Milano, su il business, giù la politica. Corruzione forse no. Confusione sicuramente sì
Le indagini della magistratura ci diranno se l’attività di lobbying che mira a orientare le decisioni di governo sia rimasta nei limiti dei rapporti istituzionali

Confusione di ruoli, con persone che fanno parte della Giunta comunale o delle relative Commissioni tecniche ma che sono allineate alle visioni dei grandi costruttori edili. E che quindi, fatalmente, ne sostengono i progetti e fanno tutto ciò che possono affinché vengano approvati. Muovendosi sul confine ambiguo che separa le pressioni spregiudicate, ma non ancora criminose, dai reati veri e propri.
Le indagini della magistratura ci diranno se quel confine è stato effettivamente superato. Se l’attività di lobbying che mira a orientare le decisioni di governo sia rimasta nei limiti dei rapporti istituzionali tra amministratori pubblici e soggetti privati. O se invece si sia trasformata in illeciti oggettivi, tra violazione di norme e favori indebiti. Dal voto di scambio – tu mi fai arricchire, io ti faccio rieleggere – alla concessione di “denaro o altra utilità” quale contropartita dell’avallo ricevuto.
C’è un errore da non fare, però.
E questo errore è credere che il problema coincida solo con i suoi risvolti giudiziari. Come se le eventuali assoluzioni (e figuriamoci la sopravvenuta prescrizione) bastassero a rendere nitido e indiscutibile questo modo di procedere. Che in chiave mediatica si può definire “modello Milano” ma che evidentemente non riguarda il solo capoluogo lombardo.
L’intreccio, al contrario, è assai più ampio. Assai più insidioso. Condizionato com’è dall’appiattirsi della politica sulle logiche della “crescita” economica. Nel falsissimo presupposto che vi sia una coincidenza automatica tra sviluppo del business e miglioramento delle condizioni generali della popolazione.
Chi non regge… bye-bye
Un abbaglio, o un inganno deliberato, che proprio a Milano ha la sua plastica rappresentazione: svettano i nuovi grattacieli, a generare e simboleggiare gli enormi profitti per chi li costruisce, e l’impatto si scarica anche altrove.
I prezzi immobiliari vanno alle stelle e lo fanno a scapito dei tanti cittadini che non sono più in grado di sostenere i costi del continuare a vivere lì. Milano si trasforma in una specie di Manhattan e chi non se la può permettere viene espulso senza pietà.
Senza neanche dirlo: è una cosa che semplicemente avviene.
Senza assumersene nessuna responsabilità, né morale né politica: il mondo va avanti e chi resta indietro se la deve prendere con sé stesso. Con la propria incapacità di essere all’altezza dei nuovi scenari che si vanno imponendo: una metropoli di rango internazionale che è sempre più attrattiva per i ricchi e sempre meno compatibile con le esigenze, abitative e non solo, di chi ricco non è. O quantomeno, se non proprio ricco, con un reddito medio alto.
Quelli che hanno votato Beppe Sala, innalzandolo a sindaco nel 2016 e riconfermandolo nel 2021, dovrebbero domandarsi se era questo ciò che volevano.
O se invece, dietro le illusorie etichette del progressismo sui diritti civili e con la copertura innanzitutto del PD, si celava l’intenzione precisa e serrata di alterare drasticamente il tessuto urbano. Spacciando per rigenerazione, a beneficio di tutti, uno stravolgimento dell’identità socioeconomica collettiva, a vantaggio di pochi.
Il mito dei “tecnici”, neutrali e salvifici
Ci siamo passati in ambito finanziario. Da Ciampi a Monti e a Draghi, per citare solo i casi più eclatanti (e più noti).
I politici di professione annaspavano, sotto l’urto delle tempeste speculative di turno, e in loro soccorso accorrevano gli specialisti del settore bancario o del mondo accademico.
Motivazione ufficiale: loro sì che capiscono. E siccome capiscono, va da sé che troveranno le soluzioni. Che per forza di cose dovranno essere in accordo, o se non altro non in antitesi, con i dettami/diktat provenienti dall’estero. Ma che allo stesso tempo e per quanto possibile saranno pure, come no, nell’interesse dell’Italia tutta.
Teorema implicito: l’economia è una scienza e perciò le valutazioni di chi padroneggia quel sapere sono di per sé obiettive. Se la politica vi si conforma fa ciò che è giusto e necessario. Non sta mica soggiacendo a un’architettura teorica arbitraria, che mira a privilegiare determinati attori, bensì riconoscendo dei principi universali. Con i quali è indispensabile convivere, se si vuole evitare di esserne travolti.
Il teorema è diventato un dogma. E si è espanso ad altri ambiti, le cui dinamiche sono a loro volta ispirate ai classici principi del liberismo: massimizzare i profitti con ogni mezzo e senza badare troppo (o non badando per niente) alle ripercussioni che ne deriveranno a carico della generalità della popolazione.
Milano, appunto. La Milano by Beppe Sala & C.
Così ricca, così snaturata
Invece di amministrare la città per renderla più funzionale ai suoi abitanti attuali, a partire da quelli di più lunga permanenza che ne incarnano l’identità e ne perpetuano l’anima, la si proietta verso un futuro assai diverso e prontissimo a rinnegare il proprio passato.
Sino a farne un luogo (una location…) in cui il fattore unificante dei residenti non sono più le origini condivise ma il reddito spendibile. Una sorta di prodotto che viene offerto, a caro prezzo, sul mercato internazionale e che è destinato a chiunque sia in grado di pagarlo.
Più che una cittadinanza, una clientela.
Più che una città – in cui le nuove generazioni sono comunque le eredi di quelle che le hanno precedute e ne conservano, pur con gli inevitabili aggiornamenti, certi tratti fondamentali – un comprensorio di lusso che si innesta sulle strutture preesistenti ma di fatto le travalica e le snatura. Salvo conservare certi scorci perché a loro volta pregiati o in qualche modo suggestivi.
Una “Nuova Milano”, o una “New Milan”, che nella sua smania di brillare di nuova luce è disposta a far calare le tenebre dell’oblio su ciò che è stata.
Disposta, o addirittura impaziente. In base a un’idea perversa di modernizzazione a oltranza e di speculazione, non soltanto edilizia, senza limite alcuno.
È ciò che accade quando i “tecnici” si sostituiscono ai politici e le rispettive differenze si attenuano sino a scomparire. Ed è ciò di cui tutti noi dobbiamo avere una totale e rigorosa consapevolezza: la competenza dei tecnici è sì indispensabile, ma solo per tradurre in realtà le decisioni della politica.
Altrimenti diventa usurpazione di ruoli non suoi. E spiana la strada a quel pericolo enorme, e sottovalutato, che è la tecnocrazia.
Gerardo Valentini – presidente Movimento Cantiere Italia