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Marino si dimette e in Campidoglio si festeggia: che vergogna!

Due anni e mezzo di governo della Capitale, tra meriti e demeriti: l’opinione sulle dimissioni del sindaco Marino

Ormai sembra ufficiale: Ignazio Marino non è più il sindaco di Roma. Certo, ha 20 giorni per pensarci ancora, ed eventualmente ripensarci. Lo ha detto lui stesso in un video affidato al social network Facebook. Ma a una condizione: solo, cioè, se sarà ancora possibile ricostruire un dialogo politico. E, con ogni evidenza, ciò non sarà possibile.

Marino è stato eletto il 10 giugno del 2013, battendo con oltre il 60% dei voti l’allora sindaco uscente Gianni Alemanno. Due anni e mezzo dopo, la sua esperienza di governo della Capitale si conclude: “Ho riflettuto molto prima di assumere la mia decisione”, dice nel video, “L’ho fatto avendo come unica stella polare l’interesse della mia città. Quando poco più di due anni e mezzo fa mi sono candidato a sindaco di Roma, l’ho fatto per cambiare Roma”. La sua espressione è provata. Emerge l’uomo e non il politico, ed è un uomo, visibilmente, stanco.

Ed è comprensibile. Marino è l’uomo dei record: è stato il sindaco più contestato della città di Roma, quello più attaccato dalla stampa e, infine, quello più inviso al suo stesso partito. In molti, infatti, ricorderanno che all’indomani di un sondaggio SWG, commissionato proprio dal PD romano, secondo il quale Marino era ben voluto solo da 2 romani su 10, i rapporti tra l’ex primo cittadino e il suo partito avevano, piano piano, preso a raffreddarsi.

Ma quando si è rotto l’idillio con la città? Come? E perché? Non che Marino abbia fatto di tutto per risultare simpatico, questo va detto. Ha sempre rifuggito la stampa, spesso ha avuto delle “uscite” poco felici, come quella in cui dal palco della Festa dell'Unità invitava le destre “a tornare nelle fogne”, frase per cui poi ha dovuto chiedere scusa pubblicamente. E giustamente.

Poi, è stata la volta del cosiddetto Pandagate. Un caso mediatico, e paradossale. Già, perché Marino, che aveva voluto rilanciare l’immagine del sindaco a due ruote, alla fine è inciampato su di una macchina. La sua. Una Panda rossa. Quella che per molto tempo, sebbene fosse già sindaco, era rimasta parcheggiata, ancora, al Senato. E, nemmeno a dirlo, tutta l’opposizione era insorta. Era il novembre del 2014, quando si scopriva che l’ex sindaco non aveva pagato alcune multe, una decina circa, perché sembra che avesse “dimenticato di rinnovare per tempo il permesso per accedere” nella ZTL, ovvero la zona a traffico limitato della Capitale. Insomma, pare che Marino avesse circolato dal giugno all’agosto senza un permesso valido. Come se poi un sindaco non potesse essere libero di girare per la sua città. Ma tanto è, le multe sono state elevate, ma non pagate. Marino allora aveva provato a difendersi, ma inutilmente. Sebbene avesse tentato di dimostrare che alcuni hacker avevano cancellato il suo permesso, alla fine l’attuale senatore NCD Andrea Augello diceva, in una conferenza stampa, che se il suo permesso non appariva nel database, era a causa di un’erronea ricerca. Nessun hacker, solo imperizia. Non di Marino, ma di chi gli avrebbe cercato i permessi nel server. Risultato: le opposizioni insorgono, chiedono le sue dimissioni, il PD romano lo scarica. E gli dà l’ultimatum: o paghi, o te ne vai. Marino ha pagato, ed è rimasto.

