni; poi si passò a 2 miliardi e 683 milioni; ed ancora a 3 miliardi e 379 milioni. Il tutto, sommato alle cento attività collaterali al progetto (arbitrari, tutela archeologica etc.), ha portato ad un costo di 5 miliardi e 72 milioni di euro. Una piccola manovra finanziaria nazionale, appunto.

Ora, visto e considerato che, come al solito, quando la colpa è di tutti non è di nessuno, ci sarebbe da auspicarsi che questo Governo, se realmente intenzionato come dice a riformare la giustizia italiana, iniziasse a pensare di agire su questo genere di affari, e cioè sul questa strana, e senza ombra di dubbio casuale, tendenza ai progetti di opere pubbliche italiane a doppiare – se non triplicare – i costi previsti dai progetti iniziali. In che modo? Beh, ad esempio si potrebbe mettere con le spalle al muro le aziende vincitrici degli appalti pubblici con un vincolo contrattuale sui margini di previsione costi, impedendo di sviluppare nuovi preventivi in corso d'opera. Se l'azienda, preliminarmente all'avvio dei lavori, crede che i costi aumenteranno, sforando di troppo il margine previsto, è bene che stracci il contratto e lasci il posto a chi è pronto a rispettare i termini di base, evitando di presentare conti inaspettati magicamente apparsi da nuovi ed accuratissimi rilievi fatti a metà dell'opera, che mettono il pubblico con le spalle al muro, costringendolo ad aprire di nuovo il portafoglio.

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