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Perché Mons. Gänswein non è una “guardia” di Bergoglio, ma è leale a Benedetto XVI

Le sue frasi, solo a una prima lettura sembravano pro-Bergoglio, ma il loro senso reale è quello di un clamoroso endorsement per i preti fedeli a Benedetto

Primo piano del Mons. Gänswein

Gli effetti della bordata di Codici Ratzinger da parte di Mons. Gänswein di cui sono stati fatti oggetto Don Minutella e gli altri sette eroici sacerdoti del Sodalizio Sacerdotale Mariano, si fanno ancora sentire. Le frasi, solo a una prima lettura sembravano pro-Bergoglio, ma il loro senso reale è quello di un clamoroso endorsement per i preti fedeli a Benedetto.

Basti solo ricordare la frase “Don Minutella è teologicamente pazzo”, nella quale l’accezione “teologica” della parola pazzo si rifà all’espressione di San Paolo: “pazzi per amore di Cristo”, ovvero profeti della verità.

Tuttavia, diverse persone – anche del Piccolo Resto – nutrono ancora dei dubbi sulla figura di Mons.  Gänswein, per questo motivo procederemo a una dimostrazione sistematica e definitiva della assoluta lealtà dell’arcivescovo di Urbisaglia al vero papa.

Innanzitutto, il segretario di Benedetto XVI si è fatto latore di un’infinità di raffinatissimi codici Ratzinger, fin almeno dal 2016, quando pronunciò il famoso discorso del “ministero allargato”, una prolusione che conteneva tutto il perfetto sistema papa legittimo-illegittimo/contemplativo-attivo prodotto dalla sede impedita.

Ora, tali Codici sono, per loro natura, estremamente delicati: una parola in più, o in meno, ne devasta il senso logico. Un messaggero infedele potrebbe al massimo riferire, di malavoglia, il senso generico di quanto detto da papa Benedetto, calpestandone involontariamente il chirurgico assetto logico-lessicale. Per farlo come lo fa Mons.  Gänswein, c’è invece bisogno di una suprema attenzione e dedizione.

Basti pensare solo a come l’arcivescovo, alla domanda insidiosa su come papa Benedetto celebri messa – in unione con chi, con se stesso o con papa Francesco – invece di rispondere direttamente “con papa Francesco”, abbia offerto questo elaborato costrutto: “Papa Benedetto non ha mai menzionato nessun altro nome nel Canone della Messa. Non ha mai nominato se stesso nel Canone”.

Come abbiamo letto,

siccome la formula con cui il papa celebra la messa è “in unione con me, tuo indegno servo”, dove non si cita alcun nome proprio, papa Benedetto celebra in unione con se stesso, senza citare altri nomi, e nemmeno il suo, come fa il vero papa. Comprendete la delicatezza di tali espressioni?

Già questo discorso fa piazza pulita di qualsiasi dubbio, ma ammettiamo, per assurdo, che Mons.  Gänswein sia il “carceriere bergogliano” di papa Benedetto, come  vuole un vecchio cliché. Allora egli dovrebbe essere una specie di automa, un robot teutonico e acritico che inconsapevolmente cita a pappagallo e perfettamente a memoria ciò che gli impone di ripetere papa Benedetto: “Eccellenza, dica esattamente così, non una parola di più, non una di meno”, dovrebbe raccomandargli papa Ratzinger.

In prima istanza, se Mons.  Gänswein fosse bergogliano,  dovrebbe certamente insospettirsi e chiedersi: “Perché l’emerito mi chiede di essere così pignolo e scrupoloso nel ripetere le esatte parole della sua frase? Non basta ripetere il senso generale? Perché vuole proprio queste parole esatte… Che ci sia qualcosa sotto? Magari sta tentando di comunicare con l’esterno?”.

Ma ammettiamo che, difettando di qualsiasi senso critico,  non se lo sia chiesto e che le prime volte, egli “ci sia cascato” facendosi involontario latore dei messaggi di papa Ratzinger. Ebbene, alla lettura sui giornali delle decodificazioni di ciò che papa Benedetto ha inviato tramite lui, inconsapevole messaggero, dovrebbe avere un moto di stizza: “Ach! Papa Benedetto si è servito di me e mi ha fatto fare la figura del Dummkopf (stupido)”.

