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Ogni storia d’amicizia autentica è una grande storia d’amore

Questo pezzo vuole raccontare di C., un’amica meravigliosa che non ho più, ma che non ho mai dimenticato

Negli anni più vulnerabili della  giovinezza … F.S. Fitzgerald, Il Grande Gatsby

Questo pezzo vuole raccontare di C., un’amica meravigliosa che non ho più, ma che non ho mai dimenticato, che esiste e vive in una  città e in un tempo che non sono più comuni,  perché non è più mia amica da molti molti anni. Esattamente ventuno anni. Per tanto tempo ho cercato C. nelle amiche che ho incontrato, credendo di scorgerla, di intravederla in quelle che negli anni si  sono succedute, ma niente, nessuna era come C.

Quelli che io e lei abbiamo vissuto assieme erano gli anni dell’adolescenza, della ragazza dai lunghi capelli rossi di 13 anni che suonava il valzer dell’addio di F. Chopin in camera sua e io l’ascoltavo estasiata, alta uno spropositato 1,84 cm e sempre pronta a fare battute su tutto e tutti. Gli anni dell’ultima grande rivoluzione del rock, quella del cosiddetto “ grunge”, ma noi non potevamo saperlo. Avevamo comprato ‘Nervermind’ ,  ‘Ten’ , 'Dirt' e 'Versus' e con ‘In Utero’ si concluse un’epoca, mesi dopo la sua uscita.

Scappate di casa per incontrare gli U2 in quel di via Veneto all’Hotel Majestic, dritta che ci era stata fornita telefonando da una cabina al quotidiano "Il Messaggero" e chiedendo di parlare con Paolo Zaccagnini, li avevamo visti, finalmente, alle due del mattino, ma non era stato come nei nostri sogni di ragazzine. Una guardia del corpo, infatti,  mi aveva dato un pugno allo stomaco e addio bacio al mio Bono!

A C., con Adam, era andata meglio, aveva potuto scattare delle belle fotografie, in un’epoca senza telefonini e internet  non era cosa da sottovalutare. L’indomani eravamo in fila, col sole a picco alle 14,00 di quel 6 luglio 1993, per il nostro primo concerto degli U2, al Flaminio, e aprivano anche i nostri Pearl Jam come ‘spalla’ assieme agli irlandesi anch'essi, ormai perduti nel tempo, An Emotional Fish.

Pomeriggi interi in cui, tra una versione di greco e una di latino, leggevamo tutto William Shakespeare, della quale opera omnia interpretavamo con voci pseudo comiche tutti i personaggi. Talvolta, inquiete e un po’ alienate, ci prendevamo troppo sul serio e ci sentivamo come ‘Lo straniero’ di Albert Camus e andavamo prima in  treno e poi in taxi a sostenere Kurt all’American Hospital quel 5 marzo 1994.

Avevamo anche provato a tagliarci e cucirci degli strani, oggi sarebbe meglio dire improbabili, abiti rigorosamente total black di raso, tulle e tante spille da balia, giacché un’altra passione erano i Sex Pistols, Malcom McLaren e la ‘musa’ Vivienne Westwood.

Era autoironica, leggeva 'Cuore' di Michele Serra a 14 anni, ma anche testi ben più profondi come le 'Memorie dal Sottosuolo' di Fedor Dostoevskij. Del nostro duo, lei era quella divertente, ironica, parecchio cinica, io invece la sentimentale, sempre innamorata, sempre poetica, quasi enfatica, quella da proteggere. E lei mi proteggeva. Mi aveva riparato dal pogo selvaggio al Palaghiaccio di Marino al concerto dei nostri Nirvana. Mi proteggeva sempre dalle botte, C., ai concerti, con la sua altezza, la sua presenza, con la sua solidità.

Poi un giorno, una brutta storia di famiglia per C., un padre ottuso, una madre che pur capendo non voleva vedere, una figlia tanto, troppo sensibile, troppo profonda, intelligente e, infine, il malessere, la sua fragilità. Non credevo potesse mai cadere C., dall’alto del suo metro e ottantaquattro, non poteva succedere, ma accadde.

“Io sono qui in camera e ti vedo dalla finestra che prendi il treno. Tu vai, io resto qui”, aveva 16 anni quando me lo disse. Non abbiamo mai più preso quel treno insieme, lei restava a guardare dalla finestra della sua camera. Ogni storia d’amicizia autentica è una grande storia d’amore.

In questi giorni, ripensando a C., ho capito che l’avevo sempre cercata sperando un giorno di ritrovarla, ma adesso so che non potrò mai più  ritrovarla, perché C. era la mia giovinezza, quella spensierata, durata solo brevi istanti e naufragata in un modo doloroso.

Quella giovinezza senza alcuna necessità, quella dei 14 anni a guardare il cielo stellato dal balcone della mia camera nella bella casa dei miei nonni assieme a lei in una sera di fine estate, ascoltando e cantando a memoria “Like a song” immaginandoci accanto a quegli eterni ragazzi di Dublino che amavamo tanto.

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