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Pasqua e la strage degli agnelli: smettere di mangiare carne è sostenibile?

Le feste pasquali ripropongono il tema della strage degli agnelli. Ma se non li mangiassimo che fine farebbero gli allevamenti e gli stessi animali?

Agnello con patate al forno

Si avvicinano le feste pasquali e sui social tornano, come ogni anno, i post dei vegetariani contro la tradizione di mangiare l’agnello. Ogni anno in Italia sono macellati oltre 2 milioni di agnelli, 375 mila solo per Pasqua. 

Nella prosa drammatica dei vegetariani, che tende a umanizzare certi fenomeni, questi “teneri cuccioli vengono strappati alla madre ad un solo mese di età e vengono orribilmente macellati, tra atroci sofferenze, per la loro carne, solo per seguire una tradizione religiosa”.

Siamo andati a verificare sul sito “Essereanimali”, dove si sostengono queste tesi, a mio parere estremiste, le motivazioni da parte di un numero crescente di cittadini di ogni età, ma soprattutto da parte di molti giovani. In questo sito si sostiene che dal 2010 al 2016 le macellazioni di agnelli sono diminuite del 50% secondo l’Istat, ma ora la tendenza è stabile.

Andamento macellazioni agnelli – Istat 2021

Dopo la tradizione religiosa è nata una motivazione umanitaria

Termini come “strage di agnelli”, “omicidio”, “indicibili torture” sono utilizzati per condannare una tradizione giudaico-cristiana, di oltre 2000 anni, descritta perfino nella Bibbia (Esodo 12, 1-30). “Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, dell’anno; potrete prendere un agnello o un capretto. Lo serberete fino al quattordicesimo giorno di questo mese, e tutta la comunità d’Israele, riunita, lo sacrificherà al tramonto.”

L’agnello a tavola, una tradizione molto radicata in Italia

Senza ricorrere a testimonianze religiose, quella dell’agnello a Pasqua è comunque una tradizione gastronomica molto radicata in Italia e non solo. Tanto che si rendeva necessaria addirittura l’importazione di agnelli da macellare da altri paesi dell’est europeo, perché gli allevamenti nostrani non riuscivano a far fronte alle richieste. Almeno fino a pochi anni fa, ora la situazione è cambiata.

Il concetto su cui si basano i post dei vegetariani è quello di umanizzare gli agnelli, “rinchiusi in gabbie di ferro che belano terrorizzati dal distacco e dalla lontananza dalla loro famiglia e dal loro mondo”.

L’ accusa rivolta agli insensibili carnivori è di omicidio: “Gli agnellini che mangiate per Pasqua sono dei cuccioli che hanno al massimo 20 giorni di vita, sono questi che vengono macellati, non gli agnelloni. Sappiamo tutti che gli agnellini appena nati che vengono sottratti alla mamma per essere macellati hanno ancora un bisogno affettivo estremo di stare con la mamma, di bere il suo latte ecc. ma questa usanza sradica completamente questo legame”.

Termini come famiglia, mamma, affetto suonano un po’ esasperati per descrivere questo fenomeno. Anche se sono convinto che gli animali, specialmente i mammiferi, diano spesso la sensazione di provare emozioni assimilabili alle nostre, nei confronti dei cuccioli e dei loro “familiari”.

Si pensi agli atteggiamenti degli elefanti che riconoscono un membro della mandria anche dai resti, la socialità dei leoni o delle iene, le comunicazioni e le strategie di caccia delle orche e dei pinguini. Nonostante tutto questo che la zoologia tenta di spiegare, attraverso ricerche tuttora in corso, con l’istinto e anche tracce di sentimento affettivo primordiale, parlare di categorie umane mi sembra il solito meccanismo antropocentrico per spiegare il mondo diverso da noi.

Anche le piante provano emozioni, non solo gli animali

Non comprendiamo appieno le leggi della natura e le differenze tra le specie, ma trattiamo il cucciolo come un figlio nostro e la gallina come una parente. Se è per questo allora si sappia che anche le piante sarebbero in grado di apprendere e comunicare. È stato provato da numerosi studi recentemente. La neurobiologia delle piante ci dice che pure loro avrebbero coscienza di sé e sensibilità al dolore. Allora che facciamo? Neanche più l’insalata dovremmo uccidere!

Dove nasce la simbologia religiosa dell’agnello ?

L’agnello è il sacrificio che compie Gesù facendosi crocifiggere per salvare l’umanità. Per questo Gesù è anche definito “l’agnello di Dio”. Ma già il sacrificio dell’agnello alla divinità era presente nella tradizione ebraica. Per gli ebrei la Pasqua è la liberazione del loro popolo dalla schiavitù in Egitto. Il segnale che Dio diede loro, attraverso l’ultima piaga, dell’uccisione dei primogeniti egiziani, si realizzava attraverso il sacrificio di un agnello per famiglia, per segnare con il suo sangue la porta di casa e avvisare l’angelo sterminatore che lì viveva una famiglia israelita, che andava risparmiata.

Questa tradizione ai vegetariani non piace più. La trovano macabra, di una violenza indicibile. Badate bene, passi pure che Dio mandi un angelo a sterminare il primogenito di ogni famiglia egizia, ma ammazzare l’agnellino no. Secondo Gianpaolo Usai, Educatore Alimentare, estensore dell’articolo sul sito “Essereanimali”: è un omicidio! Quello dell’agnello ovviamente.

