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Poesia, Marco Corsi presenta “E venne l’alba” alla Biblioteca Angelica di Roma

La poesia prevede una discesa agli inferi, come già sostenuto dai Greci, per poi concedere una risalita e un risveglio verso una coscienza trascendente

Biblioteca Angelica di Roma

Biblioteca Angelica di Roma

Poeta romano autore di quattro raccolte poetiche e un saggio relativo a un’idea di teatro in Giacomo Leopardi, presenta ultima pubblicazione con Ensemble Editore dal titolo – “E venne l’alba“- a Roma presso la Biblioteca Angelica di Roma, sabato 2 Dicembre alle ore 18.

Il titolo evoca il senso della rinascita spirituale oggi forse oppresso dalla sfera materialista, è una raccolta i cui versi accolgono dinamiche del “ricordo” e del “femminile” in cui la figura materna assurge a elemento archetipo per eccellenza, la nascita della vita.

Marco Corsi si racconta

Mi occupo di poesia e di letteratura da circa quindici anni, la tensione poetica si è manifestata sulle pagine bianche a causa della necessità di convogliare le emozioni e lo stato sensibile su carta. Indago poesia come viaggio extrasensoriale che allontana il fattore “contingente”. Avvicinandomi con decisione verso una visione “trascendente” che implica una consapevolezza d’amore.

Le mie tematiche poetiche attingono dalla figura femminile (come da tradizione). Che sempre emana un fascino di mistero e d’amore, i due segni dell’anima, che penetrano con forza la mia sensibilità evocando forze “primordiali” dell’uomo come il “ricordo”, quindi il ritorno all’origine e a uno stile di vita autentico e libero da catene materialistiche, un ritorno verso la sfera della natura, oggi forse soffocata dall’evoluzione tecnologica.

Lo stile del significante attiene a un verso sintetico e deciso permeato di settenari e novenari che impattano impetuosamente con l’emotività del lettore. Le prime letture poetiche fanno riferimento a Sandro Penna, poeta schivo e tormentato dal sentimento. Eugenio Montale i cui motivi “ermetici” hanno stimolato la mia interiorità a celare l’emotività salvo poi rivelarla al lettore con incisività e consapevolezza. Ho sempre come modello di riferimento i “Classici” il cui studio ha da sempre Contaminato la poetica del ‘900.

Scrivere poesia significa confessare la propria intimità, la sfera interiore viene stimolata dall’inquietudine emotiva; come sostenevano Pierpaolo Pasolini e Clemente Rebora i versi nascono dal cuore, non è un esercizio puramente intellettivo, pertanto il flusso emotivo vive in un canale sempre aperto verso l’alterità. Oggi in una società tesa all’esteriorità e al “visivo”, si muove a fatica la tensione poetica, tuttavia la missione evocativa e profetica della poesia assume una funzione di “redenzione” e riflessione circa la necessità di riscoprire l’autenticità dei valori umani dipinti in emozioni d’amore e di donazione di sé, oggi forse troppo concentrati sull’autoesaltazione della persona.

La vocazione della poesia prevede una discesa agli inferi, come già sostenuto dai Greci, per poi concedere una risalita e un risveglio verso una coscienza “trascendente” e tesa alla rinascita delle forme animiste e di sacrificio di sé, a credito emotivo del nostro “prossimo” evangelico.