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Progressisti al tramonto: in Italia, in Europa, negli Usa

“La rielezione di Trump – ha sottolineato Federico Rampini in un articolo uscito mercoledì scorso sul Corsera – è diventata meno improbabile”

Elly Schlein

Elly Schlein

È già un fenomeno generalizzato, all’interno delle società occidentali? Una tendenza ormai consolidata e irreversibile, sia negli Stati Uniti che qui in Europa?

Forse no.

Ma i segnali di insofferenza si moltiplicano. E l’insofferenza, benché ignorata dai media mainstream che continuano imperterriti a diffondere le loro versioni preferite, potrebbe benissimo essere il preludio a una crisi di rigetto. Come del resto è logico: quando ci si spinge troppo in là, nello scagliarsi contro qualsiasi tipo di valore tradizionale (dalla famiglia all’idea stessa di maschile e di femminile), l’impatto sulla psiche di moltissime persone diventa troppo forte. E quindi, appunto, intollerabile.

Partiamo proprio dagli USA. Dove il prossimo anno ci saranno le Presidenziali, come sempre a inizio novembre, e dove già da tempo imperversano le discussioni e le polemiche sui principali contendenti. Joe Biden per i Democratici e Donald Trump per i Repubblicani.

Benché la candidatura di quest’ultimo non sia ancora sicura – in attesa del lungo iter che porterà alla nomination e con la spada di Damocle dei processi a suo carico che potrebbero portare a un’esclusione obbligata dalla corsa alla Casa Bianca – all’interno del suo partito la preminenza di Trump è fuori discussione.

Non solo. Ciò che emerge dai sondaggi è che il gradimento per lui sta aumentando anche in certi strati della popolazione statunitense che i Democrats sono abituati a far rientrare nel proprio elettorato di riferimento.

Privilegiati & estranei

“La rielezione di Trump – ha sottolineato Federico Rampini in un articolo uscito mercoledì scorso sul Corriere della Sera – è diventata meno improbabile perché si è rafforzato tra le classi lavoratrici, i nonlaureati: quasi due terzi dell’elettorato. (…) Se si votasse oggi Trump sarebbe il repubblicano con il massimo consenso della storia tra latinos e afroamericani.”

Già.

Agli occhi di una quantità crescente di americani che appartengono agli strati più popolari, per posizione lavorativa o per origine etnica, il mondo progressista non appare più come il suo rappresentante ideale. Ideale e naturale.

Al contrario: l’esasperazione di certe battaglie ha determinato un senso di estraneità.

Verso quelle idee, via via più estremizzate, e verso le élite di privilegiati che le sostengono. E che, appellandosi al rispetto per ogni sorta di minoranze, sono sfociati in un oltranzismo alla rovescia: un integralismo brutale e saccente che si avventa su chiunque non condivida i medesimi furori.

Troppo. E troppo in fretta

È un lungo elenco, quello dell’escalation progressista. Sempre più lungo e sempre più invasivo. Sempre più aggressivo.

Un’offensiva ad amplissimo raggio che comincia, forse, con il “politicamente corretto” e che approda alla demonizzazione del “patriarcato”. Vedi, per rimanere alle cronache più recenti, le requisitorie e le manifestazioni che hanno fatto seguito all’assassinio di Giulia Cecchettin da parte dell’ex fidanzato.

All’origine potevano anche esserci delle buone ragioni, visto che ci si contrapponeva a pregiudizi e discriminazioni. Ma col tempo si è talmente esagerato da sconfinare nell’eccesso opposto.

Dal “politicamente corretto” si è sprofondati nelle sue versioni estremizzate: la “cancel culture” e i “sensitivity readers.

Dalla legittima difesa degli omosessuali ci si è catapultati su ben altro. Alzando di continuo la posta.

Prima i Gay Pride. Poi le “famiglie arcobaleno”. A seguire “l’utero in affitto”, o se preferite la “maternità surrogata”. Poi la “teoria Gender”. Le identità psicosessuali “fluide”: a volte maschi e a volte femmine, in base agli slanci del momento.

E ancora le “carriere alias” per gli studenti, anche giovanissimi: via il nome anagrafico, allineato al sesso biologico, e la possibilità di scegliersi un nome differente e del sesso opposto.

Infine – ma in realtà come cornice a tutto il resto e, quindi, come pietra angolare dell’intera impalcatura, ambiziosa e arrogante come le peggiori ideologie – l’attacco frontale al “patriarcato”.

Al posto di un nuovo equilibrio, uno squilibrio al contrario. Con toni da crociata e pretese via via più perentorie, sino alla totale insensatezza. Nella chiave della rivalsa. O persino della vendetta.

Invece di ridefinire i rapporti reciproci, a cominciare da quelli tra uomini e donne, nell’intento di giungere a una maggiore comprensione e a una coesistenza armoniosa, si tenta di spazzare via ogni valore preesistente.

Ma va così, con le crociate: o si sbaraglia il nemico, riducendolo all’impotenza, o lo si induce a reagire. Costringendolo a battersi per ciò in cui crede. E in cui si identifica.

Gerardo Valentini – Movimento Cantiere Italia