Tra l’altro, a Sua Eccellenza è stato inviato in luglio anche il libro “Codice Ratzinger” (Byoblu ed. 2022), oggi fra i dieci saggi bestseller italiani, e il più venduto su Amazon alla categoria “Istituzioni cristiane”, dove viene spiegato per filo e per segno come funziona il tipo di messaggistica del Santo Padre.

A meno di non considerare Mons.  Gänswein davvero Dummkopf, una volta consapevolizzatosi di come viene “usato” dal papa impedito, nei messaggi successivi egli starebbe bene attento a rimescolare le parole di Benedetto XVI in modo da disinnescare qualsiasi codice Ratzinger. Oppure si rivolgerebbe a papa Francesco dicendogli: “Santità, ogni volta quel furbo di Ratzinger si serve di me per comunicare con l’esterno e mi fa fare la figura dello sciocco! Mandi un altro al posto mio, io non riesco proprio a capire come faccia ogni volta a gabbarmi, oppure mi autorizzi a non citare più alcun suo messaggio”.

Ovvero, è assurdo che il “Gänswein carceriere bergogliano“ reiteri, con l’ottusità di una mosca che sbatte sul vetro, sempre lo stesso errore.

Un esempio? Nel 2021 abbiamo dato grande pubblicità allo stemma utilizzato da Mons.  Gänswein sulla carta da lettere con cui ha inviato allo scrivente l’unica risposta che il vero papa poteva dare dalla sede impedita: “Pur con ogni buon intento, proprio non è possibile”.

Nonostante l’arcivescovo avesse cambiato lo stemma nel 2017, unendolo, come da tradizione per il Prefetto della casa pontificia, con quello di Francesco papa regnante, sulla lettera figurava lo stemma di vecchio tipo, quello unito con il blasone di Benedetto XVI regnante. Nonostante la pubblicità data a questo clamoroso codice Ratzinger araldico, Mons.  Gänswein continua imperterrito a usare lo stemma ratzingeriano come si vede dal recente invio di una papalina del papa a un blogger brasiliano.

Capite bene che è del tutto impossibile che Mons.  Gänswein sia infedele a Benedetto: egli ne è, anzi, il più fedele e devoto servitore. Tuttavia, siccome i codici Ratzinger hanno – quasi – sempre una doppia interpretazione, lui, agli occhi di Bergoglio, sta sempre a posto. Eppure, allo stesso tempo, riesce a far capire a chi ha orecchie per intendere. E se Bergoglio, adesso, lo rimuovesse, sarebbe una patente ammissione della propria illegittimità.  

Qualcuno ha espresso perplessità sul fatto che Monsignore abbia partecipato a una messa per l’ordinazione di alcuni sacerdoti che era celebrata da un altro ecclesiastico in comunione con papa Francesco. Ora, a parte che il suo sermone sulle “due navi” era chiaramente allusivo ai due papi (dove uno non può recedere dalla fede perché è custode della Parola di Dio (come il faro che si rivela, e l’altro, invece, se ne va per conto suo) si sa che Mons.  Gänswein non ha pronunciato quella formula. “Tuttavia ha partecipato alla messa una cum papa Francisco! Come si giustifica?”, chiederanno gli scettici.

La spiegazione la si trova – a giudizio di chi scrive – nella dottrina del Supplet Ecclesia. Ovvero, quando le persone sono inconsapevoli che un sacramento è celebrato non in modo corretto (o non in comunione con il vero papa) questo è reso valido e lecito da Dio. Per tante persone in buona fede che non sanno ancora nulla della Magna Quaestio, Francesco è il vero papa e quindi la Messa è valida e lecita, in assenza (ancora per poco) di un pronunciamento definitivo della Chiesa. (Ciò ovviamente, per banale logica, non vale per chi sa che Bergoglio non è il papa).

Per questo, Mons.  Gänswein partecipa alla messa una cum papa Francisco – a beneficio degli inconsapevoli – ma non recita la formula sbagliata della preghiera eucaristica e non nomina il falso papa. Infine, un dato intuitivo. Più di una volta, Mons. Gänswein, parlando in pubblico di papa Benedetto e della sua sofferenza per rimanere ancora in vita, è scoppiato in singhiozzi. Ora, a meno che l’arcivescovo non abbia frequentato l’Actor Studio da giovane, il pianto non si può simulare.

E non è un caso che il motto araldico dell’arcivescovo, nominato tale da papa Benedetto nel 2012, poco prima del ritiro in sede impedita, sia “Testimonium perhibere veritati” – Rendere testimonianza alla verità.