Prima pagina » Cronaca » Metodi alternativi alla sperimentazione animale: si può

Metodi alternativi alla sperimentazione animale: si può

Il resoconto della conferenza che si è svolta a Roma Tre

Si è svolta ieri pomeriggio, nell’Aula F del Dipartimento di Scienze dell’Università di Roma Tre, la conferenza sui metodi alternativi alla sperimentazione animale. Al tavolo, Candida Nastrucci e Massimo Tettamanti, due dei componenti del tavolo tecnico ministeriale voluto dall’ex ministro alla Salute del Governo Monti, Renato Balduzzi, un anno fa, proprio per discutere di sperimentazione animale. Al loro fianco, anche la psichiatra Carla Ramacciotti.

L’incontro è stato reso possibile grazie alla collaborazione tra la lista universitaria Direzione Futuro e l’Associazione Memento Naturae che, dal giorno della sua nascita, ormai 8 anni fa, combatte per avere l’opportunità di entrare nella Facoltà di Scienze di Roma Tre e discutere di metodi alternativi. Anche Memento Naturae, infatti, era presente all’incontro, per il tramite del suo portavoce Riccardo Oliva, che ci ha spiegato tutte le fasi della richiesta di incontro con la Facoltà di Biologia, “visto che già allora la tematica dei metodi alternativi iniziava a circolare”. Ma la risposta fornita dall’Università è stata questa: “Ci hanno detto che agli studenti non interessava, perché già conoscevano i metodi alternativi ma consideravano l’utilizzo degli animali come una parte propedeutica della ricerca didattica”. E dopo 8 anni, arrivare a Roma Tre “è una gran bella rivincita”.

Unanime la voce di quanti hanno assistito, non solo studenti, ma anche esterni: la conferenza ha rappresentato un alto momento di discussione, incentrato su tematiche, ad oggi, considerate spesso scomode. Lo scopo dell’incontro – è bene precisare – non era quello di andare contro la sperimentazione animale, ma quello di essere propositivi nei riguardi dei metodi alternativi. “Perché la cultura si crea senza pregiudizi ideologici” – come ha spiegato Manuel Sagnotti, della lista Direzione Futuro.

Le alternative sostitutive alla sperimentazione animale, sono metodi indipendenti di ricerca, che possono riguardare varie tecniche, e che hanno come fine ultimo la salute umana” – ha dichiarato la dott.ssa Nastrucci, in apertura al suo discorso. E poi ha specificato: “Il dato più rilevante, e dal quale bisogna partire è uno solo: la sperimentazione animale non ha ripercussioni solo sugli stessi animali. Sono molti i fattori che incidono su questo tipo di ricerca scientifica”.  Tra questi fattori, quelli economici: “si tratta sempre di soldi”, ha dichiarato. Di mezzo ci sono i finanziamenti e la vita stessa delle case farmaceutiche, definite “Big Pharma”, che “governano la salute in Italia, e in tutto il mondo”. Di conseguenza, nemmeno la politica è esclusa dagli interessi che si celano dietro la ricerca scientifica basata sulla sperimentazione animale. “Si tratta di un business che racchiude moltissime aree della nostra vita”, ha aggiunto.

I metodi alternativi, come ci spiega la Nastrucci, si basano sulle “3 R”, ovvero Replacement (sostituzione degli animali), Reduction (riduzione del numero di animali coinvolti) e Refinement (raffinamento delle tecniche di ricerca). La ricerca alternativa, menzionata nelle direttive europee, tuttavia non è ancora un metodo affermato in Italia. “I modelli non-umani – spiega Nastrucci citando Balls, della ECVAM – sono ancora usati nonostante la rilevanza per gli esseri umani non sia mai stati, e forse mai sarà, stabilita in maniera soddisfacente”. A questo proposito, il National Research Counsil, in America, ha concluso che per quanto riguarda i test di tossicità, bisogna utilizzare campioni o cellule umane, in quanto i risultati provenienti dagli studi effettuati sugli animali potrebbero non essere confermati se trasposti sull’uomo.

