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Nuovi padroni a Repubblica. Arriva la multinazionale Exor degli Agnelli-Elkann

L’annuncio è ufficiale: insieme al giornale fondato da Scalfari passeranno di mano La Stampa, L’Espresso e diverse altre testate

Un “affaruccio” da 102,4 milioni. In cambio della quota di controllo di Gedi. Che oggi è della Cir e domani diventerà della Exor.

Prima raccomandazione: non fermatevi ai nomi delle società, anzi delle holding, coinvolte nel business. Cir significa De Benedetti. Exor significa Agnelli-Elkann. Cir è un gruppo italiano. Exor è una multinazionale olandese. La globalizzazione, oh yes.

Benché il capitalismo sia sempre più apolide, e quindi “italiano” e “olandese” siano ormai degli aggettivi molto meno pregnanti di un tempo, è bene ricordare che la galassia Fiat ha spostato già da anni i suoi assi portanti fuori dal nostro Paese. E la stessa consapevolezza bisognerebbe averla per le tante altre aziende – per i tanti altri marchi – che hanno conservato la denominazione originaria e che perciò continuano a sembrarci nostrani, quando invece non lo sono più. Vedi, per citarne solo uno, la Banca Nazionale del Lavoro.

Seconda raccomandazione: mettete bene a fuoco la portata della vendita e il suo effettivo contenuto.

Come si legge sul suo sito ufficiale, “GEDI Gruppo Editoriale è uno dei principali operatori italiani nel settore dei media, attivo nelle seguenti aree di business: Stampa, Radio, Pubblicità, Digitale. GEDI, quotato alla Borsa di Milano, è editore di la Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX, 13 testate locali, il settimanale l'Espresso e altri periodici. Fanno parte del Gruppo anche 3 emittenti radiofoniche nazionali (Radio Deejay, Radio Capital, m2o). GEDI opera, inoltre, nel settore internet e raccoglie la pubblicità, tramite la concessionaria Manzoni, per i propri mezzi e per editori terzi”.

A passare di mano, quindi, non è solo il quotidiano fondato nel 1976 da Eugenio Scalfari, ma una buona fetta dell’editoria nazionale. E checché ne dicano i comunicati ufficiali ci saranno fatalmente delle conseguenze. Anche di natura prettamente editoriale: perché nessuno spende cifre di questa entità per lasciare che a decidere i contenuti, e gli orientamenti, sia qualcun altro che agisce in totale autonomia.

Il comitato di redazione di Repubblica ha prontamente rilasciato una nota in cui rivendica una piena continuità col passato, che peraltro andrebbe messo a fuoco in maniera molto più approfondita e senza dare per scontato che con l’andare degli anni, e l’avvicendarsi dei direttori, il profilo sia davvero rimasto lo stesso.

Il testo integrale è il seguente: “I giornalisti di Repubblica si impegnano a difendere i valori, la storia e l’identità del giornale, sia durante sia dopo il perfezionamento del nuovo assetto proprietario. Accolgono e sostengono la volontà espressa dal Direttore, Carlo Verdelli, di farsi garante di questi valori insieme alla Redazione. Inoltre ribadiscono, sin da ora, che riterranno irricevibile qualsiasi ulteriore intervento sul costo del lavoro e sui livelli occupazionali, così come eventuali modifiche al perimetro di Repubblica”.

Sarà tutto da vedere – sarà tutto da verificare – come la proclamata difesa di questo e di quello si tradurrà in fatti concreti. E in eventuali dissidi con i nuovi padroni.

Oops: con il “nuovo assetto proprietario”.

Il mito della libera stampa

Che gli editori, e i relativi stipendiati, operino al di fuori delle proprie convinzioni e dei propri interessi è per forza di cose impossibile. Ma si tratta di una di quelle tipiche verità che, paradossalmente, sono rese più insidiose dalla loro stessa evidenza: essendo così lapalissiane si finisce per sottovalutarne le effettive ripercussioni. E quindi si omette di sollecitare quei provvedimenti normativi che potrebbero, se non eliminare il problema, quantomeno ridimensionarne l’ampiezza. E la gravità.

Una prima e fondamentale misura, invece, sarebbe lo stabilire una separazione assoluta tra le imprese di ambito editoriale e quelle di qualsiasi altro settore. Ovviamente questo non basterebbe a escludere del tutto accordi (e connivenze) sottobanco, ma se non altro farebbe risaltare come innaturale e deprecabile il costante asservimento alle strategie altrui.

Rimaniamo sulla notizia di oggi: chi può mai credere, con buona pace della deontologia professionale e delle rivendicazioni di rito dei “colleghi giornalisti”, che le testate della Gedi non saranno affatto condizionate dal passaggio nelle mani della Exor?

Nella migliore delle ipotesi, le future notizie negative concernenti la holding degli Agnelli-Elkann – o degli Elkann-Agnelli, visto che il capofila è appunto l’ormai 43enne John Elkann – verranno sì pubblicate per non esporsi ad accuse di censura, ma calibrandole con la massima cautela allo scopo di non arrecare il benché minimo nocumento. Un ventaglio assai ampio, a ben vedere. Danni di immagine. Di percezione da parte degli investitori di Borsa. O persino di carattere giudiziario, laddove si trattasse di aspetti meritevoli di autentiche inchieste e con possibili implicazioni giudiziarie.

Che poi queste commistioni siano la regola, a cominciare dal caso ancora più clamoroso del conflitto di interessi di Berlusconi, è solo un’aggravante. A dover essere ripensato è l’intero assetto dell’editoria. E che oggi questo obiettivo appaia una chimera da utopisti la dice lunga su quanto l’assuefazione ci abbia avviluppati: accettare le realtà sbagliate non è sano realismo. È conformismo patologico, e della peggiore specie.

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