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Natale in casa Latella

L’opera di Eduardo De Filippo al Teatro Argentina per la regia di Antonio Latella

Dal 3 dicembre al 1 gennaio 2015 è in scena al teatro Argentina di Roma “Natale in casa Cupiello” di Eduardo de Filippo, per la regia di Antonio Latella.

Il regista napoletano, sostenuto dalla vigorosa recitazione della sua compagnia ( Francesco Manetti, Monica Piseddu, Lino Musella, Valentina Vacca, Francesco Villano, Michelangelo Dalisi, Leandro Amato, Giuseppe Lanino, Maurizio Rippa, Annibale Pavone, Emilio Vacca, Alessandra Borgiadi ) rende omaggio a Eduardo con lo spettacolo che rientra nel programma “Roma per Eduardo”, realizzato dallo Stabile capitolino per celebrarne il trentennale della scomparsa.

Latella si è sempre misurato con testi classici per rielaborarli e darne una versione molto contemporanea. In quest’ottica ha sostituito la solita chiave di lettura borghese con una nuova, stravolgendo il teatro tradizionalmente inteso di Eduardo, e portando in una dimensione altra gli spettatori più nostalgici del realistico allestimento con il presepe, le stanze, i vestiti, le sedie, i piatti, le tendine, i quadri, le tazzine di caffè, attraverso una riscrittura e una interpretazione libera e provocatoria dei tre atti.

Dodici attori sono stagliati sul proscenio, ognuno bendato con una mascherina da notte, mentre una enorme stella cometa fatta di fiori gialli cala alle loro spalle. Uno di loro stringe fra le braccia una sgargiante scimmia di peluche (animale ricorrente negli spettacoli del regista) e rimane tutto il tempo in disparte. Luca Cupiello rompe il silenzio e scrive ininterrottamente nell’aria il testo, che è il vero protagonista del primo atto, insieme alla lingua, qui più che mai, pregna di simboli e riferimenti alchemici e sacri: dalla colla, al caffè, ai fagioli, al brodo, all’acqua.

Il napoletano è una delle lingue con più accenti possibili, Eduardo stesso dice di utilizzare sempre gli accenti nei suoi testi, perché è in questi che c’è l’azione emotiva.

I personaggi bendati a poco a poco si “risvegliano” contraendo o distendendo all’unisono, a seconda degli accenti gravi o acuti. Un Luca Cupiello stilizzato, con toni forti, incazzosi, che non mettono in ombra la sua fragilità e umiltà, attacca bottone sulla casa, i vestiti dello zio venduti da Tommasino, i segreti, le tradizioni forzate e le insofferenze di famiglia. E’ alle prese con il suo presepe, quello che Latella definisce «L’ossessione di Luca Cupiello, la rappresentazione di una “Sacra Famiglia”, di una famiglia perfetta come illusione destinata a sgretolarsi», «La natura morta è la realtà che interessa a Luca Cupiello, nella ricostruzione simbolica di un ideale di famiglia e di società, un ideale che vede nel Presepe la massima esaltazione e perfezione».

L’eterno Natale in famiglia inizia così a srotolarsi mentre gli equilibri familiari si alterano fino alla distruzione. Ma Luca in conflitto tra realtà e sogno non si rassegna: «mo’ miettete a fa’ ‘o presepe nata vota. Cominciamo da capo tutto» è la voce di Eduardo che prende parte alla messa in scena.

La stella gigante e luminosa scompare lasciando il posto ad un carro funebre che si muove accogliente e minaccioso, imprigiona gli animi, inquina le comunicazioni, rivela tradimenti. E’ trainato da Concetta, la moglie di Luca, che trascina con fatica come Madre Coraggio il peso della famiglia, e cerca di rimettere insieme i pezzi mentre tutt’intorno è il caos. I personaggi hanno tra le mani un animale gigante di pezza, il cammello, il tacchino, il cappone, la gallina, il maiale, ognuno il più simile a sé, tutti finiscono stipati nel carro. Gli animali evocano sia quelli del presepe, sia il cibo che viene mangiato durante il Natale.

Il tentativo di ricomporre il presepe di Luca è vano. Egli è ormai parte del presepe: giace nella mangiatoia nudo come un bambinello, il dolore è fasciato di pelle e ossa.

Latella crede molto nell’importanza dell’incontro tra la vecchia generazione e la nuova. E’ importante che il figlio continui a non apprezzare il presepe del padre perché in questo modo permette al padre di mantenersi vivo e contemporaneo, provando ogni anno ad aggiungere qualcosa di nuovo al presepe perché un giorno il figlio possa apprezzarlo. Nel momento in cui il figlio lo apprezza sa che sta uccidendo il padre poiché è pronto a raccoglierne l’eredità.

Dall’alto scende alato l’arcangelo Raffaele, che non porta nessuna buona notizia. L’uomo rimasto in disparte con la scimmia è un tenore, e annuncia ai familiari il suo verdetto sulla salute del paziente con l’aria di Basilio nell’opera rossiniana «E il meschino calunniato, avvilito, calpestato, sotto il pubblico flagello per gran sorte va a crepar»

Circondato da donne nero vestite, strette attorno ad una Concetta caravaggesca, Luca chiede al figlio «Tommasì…te piace o presepe? » «…Sì»

Il figlio affranto ai piedi della mangiatoia, non riesce a sostenere l’agonia del padre e lo soffoca con un cuscino.

Non c’è più “spazio” per la rappresentazione, a completare il “quadro” giungono dal fondo anche il bue e l’asinello, veri.

In casa Latella non c’è traccia dell’atmosfera e dei sentimenti buoni evocati dalla famosa commedia tragicomica scritta da Eduardo nel 1931. Dietro al presepe è ammucchiato e impolverato tutto quello che non si vuole vedere o che non si vuole accettare. Gli squilibri familiari, le aspirazioni dei genitori e la libertà dei figli di avere valori diversi, distanti, inconciliabili. Vuoti di senso sempre più difficili da colmare che diventano risacche di risentimento, di odio, e che trasformano in una brutta copia le statuine del presepe: ipocrite, immerse in un rituale funebre di interessi e di apparenze, in abiti formali, troppo stretti per le emozioni e i sentimenti, immobili poiché non ci sono nascite in vista… Il Natale è morto, evviva il Natale!

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