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Ratzinger da sempre il Katechon, Bergoglio un usurpatore

La missione di Benedetto XVI si è compiuta: egli, solo al momento della sua morte, ha restituito a Dio, il munus che Dio gli aveva consegnato

Joseph Ratzinger

Cardinale Joseph Ratzinger

All’email dell’inchiesta codiceratzinger@libero.it abbiamo ricevuto lo scritto di un lettore, E.C., che merita di essere pubblicato. La situazione è molto grave: non bastano i nemici bergogliani, ma ora bisogna guardarsi anche dall’eversione tradizionalista. Alcune frange semi-sedevacantiste, infatti, stanno conducendo un’organizzata operazione di discredito di Ratzinger, cercando di farlo passare per “modernista” in modo da cassare tutti i papi postconciliari e autoproporsi come autentici eredi della fede cattolica.

Un’operazione illegale, al di fuori della legittima successione petrina e che non mira minimamente a tutelare la Sede Apostolica usurpata come previsto dalla Universi Dominici Gregis. Questa tendenza è soprattutto scismatica visto che, o assicurerebbe un conclave inciucio con gli 81 falsi cardinali di nomina antipapale, oppure prevedrebbe una rifondazione scismatica della chiesa cattolica.

Ne abbiamo parlato in questo podcast.

Ma Ratzinger fu ben altro rispetto a quanto vogliono far credere questi nuovi, inaspettati nemici del Papato.

Buon ascolto e buona lettura.

Joseph Ratzinger è stato un kathéchon molto prima di diventare Papa

Egli, chiamato nel 1981 come Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, era stato il puntello che Giovanni Paolo II aveva assicurato all’Istituzione vaticana più importante nella custodia dell’ortodossia cattolica. Un puntello, quello del Cardinale Ratzinger, che consentiva a Papa Wojtyla di “dormire sonni tranquilli” e riversare il suo sconfinato carisma e la sua fede rocciosa nell’annuncio evangelico agli uomini di ogni angolo della terra.

Non sappiamo se e quante volte il Prefetto tedesco abbia dissuaso Giovanni Paolo II dall’intraprendere talune iniziative ma è certo che egli rappresentava il contrappeso dottrinale rispetto allo slancio profetico del Papa polacco. Prova ne sia la sua contrarietà all’incontro multireligioso svolto ad Assisi nel 1986, nel quale Ratzinger evidentemente coglieva uno spiraglio in cui sciagurati successori avrebbero potuto agevolmente inserire il grimaldello dell’indifferentismo religioso.

Certo è che tutta la sapienza, la lungimiranza e la katechontica – per l’appunto – solidità del Panzerkardinal avevano trovato corpo in scritti come la Dominus Jesus del 2000 e, ancor prima, nel Catechismo della Chiesa Cattolica; veri e propri scudi alzati contro una minaccia sincretista e massonica sempre più incombente.

È noto, per essere stato spiegato inconfutabilmente dall’arcivescovo Gänswein, che nella Chiesa del secondo millennio si fronteggiavano il partito del Sale della Terra e la brigata della Mafia di Sangallo, essendo quest’ultima l’espressione  – non simbolica, ma incarnata in uno stuolo di prelati infedeli alla Dottrina di sempre – della volontà di far deviare la rotta della barca di San Pietro verso lidi massonici e certamente anche gnostico-luciferini.

Il cardinale Ratzinger

Di questa lotta tra luce e tenebre il Cardinale Ratzinger era perfettamente consapevole, sia per una sensibilità che gli proveniva da decenni di studio e di speculazione teologica, sia per il punto privilegiato di osservazione offertogli dal suo ruolo di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Egli sapeva perfettamente che l’avanzata massonica e ultraprogressista – certamente favorita da una distorta declinazione dei pronunciamenti conciliari – era giunta fino al soglio petrino.

