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Rieti e quel “Boia chi molla”: lo scandalo è aver dimenticato il prestigio della città

Una città che dovrebbe ambire a riconoscimenti e attenzioni ben più gratificanti degli allarmismi post fascisti

Rieti

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“Dobbiamo andare avanti col grido di battaglia che è sempre il solito: Boia chi molla!“. Così il sindaco uscente di Rieti, Antonio Cicchetti, ha chiuso così il suo intervento in un evento a sostegno del candidato per il centrodestra alle prossime amministrative, Daniele Sinibaldi.

L’origine dell’espressione è complessa, il Secolo d’Italia lega il motto a uno dei fondatori dell’Msi, Roberto Mieville. Come sappiamo era in voga nel Ventennio fascista. Immediata la bufera di polemiche.

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La Bastiglia, Rieti e la memoria superficiale

Se per qualunque cittadino occidentale il 14 luglio viene ricordato per celebrare la presa della Bastiglia, a suggello della più famosa delle rivoluzioni mondiali, per i cittadini di Reggio Calabria la stessa data rappresenta dal 1970 la memoria storica di una rivolta mancata. Oggi dai più superficialmente ricordata come la rivolta fascista dei “Boia chi molla”.

In realtà, fu l’ennesima occasione mancata per il Meridione d’Italia, il solito errore dei partiti governanti (includendo tra questi il PCI dell’epoca) incapaci o semplicemente disinteressati nell’interpretare i desiderata del popolo mai sovrano nella nostra apparente democrazia.

I “moti” di Reggio Calabria, un “unicum” della storia repubblicana, si protrassero per circa due anni, tra barricate, incendi e scontri con la Polizia che provocarono diversi morti e numerosi feriti.

I motivi del passato

In occasione delle prime elezioni regionali, nello stabilire il capoluogo, inopinatamente la scelta cade su Catanzaro, “ignorando” la logica candidatura di Reggio, in qualità di città più antica e popolosa di Calabria.

Ovviamente, tale scellerata scelta viene determinata negli uffici della politica romana. Grazie agli interessati accordi trasversali tra DC e PSI e con il distratto benestare del PCI, storicamente troppo spesso lontano dal comprendere le ragioni del malessere popolare ed incapace a difendere i diritti giustamente rivendicati dalla gente del Sud.

Ecco che la città, scesa in piazza in massa, sentendosi abbandonata dal Governo (DC e PSI) e dalla sua funzionale opposizione (PCI) trova appoggio e spinta nei missini guidati dal sindacalista della CISNAL “Ciccio” Franco, che grazie alla sua felice intuizione renderà la città di Reggio una roccaforte della Destra Nazionale per i successivi decenni.
Franco, fatto suo il motto “Boia chi molla, è il grido di battaglia!“ riuscì, interpretando da fascista le rivendicazioni della piazza, a cambiare il corso della storia politica di una Regione. Altresì sono in molti a ritenere che i moti di Reggio abbiano rappresentato una delle fasi della Strategia della Tensione, una prova generale del fallimentare Golpe Borghese.

I motivi di oggi

Ora, che il Sindaco di Rieti, Antonio Cicchetti, possa aver scientemente pensato ai giovani di Reggio nella chiusura della campagna elettorale dell’ombelico d’Italia, concludendo il suo intervento al servizio del neo candidato Daniele Sinibaldi con il più plastico dei Boia chi molla è sicuramente credibile.

D’altra parte, per quanto oggi faccia parte di FI, è indubbio che MSI prima e AN dopo sono parte indelebile del suo percorso, e non credo che se ne debba vergognare. Piuttosto, il buon Cicchetti, avrebbe potuto spiegare meglio delle similitudini di Reggio Calabria con il capoluogo reatino.

Rieti, la gloriosa città dimenticata dalla politica

Come Reggio, Rieti non “conta” politicamente. Come la Reggio di allora, Rieti non ha rappresentanti di prima fila a livello nazionale.

L’atavica irrilevanza politica della città cara a Terenzio Varrone, che pure in epoca antica aveva espresso due dei sette re di Roma ( Numa Pompilio e Anco Marzio) oltre al grande Imperatore della Gens Flavia, Tito Flavio Vespasiano, va forse ricercata nella scarsità dei numeri elettorali da poter esprimere dalla nascita della Repubblica. Un bacino di voti e di influenze troppo ridotto per avere il necessario appeal su base nazionale, o anche solo regionale.