Per questo, l’obiettivo finale dei metodi alternativi è il c.d. “full Replacement”, ovvero la completa sostituzione delle procedure su animali vivi, sia per quanto riguarda la ricerca più strettamente scientifica, sia per quanto riguarda l’istruzione. Un obiettivo non difficilmente raggiungibile, se si considera che non tutta la sperimentazione animale è obbligatoria per legge. Non lo è, ad esempio, “nel campo della ricerca di base” – continua Nastrucci, cioè quella che si porta avanti nelle Università.

Vi è, però, un’area obbligatoria, definita “ambito regolatorio”, che è quella che viene prima dei trial clinici. In questo, sono previste più fasi della sperimentazione: la fase 0, quella sugli animali; la fase 1, quella della farmacologia clinica, che valuta gli effetti della tossicità; la fase 2, inerente l’indagine clinica iniziale per valutare gli effetti del trattamento; la fase 3, ovvero la valutazione del trattamento su larga scala; infine, la fase 4, quella della farmacovigilanza.
Tuttavia, l’azione del farmaco dipende da alcuni fattori, tra i quali la farmacodinamica (cioè, come il farmaco incide sull’organismo), la farmacocinetica (cioè, come l’organismo cambia gli effetti del farmaco sull’uomo. I risultati quindi possono essere diversi sull’uomo, rispetto a quelli sperimentati sull’animale, anche in base alle condizioni ambientali in cui si vive) e l’interazione tra farmaci.

Ancora una volta, quindi, la dott.ssa Nastrucci ha sottolineato come i metodi di sperimentazione animale possano dimostrarsi fallaci se trasposti sull’uomo. Nonostante questo, però, la statistica europea dell’utilizzo di animali nel 2010 relativa a 27 Paesi, evidenzia un utilizzo di esseri non-umani pari a 12 milioni di animali l’anno. Di questi, solo il 23% rientra nella sperimentazione animale obbligatoria per legge. All’interno di questo 23%, l’8% di animali è stato impiegato nell’area della tossicologia. “La restante percentuale – ha dichiarato ancora Nastrucci – fa riferimento ad aree che potrebbero rientrare nell’ambito del Replacement”.
Per quanto riguarda l’Italia, la penultima statistica mostrata da Nastrucci, parla di 2,6 milioni di animali utilizzati per la sperimentazione. Di questi, alcuni sono i c.d. primati del vecchio mondo. Il che, vuol dire che si tratta di animali importati da Paesi dai quali vengono letteralmente strappati dal loro habitat naturale. “Ogni numero di quelli mostrati – ha sottolineato Nastrucci – corrisponde a un individuo animale”.

Ma se si pensa alle stime dei costi, è facile capire perché la sperimentazione animale sia ancora considerata il baluardo della ricerca scientifica. Relativamente alle cifre esposte da Nastrucci, “per l’8% in tossicologia, sono stati usati 1 milione e mezzo di animali, per un costo pari a 620 milioni di euro. Nell’anno successivo, le industrie farmaceutiche hanno venduto per un fatturato complessivo a 480 miliardi di euro”.

Eppure, lo stesso direttore del National Institute of Health (USA), ora membro della Sanofi Aventis, ha dichiarato che nel corso degli anni i ricercatori “hanno fatto eccessivo affidamento sugli animali. Ma ora è giunto il momento di focalizzarsi su nuove metodologie”, che si basino anche “sugli esseri umani”.

In Italia, però, il nuovo decreto del governo Renzi, non ancora in Gazzetta Ufficiale, pur ponendo dei limiti per quanto riguarda l’utilizzo di animali, prevede espressamente delle possibilità di deroga a tali limiti. “Ogni volta che c’è una deroga, è come non avere un divieto” – ha incalzato Nastrucci, che ha anche sottolineato come nell’art. 41 del decreto venga stanziato, a decorrere dal 2014 per il triennio successivo, 1 milione di euro da suddividersi in due fette: un 50% destinato alle Regioni e alle Province autonome per percorsi di formazione e di aggiornamento per tutti gli operatori degli stabilimenti autorizzati (allevatori, utilizzatori, commercianti – come specifica l’art. 20 del decreto stesso) per essere istruiti su come trattare gli animali; l’altro 50% da destinarsi agli istituti zooprofilattici sperimentali per l’attività di ricerca e sviluppo sui metodi alternativi, e quindi “non alle Università per sviluppare o divulgare le alternative” – ha sottolineato Nastrucci. Il 50% di 1 milione di euro è pari a 500mila euro, ma “un ‘laboratorio-base’ si attrezza come minimo con 3 milioni di euro” – ha spiegato ancora la Nastrucci, sottolinenando l’assurdità di una cifra così irrisoria destinata ai metodi di ricerca alternativi.

