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O’Reilly contro il Codice Ratzinger, ma il pro Bergoglio svela il genio di Benedetto XVI

La critica dell’ex agente segreto Steve O’Reilly al Codice Ratzinger ha in realtà un effetto totalmente opposto

Particolare del dipinto di Tommaso di Caravaggio

E’ particolarmente umoristica la contestazione inutilmente denigratoria dell’ex agente segreto americano Steve O’Reilly al “Codice Ratzinger”, oggi fra i primi dieci saggi più letti in Italia e da poco tradotto in inglese (per la prima metà).

Come già la blogger Ann Barnhardt, anche O’ Reilly ha definito “gnosi” gli intelligenti messaggi iperlogici, i colti riferimenti storici e biblici del Santo Padre Benedetto XVI che dimostrano l’oggettiva questione canonica della sede impedita: chiaro segno che questi scritti sono al di fuori della loro comprensione, tanto che li assimilano a un linguaggio arcano, magico e imperscrutabile.

Un esempio

Ecco, dunque, un esempio di tale “messaggio alchemico”. Quando papa Benedetto scrive in “Ultime conversazioni” che (come lui) “nessun papa si è dimesso per mille anni e anche nel primo millennio è stata un’eccezione”. Questa non è cabala, ma è un errore storico clamoroso (con dieci papi abdicatari fra I e II millennio) a meno di non considerare proprio le sue dimissioni come dal solo ministerium (come è stato, in effetti) e così individuare perfettamente quel paio di papi (Benedetto VIII e Gregorio V) che nel I millennio furono scacciati da antipapi e persero proprio l’esercizio pratico del potere, ma rimasero papi. Guarda caso, una sede impedita ante litteram.

E questa è storia della Chiesa, logica e diritto canonico, non alchimia, numerologia, o astrologia. Se per O’Reilly si tratta di gnosi e si sente escluso dalla comprensione, questo è un suo (grosso) problema. Peraltro, su 340 pagine del libro, con decine e decine di questioni canoniche e “codicistiche” illustrate in lungo e in largo, O’Reilly non trova di meglio che contestare la dicitura di papa Benedetto “pontefice sommo”, da lui usata durante il congedo da Castel Gandolfo, ma involontariamente ci offre un prezioso contributo.

Codice Ratzinger, l’uso della dicitura “pontefice sommo”

L’americano è riuscito a scovare, forse nei bauli dimenticati nelle soffitte degli archivi ecclesiastici, alcuni rarissimi casi in cui è stato usato “pontefice sommo” al posto del corretto Sommo Pontefice, il titolo ufficiale del papa, tanto che la versione del discorso pubblicata dal Vaticano nel 2013 riporta proprio la dicitura ufficiale “Sommo Pontefice”.

Ecco cosa scrive O’Reilly: “Esempi di “ pontefice sommo” usati per un papa o per un papato sono stati trovati in vari luoghi, come un opuscolo commemorativo di una visita papale. Un’opera teologica di un vescovo durante il dibattito sull’infallibilità papale nel 1870 che usa ripetutamente “pontefice sommo”. Esempi sono stati trovati anche negli Acta Apostolicae Sedis (AAS) , inclusa una traduzione ufficiale di un’enciclica, così come vi sono altri esempi negli AAS di un papa che ha usato “pontefice sommo” in più di un’occasione”.

Accidenti! Chissà quanta polvere avrà respirato il povero O’Reilly per andare a scovare questi usi rarissimi nelle soffitte degli archivi vaticani.

Ma il blogger Usa non ha capito due cose: la prima è che la posposizione dell’aggettivo, oltre che insolita, produce – nella lingua italiana –  incontestabilmente un cambiamento di significato. Probabilmente, in inglese non si capisce, ma ho fatto l’esempio del titolo cavalleresco “Grande Ufficiale”. Un conto è dire (in italiano) “non sarò più Grande Ufficiale”, il che vuole dire perdere un ordine cavalleresco. Altro significato è dire “non sarò più un ufficiale-grande”, che diventa una mesta previsione sul futuro della propria carriera militare.

Dire “non sarò più pontefice sommo”, in italiano vuol dire esattamente, “non sarò più il papa al sommo vertice”, (perché ve ne sarà un altro più in alto di me).