Città che ancora risente di una tradizione contadina chiusa e poco disponibile alle innovazioni, ma al tempo stesso che dispone di una popolazione onesta, pronta al sacrificio e virtuosamente gelosa delle sue radici. Una città, e con essa la sua frastagliata provincia, troppo precocemente abbandonata dall’industrializzazione forzosa della Cassa del Mezzogiorno una volta finiti i fasti dell’era malfattiana. Una città che malgrado l’estrema vicinanza con la Capitale, è il fanalino di coda dei capoluoghi dello Stivale per tantissimi settori merceologici, culturali e del terziario.

Un’intera area, quella reatina che, con la determinate complicità del disinteresse dei centri di potere nazionali, nei decenni non è riuscita ad attrarre sostanziali iniziative d’investimento. Con un settore immobiliare drammaticamente stagnante, che dopo l’ultimo terremoto ha visto crollare i prezzi delle case sotto la soglia del costo di costruzione.

L’irreversibile mancato sviluppo di Rieti

Sapete cosa vi dirà qualunque reatino se gli prospetterete la possibilità di una qualsivoglia iniziativa imprenditoriale?

“ A Rieti non ci hanno attaccato neanche gli ebrei!” (Oggi potrebbero aver traslato la frase riferendosi ai cinesi). In realtà, la responsabilità di questo irreversibile stato di crisi e di mancato sviluppo, andrebbero ricercate non solo nelle classi dirigenti reatine, ma anche e soprattutto nella perenne non considerazione del potere centrale. Proprio come nel caso di Reggio e di tutto il Meridione in genere.

Il Sindaco di Rieti, così attenzionato dai benpensanti dell’informazione nazionale, non dovendo agli stessi alcuna giustificazione quanto all’utilizzo di una frase entrata di prepotenza nel lessico anche del mondo non necessariamente destrofono, avrebbe a mio parere potuto con forza rivendicare diritti e opportunità ribadendo proprio il senso dell’origine del “Boia chi molla” dei moti di Reggio.

Chi scrive conosce Rieti e Cicchetti

Ebbene, chi scrive, ha vissuto e lavorato in questa città per oltre 15 anni a partire dal 1995. Una città che per sempre mi apparterrà per aver dato i natali a mia figlia, così incredibilmente connessa con la sua Rieti per quanto non la abiti più da tempo con grande dispiacere.

Ovviamente, ho conosciuto Antonio Cicchetti, politico di grande esperienza che ho sempre apprezzato unitamente alla maggior parte della cittadinanza per capacità amministrative e per coerenza politica. Così come ho conosciuto ed apprezzato in egual misura il candidato a Sindaco della Sinistra Simone Petrangeli.

Così come per un certo periodo ho collaborato politicamente con Lidia Nobili, all’epoca anima attivissima di Forza Italia, ed oggi tornata giustamente alla politica attiva dopo aver subito ingiustamente le conseguenze del becero giustizialismo post prima e seconda Repubblica ed esserne uscita “pulita” come nella migliore tradizione della nostra magistratura di servizio.

Il vero scandalo è aver dimenticato Rieti

Adesso che vedo Rieti da lontano, mi appare ancora più immobile e dimenticata. Ancora più lontana dal centro d’Italia e con una parabola involutiva sempre più simile alle calde parti del nostro depresso meridione.

Famosa quasi unicamente per “ospitare” la montagna dei romani (il Terminillo ndr), potrebbe e dovrebbe poter ambire a dei riconoscimenti ben più gratificanti rispetto alle prime pagine strumentalmente diffuse nel solito stucchevole tentativo di riproporre allarmismi post fascisti di convenienza elettorale.

Lo scandalo vero riguardante Rieti non sta nell’aver ospitato il ricordo comizio dell’antico motto simbolo delle proteste reggine, piuttosto, per averla colpevolmente citata a livello nazionale solo per questo unico momento, dimenticando che dalle sue madri sono nate le genti che hanno reso Roma un Impero universale. Anche solo per questa verità regalataci dalla Storia meriterebbe maggior rispetto.

A Rieti e alla sua gente va il mio pensiero con l’augurio che possa finalmente essere il Centro d’Italia non solo come mera “espressione geografica”.