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Reddito di cittadinanza e formazione lavoro, il solito grande bluff

Tolto il Reddito di cittadinanza, i disoccupati italiani dovrebbero poter contare sui corsi di formazione lavoro, peccato che non esistono

Reddito di cittadinanza

Reddito di cittadinanza

Con la progressiva abolizione del reddito di cittadinanza si torna a parlare dei corsi di formazione al lavoro. Un progetto affidato alle Regioni, che non ha prodotto nessun lavoratore qualificato e non lo produrrà neanche in futuro. Sono pessimista? Forse. Ma, come si dice, il buongiorno si vede dal mattino e fino ad ora non è un belvedere.

Il Governo ha tolto a 250 mila persone il Reddito di cittadinanza: via subito a 160 mila e ad altre 90 mila lo toglierà entro dicembre. Chi ha subito la sospensione definitiva del reddito, dal 1° settembre potrà richiedere la nuova misura Supporto per la Formazione e per il Lavoro. In pratica continuerà a ricevere 350€ al mese come sussidio se accetta di rendersi disponibile per i corsi di Formazione e ricerca di personale.

Il passaggio dal reddito di cittadinanza alla formazione lavoro non è mai stato realizzato

Il Reddito di Cittadinanza, è stato detto, non è servito a procurare nuovo lavoro.  Adesso con la formazione avvieremo questi occupabili in posti sicuri. Il fatto è che non era il compito di una formula di assistenza quello di trovare lavoro, il compito spettava alle Regioni.

Dovevano mettere in piedi un servizio, attraverso i Centri per l’Impiego, che collegasse le esigenze del mercato del lavoro con l’offerta di coloro che il lavoro lo stanno cercando. Non ha funzionato e non per via della legge, ma solo perché le Regioni non hanno fatto nulla, evidentemente, proprio per boicottare questa legge, che era un cavallo di battaglia del vecchio governo Conte. Non hanno neanche utilizzato i fondi stanziati. La politica ha fatto i propri interessi di parte e non quelli del Paese. Ma guardiamo avanti.

Mancano centinaia di migliaia di figure professionali

Secondo Dataroom di Milena Gabbanelli, in onda a giugno sul Tg de La7, da maggio 2023 in Italia le imprese non hanno trovato 83.000 addetti alla ristorazione e neanche 37.000 addetti alle vendite. Tra le professionalità tecniche che mancano ci sono: informatici, tornitori, fresatori, manutentori, saldatori, muratori, operai metallurgici, fabbri, costruttori di utensili, artigiani e operai di diverso tipo.

Sul sito thewam.net, un quotidiano on line della Aplus srl che raccoglie e pubblica notizie sul mondo del lavoro e dell’impresa, economia e diritti del cittadino, risulta che in Italia si cercano, per esempio, 3.750 progettisti e amministratori di sistemi del settore digitale. Oltre 10.000 analisti e progettisti di software, 13.200 programmatori.

Nel settore dei trasporti mancherebbero 85.490 autisti di camion, nonché mancano i magazzinieri. In quello edile 80.629 operai e 41.460 elettricisti delle costruzioni civili e 22.550 idraulici. Mancherebbero anche 20.850 meccanici per le riparazioni auto. Sappiamo anche che mancano medici, ma qui entriamo in un altro campo quello dei laureati.

Risulterebbe poi che ad un’azienda occorrono almeno 3,3 mesi di tempo per trovare del personale. Per degli operai specializzati occorrono 5 mesi, per quelli ancor più qualificati serve un anno!

Perché? Ci lamentiamo di tanti disoccupati e poi scopriamo che ci sono centinaia di migliaia di richieste di lavoratori? Il problema è che c’è un calo demografico che pesa sul mondo del lavoro. Ci sono meno giovani e quelli che non se ne vanno all’estero o non sono disponibili alle condizioni di lavoro proposte o non sono formati adeguatamente dalla scuola per i lavori che servono. Ergo è tutto sbagliato. Non funziona perché così non può funzionare.

Reddito di cittadinanza e corsi di Formazione lavoro, una formula poco credibile

Pe formare questi profili ci vogliono i corsi di formazione professionali. Perché sostengo che questa formula sia poco credibile? Perché da quello che si evince già dal comportamento delle Regioni, i corsi di formazione rischiano di tradursi in un affare per gli amici degli amici, senza un risultato utile per chi li frequenta e, quindi, per l’Italia.

I corsi di formazione sono materia di competenza delle Regioni. Anzi sono le Società che si occupano di Formazione del Lavoro, accreditate presso le varie regioni, che decidono quali corsi proporre e di solito i corsi sono per parrucchieri, estetiste, piercing.

Non sto scherzando. Sono andato a verificare in un sito che propone corsi di formazione professionale (retecartesio.it) ed ho trovato tra i settori più richiesti il mondo dell’estetica, del make-up e della bellezza. “Tra le tecniche molto richieste negli ultimi tempi abbiamo quella del microblading, del microshading e della laminazione ciglia; tutte tecniche innovative che rappresentano un’ottima fonte di remunerazione per il cento estetico che la propone ai propri clienti.” Ci siamo già capiti. Le Regioni danno i fondi e tutto finisce lì.