Nemmeno il campo della ricerca psichiatrica è esente dall’utilizzo di animali. È stata la dott.ssa Carla Ramacciotti a spiegare che, nel campo psichiatrico gli effetti sull’animale son ben diversi da quelli che si possono poi verificare sull’uomo. La stabulazione (sistema di allevamento del bestiame in stalla, ndr) porta ad anomalie dell’encefalo negli animali. Ma se l’animale viene tolto dalle condizioni di cattività e di sofferenza, la patologia regredisce. A differenza di quanto accade nell’uomo: la depressione ha radici ben più profonde e conseguenze diverse, e non si può provocare, secondo la Ramacciotti la depressione, patologia umana, nell’animale.

A chiudere la serie di interventi, Massimo Tettamanti. “L’utilizzo di animali per la protezione del genere umano è una scelta che si può definire specista, in quanto viviamo in una società abituata a credere che l’uomo abbia diritti superiori rispetto ad altre specie” – ha dichiarato in apertura al suo intervento. Tuttavia, secondo Tettamanti, la nostra controparte non sono gli animali, ma “le multinazionali farmaceutiche e le industrie chimiche”. Al momento, nonostante molti passi debbano essere compiuti, secondo Tettamanti già si possono registrare alcuni successi, come quelli conseguenti alle battaglie di Green Hill. O quello alla Menarini di Pomezia, dove, dopo un presidio di pochi giorni, sono stati liberati i cani trattenuti per la sperimentazione.

A supporto delle tesi finora illustrate, che mettono in evidenza la fallacità del sistema basato sulla sperimentazione animale, alla voce “Dati preclinici di sicurezza” del foglietto illustrativo del Serevent (prodotto dal GSK) si legge che “la letteratura scientifica e gli studi di farmacologia condotti forniscono chiara evidenza che questi effetti sono specie-specifici e non presentano alcuna rilevanza nell’impiego clinico”.

Tettamanti ha poi sottolineato come in tutti i campi ci si sia evoluti, tranne che nella vivisezione. Dal telegrafo all’Ipad; dalla locomotiva a motore al Freccia Rossa; dalle prime macchine ai suv; dalla sperimentazione animale… alla sperimentazione animale. Nonostante uno studio del 2012 abbia evidenziato che “rispetto alla genetica umana – ha spiegato Tettamanti – gli studi sui topi sono totalmente casuali”.

A dimostrazione di questo, si possono prendere ad esempio gli effetti del fumo che, oggi, sappiamo essere correlati allo sviluppo di tumori. “Nel 1941 – ha dichiarato – alcuni medici si accorgono che il fumo sembra correlato allo sviluppo di alcune patologie. Col passare degli anni questi sospetti sono diventati certezze. E allora la gente ha iniziato a querelare le multinazionali del tabacco. Gli studi fatti fino a quel momento utilizzavano gli animali che, però, non si ammalavano. Giunti in tribunale, si era detto che, finché certi effetti sull’uomo non fossero prima verificati sugli animali, allora non potevano essere veri”. Il dato è quasi comico: alcuni studi sulla diossina hanno evidenziato che, in alcune specie animali, la diossina è addirittura utile a prevenire il cancro. Il criceto, ad esempio, con la diossina vive benissimo; contrariamente, il porcellino d’india, muore dopo poche ore. Come a dire che, per commerciare un prodotto che può essere dannoso, basta portare a proprio supporto alcuni dati, in questo caso quello sui criceti, per far credere che nell’uomo si abbino gli stessi effetti.