Non pago di aver scatenato l’ira funesta dei suoi avversari (che non sempre, ricordiamolo, vestono simboli politici diversi dal suo), Marino ha pensato bene di mettersi contro anche l’ex prefetto Pecoraro e il ministro Alfano. È il 21 maggio 2015: l’ex sindaco decide di iscrivere l’unione di 17 coppie, etero e omo, sul Registro delle Unioni Civili – l’Assemblea capitolina lo aveva approvato, dopo un anno di mancate calendarizzazioni nel gennaio di quest’anno. Questo, che poi è stato chiamato Celebration Day, è l’atto finale di un’azione (soprattutto politica, e non solo amministrativa) che il sindaco aveva iniziato già nell’ottobre del 2014, quando aveva deciso di trascrivere a Roma le nozze di 16 coppie omosessuali, tutte contratte all’estero. Ma siamo matti? Già il disegno di legge in Parlamento ha suscitato non poche polemiche, come si azzarda un sindaco, col sorriso un po’ sornione, a complicare le cose? Bisogna agire: presto detto, presto fatto. Ci pensa Alfano: il ministro invia una circolare a tutti i Comuni in cui si “invita” ad annullare o revocare ogni atto, dei sindaci, che abbia lo scopo di riconoscere le unioni tra coppie omosessuali. E Pecoraro ci mette il carico: minaccia di annullare le trascrizioni effettuate da Marino. (Per chi avesse la memoria corta, alla fine la battaglia si è conclusa con la vittoria dell’ex sindaco: il TAR, pur ammettendo che il nostro ordinamento non prevede atti che riconosca le trascrizioni delle nozze tra persone dello stesso sesso contratte all’estero nel registro dello stato civile, ha però sottolineato che non spetta ne al Ministero dell’Interno né al prefetto annullare le stesse).

Per non parlare, poi, del difficile rapporto con i dipendenti – comunali e dell’Atac. I primi che si vedono rimodulare l’erogazione del salario accessorio, i secondi che vedono la minaccia della privatizzazione abbattersi su di loro. Risultato: scioperi in bianco da parte della municipalizzata dei trasporti, con tram, metro e autobus che viaggiano a singhiozzo; scioperi e manifestazioni in piazza del Campidoglio, da parte dei dipendenti capitolini, Vigili compresi, quasi ogni giorno.

Non che la situazione di degrado che affligge Roma lo abbia risparmiato e sottratto alle critiche. Piove, Roma si allaga (ma va?), ed ecco pronto l’hashtag #sottoMarino. Persino il New York Times ha rincarato la dose. A luglio, lo ricorderete in molti, una corrispondente romana ha firmato un articolo in cui si metteva nero su bianco la situazione (ad ogni evidenza allarmante) che vive Roma: rifiuti ovunque, erba alta nei parchi, servizio della metropolitana lento.

A ben vedere, però, nello stesso articolo si ammette che “non tutti questi problemi sono legati a colpe” di Marino, descritto, anzi, come un uomo senza macchie. E da cosa dipendono allora? Forse dal fatto che, in questa città, molti appalti sono stati manipolati dalla orribile macchina del potere, ovvero i soldi, che muovono il Sole e le altre stelle? A dicembre del 2014 (e poi di nuovo a giugno del 2015), tanti, tantissimi politici romani sono finiti in manette. L’inchiesta si chiama “Mondo di Mezzo” e racconta dell’esistenza, secondo gli inquirenti, di un'associazione di stampo mafioso, e quindi riconducibile all’art. 416 bis del codice penale, che sarebbe gestita da Salvatore Buzzi, il "re delle coop romane” e Massimo Carminati, un ex Nar, legato a doppio filo anche alla Banda della Magliana. I due avrebbero, di volta in volta, corrotto vari funzionari ed esponenti politici al fine di riuscire a penetrare all’interno dell'amministrazione capitolina. Il processo è alle porte, per molti degli arrestati è venuta meno la custodia cautelare in carcere e l’aggravante mafiosa: gli esiti processuali sono dunque tutti da scrivere. Oggi, però, è evidente che Roma, per dirla con Filippo La Porta in Roma è una bugia, più che città eterna appaia eternamente terminale.