Per tre regioni non è previsto il tirocinio retribuito: quindi è lavoro gratis?

Ma dall’anno scorso la musica è cambiata. Almeno così sembrava. Sono stati stanziati 4,9 miliardi di euro del Pnrr, da spendere entro il 2025, per trovare lavoro a 3 milioni di disoccupati, tra cui anche quelli ex assistiti dal Reddito di Cittadinanza. 

Per questo alle Regioni sono stati affidati 880 milioni di euro, presi in carico dai Centri per l’Impiego, che fino ad ora sembrano gli unici ad avere assicurato un posto di lavoro. Questi Centri per l’impiego (non solo proprio, aggiungo io) devono formare circa 800.000 lavoratori. Almeno così ha dichiarato Milena Gabbanelli nel suo intervento su Dataroom, già citato prima.

A tutti i disoccupati, da Bolzano a Ragusa, debbono essere garantiti i livelli essenziali delle prestazioni tra cui anche il tirocinio retribuito. In pratica l’apprendistato presso l’azienda che li impiegherà dovrà essere retribuito con un salario pur se minimo. Qui esce la prima questione.

In tre Regioni, Veneto, Lombardia e Lazio, questa garanzia non è prevista. Noi abbiamo diviso l’Italia in Regioni ma poi ognuna sembra una repubblica a sé stante e quando si tratta di attuare norme statali, sorgono sempre conflitti. È già successo con la Pandemia e la gestione della Sanità e avevamo detto di non ricaderci.

Formazione lavoro e reddito di cittadinanza: la certificazione delle competenze non è prevista in 10 regioni

A fine corso dovrebbe essere consegnato al futuro lavoratore un attestato di frequenza. Per verificare che abbia effettivamente frequentato e appreso qualcosa. Bene, in 10 regioni non è obbligatoria la certificazione delle competenze acquisite.

Le regioni sono Veneto, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Marche, Molise, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna.  Ma stiamo scherzando?  Si spendono milioni di euro, che dovremo in parte restituire, per corsi che poi non vengono neanche riconosciuti con un attestato di frequenza? Quale azienda si potrà fidare? Chi mi assicura che questi frequentatori di corsi, molti previsti on line, figuriamoci, poi abbiano imparato un mestiere? 

Altra questione. Il rendiconto delle spese è su base nazionale. Vuol dire che se la Calabria, un nome a caso, non dovesse spendere tutti i fondi attribuiti per i corsi mentre il Veneto, nome preso a caso, dovesse spendere di più del budget assegnato, si pareggia e i conti tornano ugualmente.

Di fatto sembra una norma che già preveda che alcune regioni, a caso, non spenderanno tutto e i disoccupati calabresi (nome a caso) resteranno disoccupati? Mi domando perché dobbiamo affidare alle Regioni delle questioni di rilevanza nazionale se già sappiamo che sono deficitarie nei loro regolamenti, oltretutto così diversi tra regione e regione? I fondi sono nazionali, il problema è nazionale, la figuraccia che faremo sarà nazionale. Togliamo questa competenza a chi non la sa gestire.

Non è che tutto andrà ancora una volta in fuffa?

Guarda caso, non appena s’è sparsa la notizia che il Reddito di Cittadinanza sarebbe stato abolito in parte e sostituito con il Supporto per la Formazione e per il Lavoro, sono sorte, in pochissime settimane, 1.463 Società di Formazione.

Certe volte l’efficienza di questo Paese mi sorprende. Sempre guarda caso, ne sono sorte 333 in Campania, 242 nel Lazio, 117 in Puglia, 107 in Lombardia e via dicendo. Prima in Italia c’erano 12.487 società di formazione, non bastavano?  O erano quelle dei corsi da estetista?  Alcune Regioni si sono affrettate a distribuire i fondi, assegnandoli ai vari corsi di formazione.

Alla fine di dicembre 2022 avremmo dovuto avere già formati 160.000 lavoratori. Beh non lo credereste. Non è così. E qui riconosco il mio Paese. I corsi partiti si contano sulle dita di una mano. Mentre non esiste nessun dato sui quanti corsi si faranno né su quali tipologie di formazione.

Non si sa niente. Siamo l’Italia di sempre: una certezza. Ma i docenti? I docenti sono manager di imprese private che hanno già il loro stipendio. Con i corsi possono tutt’al più pretendere dei rimborsi, che sono certo prenderanno. Perché questi Corsi di Formazione mi sembrano tutto meno che quello che promettono. Un grande affare per le Società nate dal nulla come funghi e nulla più. Si aspettano le indicazioni per i 320.000 lavoratori che erano previsti da formare quest’anno e di cui si sono perse le tracce.

Di fatto mi pare che ancora una volta ci troviamo a che fare con una formazione che è completamente scollegata dal mondo del lavoro e che non servirà a nulla se non a ingrassare gli amici degli amici. Se succederà così, non vorrei essere menagramo o tacciato di pessimismo, mi auguro di sbagliarmi, chi pagherà?

Noi, ovviamente, quando dovremo restituire la quota parte di fondi Pnrr all’Europa.