È il 1993 l’anno della svolta: nella causa Daubert vs Merrel Dow Pharmaceuticals si ha il passaggio da rilevanza animale a rilevanza umana. I test sugli animali, in America, non sono più considerati prove scientifiche utilizzabili in tribunale. “In Italia – ha continuato Tettamanti – ancora si possono utilizzare invece”.

Dalla discussione venuta fuori al termine della conferenza, abbiamo potuto evincere come Tettamanti e Nastrucci, insieme a Susanna Penco (che non ha potuto prendere parte all’incontro a causa di gravi problemi di salute), abbiano fornito al tavolo tecnico ministeriale dei dati certi sui metodi alternativi. Ne abbiamo chiesto spiegazione a Massimo Tettamanti, che sta anche portando avanti una raccolta firme su un progetto chiamato “Italia senza vivisezione” e proposte di legge regionali. A noi di Romait, Tettamanti ha spiegato che “il tavolo tecnico ministeriale è nato grazie alle pressioni del PAE (Partito Animalista Europeo) e di Memento Naturae. Balduzzi allora trova interessante l’idea e dà vita a questo tavolo, composto da persone dell’Istituto Superiore di Sanità e del Ministero, da persone dell’industria, da persone del mondo accademico e 3 referenti (Nastrucci-Penco-Tettamanti, ndr) specializzati nei metodi alternativi. Una volta aperto il tavolo tecnico, dopo una serie di confronti, saremmo dovuti giungere ad una conversione ma, a quel punto, il tavolo tecnico è sparito. Al momento non esiste, non sappiamo cosa sia. Non sappiamo se sia chiuso definitivamente, se ci saranno altre riunioni, non sappiamo se giungeremo all’approvazione del documento condiviso voluto da Balduzzi prima e confermato da Lorenzin poi”. Un altro è il dato che evidenzia Tettamanti: “Nel nuovo decreto è previsto un Comitato Nazionale con il ruolo di supervisione e consultazione. Dato che da un po’ non ci chiamano, a mio parere porteranno avanti il lavoro senza di noi, non ci saremo”. E perché? “Perché diamo fastidio, portiamo dei dati scientifici reali sui metodi alternativi”. All’interno del tavolo tecnico è venuto fuori anche che “esistono alcuni metodi alternativi validati. Di questi, alcuni erano noti anche all’istituto di referenza italiano ma il Ministero, che deve dare l’autorizzazione, non lo sapeva”.

Alla conferenza era presente anche Serenella Fucksia, senatrice M5S. “Sono venuta per acquisire competenze sui metodi alternativi sostitutivi – ha spiegato Fucksia a Romait – Nel 5 Stelle il discorso salute, ambiente, tutela di tutti e quindi anche dei deboli è centrale. Quello che ho appreso oggi lo utilizzerò per completare un dibattito in Senato che è stato anche abbastanza fazioso, alcune voci importanti non sono state ascoltate”. Serenella Fucksia, che è in Commissione Sanità, sostiene che “se non ci sono fondi, se non si dà la possibilità di avviare la ricerca alternativa, si avrà sempre difficoltà a conoscere i nuovi metodi. Mi piacerebbe anche che fossero controllati gli esperimenti che vengono fatti, ad esempio certificando che per avere tot fondi sono stati fatti tot esperimenti”. Trasparenza, quindi, secondo la senatrice. “In molti poi sono gelosi dei propri dati. Però forse sarebbe il caso di svincolare il risultato di quello che viene ottenuto tramite le sperimentazioni animali dai risultati clinici, per fare un esempio. Anche per quanto riguarda la tossicologia, gli studi più importanti sono quelli epidemiologici, che quindi con gli animali non hanno nulla a che vedere, perché magari, rispetto a noi, hanno una tossicodinamica e una tossicocinetica completamente diverse. Bisogna parlare di tutto questo: in linea generale, le idee precedono la tecnica. Se noi siamo interessati a questo tema, poi troviamo il modo per giungere a un risultato. Ma bisogna parlarne, nell’ottica di una crescita di competenze e sensibilità. Anche perché una società che tutela gli animali, è una società migliore”.

Lascia un commento