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Referendum Giustizia: dal 2 luglio raccolta di firme per i 6 quesiti di Lega e Radicali

I quesiti del Referendum proposti da Lega e Radicali consentiranno agli italiani di partecipare attivamente alla riforma della Giustizia

Giustizia, referendum

I quesiti referendari per la riforma della Giustizia

I quesiti proposti da Lega e Radicali che consentiranno agli italiani di partecipare attivamente alla riforma della Giustizia, in atto nei banchi del Parlamento, vanno a interessare alcuni temi importanti e complessi che presentano, da sempre, particolari criticità: l’elezione del CSM; il rafforzamento della responsabilità civile dei magistrati e la separazione delle carriere; i limiti della custodia cautelare e l’abolizione della legge Severino.

Analizziamo il contenuto dei diversi quesiti

L’elezione del CSM: con questo quesito si chiede di abrogare la legge n. 195/1958 che contiene “Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura“, nel testo aggiornato e modificato, e in particolare, l’articolo 25, comma 3, limitatamente a “unitamente ad una lista di magistrati presentatori non inferiore a venticinque e non superiore a cinquanta. I magistrati presentatori non possono presentare più di una candidatura in ciascuno dei collegi di cui al comma 2 dell’articolo 23, né possono candidarsi a loro volta”.

Attualmente, chi vuole candidarsi al CSM, infatti, deve raccogliere dalle 25 alle 50 firme, aderendo ad una delle correnti della magistratura. Mentre, il quesito referendario propone di abrogare il vincolo della raccolta firme e di tornare alla legge del 1958, che prevedeva che tutti i magistrati potessero proporsi, presentando la propria candidatura liberamente, come membri del Consiglio.

La responsabilità civile dei magistrati

Il quesito chiede di abrogare la legge n. 117/1988 che disciplina ilRisarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati, limitatamente alle seguenti parti: art. 2, comma 1, limitatamente alle parole “contro lo Stato“; art. 4, comma 2, limitatamente alle parole “contro lo Stato“; art. 6, comma 1, limitatamente alle parole “non può essere chiamato in causa ma“; art. 13, rubrica, limitatamente alle parole “per fatti costituenti reato“; art. 16, comma 4, limitatamente alle parole “in sede di rivalsa“; comma 5, limitatamente alle parole “di rivalsa ai sensi dell’articolo 8“.

Con l’abrogazione di quanto sopra indicato si andrebbe a ridurre la specialità della disciplina della responsabilità dei magistrati, consentendo, quindi, al cittadino leso nei propri diritti, a causa di un eventuale errore commesso dal magistrato, di poter agire direttamente nei suoi confronti, citandolo in giudizio.

L’equa valutazione dei magistrati

secondo tale quesito si chiede di conferire il diritto di voto agli avvocati e ai professori universitari, membri dei mini CSM, nei consigli giudiziari in occasione delle valutazioni professionali dei magistrati, essendo il Consiglio direttivo presso la Corte di Cassazione e i Consigli giudiziari organi dove si valuta anche la professionalità dei magistrati. Oggi, infatti, quando deve essere valutato lo status di un magistrato tale componente minoritaria (composta da avvocati e professori universitari) è del tutto esclusa.

Pertanto, con l’abrogazione dell’art. 16 dedicato alla “Composizione dei consigli giudiziari in relazione alle competenze” del Dlgs n. 25/2006 sulla “Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei Consigli giudiziari, a norma dell’articolo 1, comma 1, lett. c) della legge 25 luglio 2005 n. 150”, si consentirebbe di porre fine al principio della giustizia esclusivamente interna della magistratura.

La separazione delle carriere dei magistrati

Il quesito chiede se si vogliano abrogare parte di una serie di disposizioni che riguardano la separazione delle carriere dei magistrati: il R.d. n. 12/1941; la l. n. 1/1963; il d.lgs. n. 26/2006; il d.lgs. n. 160/2006; il d.l. n. 193/2009. Con l’abrogazione di parte delle disposizioni indicate si otterrebbe la separazione delle carriere. Pertanto, i magistrati con l’eventuale modifica proposta dal quesito, una volta scelta la funzione giudicante o requirente all’inizio della propria carriera, non potrebbero più passare dall’una all’altra.

Attualmente, invece, i magistrati della pubblica accusa e quelli che vengono chiamati a giudicare sono racchiusi in un’unica categoria professionale. Questo comporta che essi si trovino, spesso, a svolgere la funzione giudicante e, successivamente, quella requirente o viceversa, con il conseguente rischio di compromettere l’equilibrio e l’imparzialità della giustizia.

I limiti della custodia cautelare

Il carcere preventivo, secondo l’obiettivo del quesito, è da limitare ai soli reati gravi. I promotori, nello specifico, chiedono che venga abrogato il D.P.R. n. 447/1998 con il quale è stato approvato il codice di procedura penale, limitatamente al comma 1, lettera c) dell’articolo 274 del codice di procedura penale, che dispone l’applicazione della custodia cautelare in carcere in caso di pericolo di reiterazione del reato, relativamente alle seguenti parole: “o della stessa specie di quello per cui si procede.

Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, e successive modificazioni”.

Questo istituto, nel corso degli anni, è stato trasformato, tramite un distorto utilizzo, da strumento cautelare a forma propria di anticipo della pena. Proprio per questo il quesito vuole limitare la possibilità di ricorrere alla custodia cautelare in mancanza di una sentenza definitiva di condanna.

Abrogazione della legge Severino

Secondo i promotori del referendum è necessario abrogare la legge Severino, lasciando alla magistratura la facoltà di decidere, di volta in volta, se in caso di una eventuale condanna occorra applicare l’interdizione dai pubblici uffici. La legge Severino, infatti, prevede che, in caso di condanna per alcune ipotesi delittuose, venga disposta in automatico la sanzione accessoria dell’incandidabilità alla carica di parlamentare, consigliere e governatore regionale, sindaco e amministratore locale.

Con il quesito proposto, quindi, si domanda se si vuole procedere con l’abrogazione del d.lgs. n. 235/2012, contenente il Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190.

Avv. Enrico Sirotti GaudenziAvvocato cassazionista

Responsabile del dipartimento Giustizia – Lega Romagna

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