E Marino che c’entra? Niente, appunto. Ok. E allora come farlo finire al centro delle polemiche, mentre il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, in audizione in Commissione Antimafia nel dicembre del 2015 dice che “a Roma la mafia esiste” (l’esistenza di un’associazione mafiosa è stata confermata anche dalla Cassazione, ndr)? Semplice: tiriamo fuori una foto e diamola in pasto alla stampa. Marino e Nieri, ex vicesindaco in quota SEL, sono ritratti al fianco di, nientepopopdimeno che, Salvatore Buzzi. La location è il quartier generale della 29 Giugno, la cooperativa di Buzzi. Verrà poi fuori che Buzzi avrebbe anche finanziato la campagna elettorale di Marino, sebbene il sindaco – specificherà sempre Buzzi nel corso di alcuni interrogatori – non ne sapesse nulla. Ora, per dovere di cronaca, va detto che Buzzi, che aveva ucciso a coltellate un uomo, era stato riabilitato persino dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro che aveva voluto premiare con la concessione della grazia la sua buona condotta. Da quel momento in poi, Buzzi si era messo a disposizione del mondo delle cooperative, aveva messo su questa 29 Giugno, che si occupava degli ultimi. E proprio alla 29 Giugno Marino aveva deciso di devolvere il suo primo stipendio da sindaco. Apriti cielo. Però, non tutti hanno forse fatto caso a un dettaglio: Buzzi era chiamato il “re delle coop romane” e non certo perché non lo conoscesse nessuno, ma perché per l'amministrazione capitolina era un referente. E quel ruolo, di certo, non lo aveva assunto grazie a Marino. All’ex sindaco deve essere apparso un gesto eroico, quello di dare il suo stipendio a chi è meno fortunato di noi. E, concediamoglielo, perché mai avrebbe dovuto sapere lui chi fosse Buzzi e non molti altri che, secondo le ordinanze, con il “re delle coop romane” ci facevano (lucrosissimi) affari?

La colpa, che poi è anche il merito, di Marino è stata questa: quella di essere totalmente estraneo al tessuto romano. E questa città, se non la conosci e non la sai affrontare, ti divora. Letteralmente. Ti spolpa. E Marino se l’è mangiato infatti.

Abbiamo, fin qui, ricordato alcuni tra i principali scandali che hanno riguardato i due anni di governo della Capitale da parte di Marino (ci sono anche i suoi viaggi, c’è il funerale dei Casamonica, ma è cronaca recente, anzi recentissima, e confidiamo nella buona memoria del lettore). Ci preme, altresì, ricordare alcuni tra i meriti dell’ormai ex sindaco.  A partire dalla chiusura della discarica di Malagrotta, più volte annunciata, mai realizzata. Se non con Marino: è il 1 ottobre del 2013, e la discarica, nelle mani di Manlio Cerroni, chiude i battenti. “Re Manlio” ha gestito per quasi cinquant’anni la discarica più grande d’Europa. Lui però si definisce un benefattore, perché nella sua discarica, dice, ha ospitato i rifiuti della capitale a prezzi altamente concorrenziali, preservandola dall’invasione della “monnezza”.

Poi, s’è messo in testa di restituire ai romani il loro mare, abbattendo quel “lungomuro” che attanaglia Ostia (per dovere di cronaca, va detto che la battaglia è stata anche dei Radicali Roma e del Movimento 5 Stelle, ndr). Il 14 aprile 2015, di prima mattina, sono arrivate le ruspe sul litorale romano, ribattezzate con un hashtag su Twitter #ruspedellalegalità. Dopo alcuni avvicendamenti, il Consiglio di Stato ha dato ragione al Campidoglio: “I varchi pubblici di accesso al mare devono restare aperti”, sentenziano i giudici il 9 giugno 2015.

E ancora, s’era deciso a liberare il centro storico dai camion bar, spostando dieci stalli, che dal Colosseo sono stati trasferiti su lungotevere Oberdan, lungotevere Maresciallo Diaz, lungotevere Testaccio e Piramide. Figurarsi se gli ambulanti non avrebbero preso a protestare.