E infatti, nell’omelia pronunciata il 18 aprile 2005 nella la Messa pro eligendo romano pontifice, il Decano dei Cardinali Joseph Ratzinger non aveva esitato a denunciare che si andava “costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”. Questa lucida e terribile affermazione non può spiegarsi se non con l’intento di allertare coloro che avessero orecchie per intendere che occorreva prestare molta attenzione a ciò che si sarebbe deciso da lì a poche ore, essendo certa l’infiltrazione massonica nel gruppo dei conclavisti.

In altre parole, Ratzinger stava chiamando a raccolta i suoi sodali del Sale della Terra affinché operassero per arginare la minaccia relativista. Quella chiamata alle armi sortiva l’effetto di eleggere proprio Ratzinger, ossia il miglior difensore possibile dell’ortodossia cattolica.

Tuttavia, sebbene non sarà mai appurato con certezza, il Conclave del 2005 aveva al contempo dimostrato quanto le forze oscure avessero acquisito potenza, dato che J.M. Bergoglio era uscito da quel consesso come secondo dietro Ratzinger per voti ottenuti.

Si trattava, con tutta evidenza, di un appuntamento rinviato. Come quanto nel Vangelo si racconta che il diavolo – sconfitto da Cristo nell’episodio della triplice tentazione – se ne andò per poi tornare al tempo opportuno.

La declaratio

Ben poco si può aggiungere a quanto scritto e detto sul testo letto da Benedetto XVI l’11 febbraio 2013 e sull’effettiva portata di quella dichiarazione.

Qui si vuole sottolineare – nella consapevolezza di essere ridondanti – che addirittura al Papa emerito non sarebbe stato necessario alcun successivo messaggio, più o meno criptico, per esplicare il senso della sua azione.

Infatti:

– la premessa della declaratio è una presa di coscienza della difficoltà esercitare il munus petrino, ossia di guidare la barca di Pietro ed annunciare il Vangelo;

– Benedetto, a causa della sede impedita nella quale lo porranno inconsapevolmente i cardinali, rinuncia a queste due specifiche esplicitazioni del papato togliendo dal suo abito la mozzetta e la fascia, che per l’appunto ne sono i simboli esteriori;

– Benedetto non toglie la talare bianca, né il nome pontificale, né ogni altro elemento che attiene all’essere Papa;

– Benedetto, dunque, rimane Papa, impedito, ma Papa.

E non abbandona la guida della Chiesa, ma promette:

–        “io, ritirato con la mia preghiera, sarò sempre con voi, e insieme andiamo avanti con il Signore, nella certezza: Vince il Signore!” (al clero romano il 14 febbraio 2013);

–        “Rimane in me questa gratitudine e anche se adesso finisce l’ “esteriore”, “visibile” comunione – come ha detto il Cardinale Ravasi – rimane la vicinanza spirituale, rimane una profonda comunione nella preghiera. In questa certezza andiamo avanti, sicuri della vittoria di Dio, sicuri della verità della bellezza e dell’amore. “ (alla Curia romana il 23 febbraio 2013);

–        “Vorrei ancora, con il mio cuore, con il mio amore, con la mia preghiera, con la mia riflessione, con tutte le mie forze interiori, lavorare per il bene comune e il bene della Chiesa e dell’umanità. … Andiamo avanti insieme con il Signore per il bene della Chiesa e del mondo.” (da Castel Gandolfo, il 28 febbraio 2013).

Missione compiuta

La missione di Benedetto XVI si è compiuta: egli, solo al momento della sua morte, ha restituito a Dio – come San Pietro restituisce le chiavi a Cristo nel Giudizio della Sistina – il munus che Dio gli aveva consegnato. Aveva custodito quel munus come un tabernacolo vivente per dieci anni, preservandolo dall’orda massonica.

Se egli avesse abdicato ritualmente, la brigata di Sangallo avrebbe ottenuto non solo il potere pratico ma avrebbe conquistato l’essenza stessa del papato. Invece, il vescovo vestito di bianco che non si genuflette davanti al Santissimo Sacramento, è rimasto solo un fantoccio senz’anima, un antipapa, il cui operato dovrà essere annullato dall’inizio alla fine grazie a quanto prevede la costituzione apostolica Universi Dominici Gregis.