Il latinista prof. Gian Matteo Corrias conferma: “La posposizione dell’attributo “sommo” non è neutra, perché intacca un titolo (Sommo Pontefice) che è fisso, e crea uno spostamento semantico: pontefice al più alto grado”.

Il colpo di genio di Papa Benedetto

Il prezioso – quanto involontario – contributo di O’Reilly consiste però nel fatto che ci ha segnalato come papa Benedetto, per costruire a perfezione questa ennesima anfibologia, abbia evidentemente saputo ricorrere (grazie alla sua enorme cultura) a un uso rarissimo e antico del titolo papale, quello invertito di “pontefice sommo”.

Ciò che O’Reilly non ha compreso è che Benedetto XVI, utilizzando consapevolmente una desueta e rara espressione invertita del titolo pontificale, ha potuto produrre una delle sue perfette, meravigliose anfibologie. Se avesse detto “Non sarò più Sommo Pontefice”, la frase sarebbe stata univoca. Con “pontefice sommo”, invece diventa anfibologica. Ovvero, chi vuole intendere che lui non è più papa, può attaccarsi al raro titolo invertito rispolverato da O’Reilly; chi “ha orecchie per intendere”, ovvero normalissimo buon senso e istruzione dell’obbligo, capisce perfettamente il cambiamento semantico comportato dall’inversione, del tutto coerente con la sede impedita. A voi la scelta.

E’ un tratto tipico del Codice Ratzinger: resta sempre un tanto d’ombra per gli increduli, come dice Pascal. E’ la stessa anfibologia usata da Benedetto quando lui dice: “Ho validamente rinunciato al mio ministero”. Siccome sia il munus che il ministerium si traducono con la stessa parola “ministero”, il bergogliano medio crederà che ha rinunciato al munus ed ha abdicato; il vero cattolico e la persona intellettualmente onesta sa che invece ha rinunciato al ministerium, come da Declaratio, cosa che lo manda in sede impedita.  Allo stesso modo sappiamo che – oggi – il titolo papale ufficiale è Sommo Pontefice, visto che il Vaticano lo ha inserito così nella trascrizione del discorso.

Quindi ringraziamo O’Reilly perché, andando a scovare questo rarissimo, pleistocenico uso ecclesiastico di “pontefice sommo”, ci ha mostrato ancora una volta l’intelligenza sovrumana, la cultura profondissima di papa Ratzinger che pone sempre i cattolici davanti a una scelta tra “via larga e via stretta”: o vi accontentate della propaganda mainstream e dell’ipnosi bergogliana, oppure studiate il diritto canonico e cercate di capire cosa sia la sede impedita. Dipende da quanto tenete alla verità e alla vostra anima.   

Ciò che resta di oggettivo è che papa Benedetto usa costantemente queste anfibologie: la luce e l’ombra sono sempre presenti e questo fatto non è, e non potrebbe mai essere casuale.

La seconda cosa da capire per O’Reilly è che papa Benedetto usa queste anfibologie perfette per poter ritagliarsi uno spazio per dire sempre la verità: egli non può esprimersi in modo univoco proprio perché è in sede impedita (nessun prigioniero è mai libero di parlare) e lui ha promesso di essere “obbediente e reverente” al suo carceriere. 

Come scegliere, dunque, quale dei due versanti ci pone il papa? Approfondendo, studiando, tornando alle fonti. Soprattutto, basandoci sul diritto canonico: la verità oggettiva è che rinunciando in modo differito e non ratificato al ministerium, il Santo Padre ha annunciato di essere in sede impedita, mentre per abdicare avrebbe dovuto rinunciare simultaneamente e “rite” (cioè correttamente dal punto di vista formale) al munus. Se non bastasse l’enciclopedia di evidenze di “Codice Ratzinger”, si citi il titolo del gruppo di studio appena raccolto dai canonisti dell’Università di Bologna: “Sul papa impedito e il papa emerito”. Strano, eh? E se vi occorre, ancora, un aiutino proprio da papa Benedetto, andate a leggere nel libro di Geremia, come lui stesso ha raccomandato di dire a Mons. Gaenswein ai presentatori della Lumsa indicando che “la risposta è lì”. Leggerete: “Quindi Geremia ordinò a Baruc: «IO SONO IMPEDITO e non posso andare nel tempio del Signore”.

Ma O’Relly contesterà che Benedetto “non ha indicato un versetto preciso”. E allora gli diciamo: “Va bene così, Steve, ha ragione lei”.