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Memorie dal sottosuolo, Fëdor Dostoevskij‏

Il Sabato Lib(e)ro di Livia Filippi

Memorie dal sottosuolo è un romanzo del 1865, scritto sotto forma di un monologo-confessione, e diviso in due parti: Il sottosuolo e A proposito della neve bagnata.

L’uomo del sottosuolo è un giovane ex impiegato dello Stato, isolato, in perenne disagio, dovuto all’incapacità di legare con i colleghi d’ufficio come con chiunque altro, che racconta di se stesso e la sua visione del mondo. E’ un antieroe, lo stesso Dostoevskij lo definisce un mascalzone, il più abietto, il più ridicolo, il più dappoco, il più stupido, il più invidioso di tutti i vermi della terra. Si diverte a umiliare gli altri conducendo un’esistenza maligna; e mentre si definisce maligno, ammette anche di non esserlo e che il suo agire non è mai stato cattivo. “Loro sono tutti, mentre io sono solo”. “Loro non mi permettono di essere buono”.

Sarà naturale che lo stesso protagonista possa conquistare la pietà e la simpatia del lettore, poiché questo è un libro che legge dentro.

Egli è dunque un uomo eccessivamente riflessivo che soffre disperatamente, la stessa disperazione di Leopardi e dell’uomo moderno, rinchiudendosi nel suo sottosuolo a coltivare impossibili sogni di rivalsa. Odia le persone intorno a sé che svolgono azioni inconsapevoli. Non accetta una vita in cui l’agire sia senza pensiero ma allo stesso tempo non vuole neppure accettare una società che sia preordinata, senza che la volontà possa decidere il proprio destino. Il suo disagio sociale permette al Dostoevskij antilluminista di condannare la società preordinata del suo tempo, il XIX secolo, che definisce un secolo negatorio; società che sarebbe stata fonte di maggiore infelicità rispetto ad una società governata da una libertà che non tollera limiti né definizioni, che abbatte tutti i “muri” e tutti i miti.

Insomma la polemica dell’uomo del sottosuolo è rivolta contro il razionalismo che riduce l’uomo a un dato calcolabile e manipolabile, mentre esso è illimitato, in continua e inarrestabile evoluzione, capace di inventare il proprio futuro.

Mentre il protagonista scrivendo si libera dei ricordi che lo opprimono, osserva fuori una neve fradicia e brutta scendere sulla città, e inizia a raccontare la seconda parte del libro.

Qui egli narra degli aggrovigliati ed ostili rapporti che ha con gli altri nel quotidiano, e dell’incontro con Liza: la prima e unica volta nella sua vita in cui egli conosce un istante di totale e autentico abbandono e riesce a confessare i suoi sentimenti… compiendo però nuovamente, verso lei e ancor prima verso se stesso, non “una malvagità di cuore, bensì della mia stupida testa”.

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