In tutto questo, non bisogna dimenticare che solo due mesi fa, in agosto, il Consiglio dei Ministri aveva salvato Marino: dopo la relazione del prefetto Gabrielli, subentrato all’ex Pecoraro, era stato deciso di sciogliere, per infiltrazioni mafiose, solo il Municipio X. Il Comune, invece, era salvo. Con qualche riserva: cabina di regia coordinata con lo stesso Gabrielli, alcuni punti da rivedere. Ma tutto sommato, era salvo. Marino aveva poi da poco (ri)cambiato la sua squadra di governo: tra le new entry, il già senatore dem Stefano Esposito nominato assessore ai Trasporti al posto del dimissionario Guido Improta e l’ex assessore al Bilancio della Giunta Veltroni, Marco Causi, nominato vicesindaco al posto di Luigi Nieri. Proprio Esposito, fino a due giorni fa, si era sempre dimostrato un fervido e accanito sostenitore di Ignazio Marino. Ieri, però, è stato il primo ad abbandonare la barca.

Le dimissioni di Marino, formalmente legate allo scandalo delle spese con la carta di credito del Comune di Roma, in realtà appaiono una questione tutta interna al PD: una vicenda in cui le opposizioni, benché si fregino del “merito” di aver destituito il sindaco, in realtà sono state a guardare. Per carità, la Procura sta indagando e la verità la sapremo solo quando gli esiti investigativi saranno terminati. Certo, non ci ha fatto proprio una bella figura, l'ex sindaco. Ma davvero crederete che si è dimesso per degli scontrini? No. Si è dimesso perché era solo contro tutti. In effetti, Marino aveva anche provato a tirare dritto, ieri, ma non ce l’ha fatta. Dapprima le minacce delle dimissioni in blocco degli assessori, poi quelle in blocco dei consiglieri. Infine l’ultimatum: o ti dimetti, o ti sfiduciamo. Alla fine si è dimesso. Con riserva, ma si è dimesso. E si è dimesso perché così ha deciso la segreteria del suo partito, che ha un premier che aveva annunciato di non voler mai diventare tale senza prima passare per le elezioni. Non lo ha deciso l’Assemblea capitolina (che pure lo avrebbe sfiduciato, sia chiaro): lo hanno deciso al Nazareno. 

Forse Marino davvero non è in grado di essere il sindaco di una città come Roma. O forse lo è. Ma vedere ieri una piazza del Campidoglio così gremita dai suoi più fervidi detrattori ci ha fatto riflettere. Un sindaco è un essere umano. E come ogni uomo, sbaglia. E Marino, di errori, ne ha fatti. Non abbiamo mancato di farlo notare anche sulle pagine di questo giornale. Ma le scene di giubilo che ieri hanno invaso piazza del Campidoglio sono, secondo il parere di chi scrive, vergognose. Non solo perché non c’è nulla da festeggiare in una città che, con ogni probabilità, sarà commissariata e che commissariata arriverà all’appuntamento col Giubileo. Ma perché, ancora una volta, abbiamo dimostrato che questa città è ingovernabile. Che si è uniti solo contro e mai pro. Ieri è andata in scena la precampagna elettorale, quando vedremo quello che è oggi un finto centrodestra che recita la contrapposizione politica riunirsi perché da soli non si va da nessuna parte, ma insieme qualche uomo da riciclare lo si può trovare. Ieri, il partito di Angelino Alfano che, secondo i più recenti sondaggi, non raggiungerebbe il 2% dei consensi elettorali, gridava a Marino: “Game over”. Ieri c’erano tutti, ma proprio tutti. E brindavano. Brindavano alla sconfitta di una città che in passato proprio loro hanno contribuito a far sprofondare.

Marino meritava di dimettersi? Forse sì. O forse no. Ma siamo sicuri che non meritasse tanto accanimento, mediatico e dei suoi. Avremmo solo sperato di vedere quella piazza così gremita all’indomani degli arresti di Mafia Capitale. Ma così non è stato. E siamo già pronti a sentire i nuovi eletti che diranno: “E’ colpa di Marino”. Tanto è sempre colpa di qualcun altro.

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