Anche Famiglia Cristiana contro la strage degli agnelli

La Chiesa risolve con l’ecumenismo

Pare che tuttavia gli afflati dei vegetariani abbiano fatto breccia nella oligarchia cattolica e anche “Famiglia Cristiana”, per voce di Antonio Rizzolo, direttore della rivista, sembra sposare la loro tesi, contro la strage degli agnelli, arrivando a dire che essa stessa è “ormai lontana da ogni tradizione religiosa. Né ha alcuna giustificazione teologica, in quanto il vero agnello pasquale è Cristo stesso. Si tratta solo di abitudini alimentari che si possono superare”.

Tuttavia non è necessario diventare vegetariani. Nello spirito ecumenico cattolico anche i carnivori possono trovare accoglienza nella Chiesa. “Si tratta – prosegue don Rizzolo – di evitare inutili stragi e maltrattamenti sia nell’allevamento sia nel trasporto. E comunque, diminuire il consumo di carne può fare solo bene, così come mangiare a Pasqua un agnello… sotto forma di dolce.”

Il benessere degli animali

Il benessere degli animali resta comunque una necessità di salute

Qui arriviamo al punto o a uno dei punti fondamentali. Il benessere degli animali. Non c’è dubbio che da questo punto di vista non possiamo che essere d’accordo. I maltrattamenti non servono a niente e possono solo causare danni alle caratteristiche della carne. Da tempo la gastronomia più illuminata sostiene che il trattamento rispettoso della natura degli animali è fondamentale per avere carni eccellenti e sane, che non possano nuocere alla salute umana.

I metodi intensivi di allevamento per polli, conigli, vacche e qualsiasi tipo di animale, pesci compresi, è dimostrato che nuoce alla qualità del prodotto. Del resto da qui e dalle sostanze chimiche e dai farmaci (antibiotici) che si usano negli stessi allevamenti, per ridurre i rischi di malattie, sembrano essere alla base dei disturbi alimentari riscontrabili nell’uomo che se ne serve. Un tempo quando gli allevamenti non erano intensivi, oppure si ricorreva alla caccia di selvaggina, mi pare di capire che certi disturbi e certe malattie non erano cosi diffuse.

Da qui anche la decisione del Parlamento Europeo, il 16 marzo di quest’anno, perché si dia più rilevanza al benessere degli animali allevati. Con un focus specifico sulla proposta, al centro di numerose richieste da parte di cittadini ed eurodeputati di tutte le aree politiche, per la nomina di un Commissario europeo per il benessere degli animali. Si tratta di un passo importante per rendere chiaro l’impegno dell’UE anche sulla sostenibilità e la sicurezza alimentare. Tanto più che la pandemia ha messo in risalto i pericoli derivanti da un’eccessiva sottovalutazione del problema della diffusione dei microbi, dovuta alla vicinanza tra specie selvatiche e specie domestiche, nei mercati di strada.

Se riduciamo i consumi di carne di agnello scomparirebbe la specie

L’effetto della pandemia e gli stili alimentari che tendono a ridurre o a eliminare la carne dalla dieta, hanno determinato la chiusura di alcuni canali di vendita. Gli allevatori, secondo la CIA (Confederazione Agricoltori Italiani) hanno ridotto l’import di ovini del 75%, anche perché molti paesi dell’est non assicurano gli standard qualitativi richiesti dal nostro mercato e dalle nostre leggi.

Con il crollo degli ordinativi di agnello italiano, viene vanificato il lavoro di produzione di tanti mesi – spiega l’ex presidente Cia, Dino Scanavino – la pastorizia è una tipica attività delle regioni appenniniche e delle isole, e svolge una funzione ambientale di presidio del territorio ma ha anche una valenza sociale, accreditata dall’Unesco, che ha dichiarato la transumanza patrimonio culturale immateriale dell’umanità”. Una tesi legittima, ovviamente condivisa anche dai pastori.

Se d’un tratto si dovesse decidere di abolire, per assurdo, questo tipo di commercio, cosa succederebbe? “Scomparirebbe una specie – dice senza mezzi termini Nunzio Marcelli (azienda La Porta dei Parchi, Anversa degli Abruzzi) – per due ragioni: per mantenere in vita un gregge, dunque una comunità organizzata di ovini, è necessario eliminare alcuni soggetti di sesso maschile al fine di garantire la continuità della specie stessa”. In molti non comprendono questa cosa.

Chi mantiene le greggi e le mandrie?

Mantenere i maschi delle pecore, come dei bufali e dei bovini è economicamente insostenibile, in quanto per la riproduzione ne bastano pochi, i più sani e più forti. Gli altri vanno al macello, perché tenerli nell’allevamento creerebbe solo problemi di gestione.

Le tesi di abolire il macello e il commercio di carne quindi pone altri problemi. Chi mantiene le greggi e le mandrie? Con quali mezzi? A quali fini? Non è che li puoi lasciare bradi nei campi. Si porrebbe il problema della loro sicurezza, del riadattamento a una vita selvatica, della salute degli animali, della loro alimentazione. Non saprebbero dove trovare il pascolo adatto. Finirebbero per soffrire e diventare un problema per sé stessi e per noi. Non sono persone in grado di trovare altre possibilità di sopravvivenza. Sono animali, frutto di una evoluzione, distorta dal nostro intervento. Se non li alleviamo più, per volere il loro bene, li costringeremmo a estinguersi. È questo che vogliono i vegetariani?