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Marino, il sindaco chirurgo che “rallenta” la ricerca

Modifiche al tpl penalizzano i dipendenti del polo di ricerca di Tor Pagnotta: le loro testimonianze

Via del Fosso di Fiorano a Tor Pagnotta, a pochi passi dalla Laurentina, rappresenta uno dei poli che, a Roma, racchiude diverse strutture di ricerca. Sono lo European Brain Research Institute (EBRI), l'Istituto di Biologia Cellulare e Neurobiologia (IBCN) del Centro Nazionale delle Ricerche (CNR) e la Fondazione Santa Lucia IRCCS.

A pochi passi dalla Laurentina, si diceva. Almeno in teoria; diversa è la pratica. Fino a qualche tempo fa, il polo di Tor Pagnotta era ben collegato con il capolinea della stazione della metro B Laurentina, “principale punto di snodo e connessione tra la città” e la struttura, tramite la linea 761, che consentiva ai lavoratori, agli scienziati e ai ricercatori, di arrivare al lavoro in “un tempo ragionevole di 10-15 minuti”. Oggi, le cose sono cambiate. In meglio, penserete? No. La chiamano “razionalizzazione del trasporto pubblico”, ma qui, come altrove nella Capitale, la riorganizzazione delle linee di trasporto su strada altro non ha fatto che creare notevoli disagi ai cittadini romani.

Disagi che, per quanto riguarda il polo di ricerca di Tor Pagnotta, ci sono stati segnalati dagli stessi lavoratori. “La vecchia linea 761, che collegava alla metro Laurentina in un tempo ragionevole di 10-15 minuti, è stata sostituita dalla linea 776, che al contrario impiega tra i 40 e i 50 minuti per coprire lo stesso tragitto, a causa della lunga deviazione all’interno del quartiere Laurentino 38”, si legge in una lettera che gli stessi hanno inoltrato al presidente del Municipio IX, Andrea Santoro, fatta pervenire anche alla nostra redazione. Certamente la decisione non è stata presa dal minisindaco Santoro, ma i dipendenti dei vari istituti sono determinati nel dispiegare e mettere in campo tutte le loro forze, coinvolgendo quanti più attori istituzionali possibili, al fine di ripristinare le precedenti condizioni di trasporto. Si parla, infatti, anche di una lettera già pronta per la stessa azienda capitolina ATAC e di una raccolta firme.

Ad Andrea Santoro viene chiesto di “poter organizzare un incontro”, insieme a un rappresentante ATAC, “al fine di presentare tale problematica a tutti gli interlocutori istituzionali e cercare insieme una soluzione al disagio creatosi” a seguito delle modifiche al piano di trasporto pubblico, dalle quali, a Tor Pagnotta, ci si sente “fortemente penalizzati”.

Si vuole inoltre “sottolineare che la nuova linea non rispetta gli orari indicati sul sito ATAC e i tempi di attesa minimi sono di circa 30 minuti, anche durante le fasce orarie di maggior utilizzo per noi lavoratori. Ciò comporta che per effettuare il tragitto in questione, pari ad appena 5 km, è richiesto un tempo medio di 60 minuti, senza considerare che gli utenti interessati da questo disagio arrivano alla Stazione Laurentina, dopo aver già viaggiato da altre parti della città”.

La conseguenza? “Il trasporto pubblico diventa una seconda scelta e il suo utilizzo è fortemente scoraggiato dai lunghi tempi di percorrenza”. Un paradosso vero e proprio: la politica, dichiarata, del sindaco Marino e dell’Assessorato ai Trasporti di Roma Capitale sotto l’egida di Guido Improta, era quella di disincentivare l’uso del mezzo privato in favore di quello pubblico, all’insegna di una città che potesse fare della mobilità e dell’ecosostenibilità i suoi capisaldi. Al contrario, questa “razionalizzazione del trasporto pubblico”, pensata anche per sortire gli effetti sperati, si è rivelata un boomerang fallimentare.

Roma al pari delle capitali europee, si diceva sempre a parole. Ma la realtà dei fatti è sempre diversa da quella immaginata e sognata ed è così che anche per i ricercatori stranieri – si sottolinea ancora nella lettera – “ospitati presso il nostro centro spesso per brevi periodi e che non sono automuniti, la presenza di un servizio di trasporto così concepito diventa un vero e proprio ostacolo allo svolgimento delle normali attività lavorative”. Roma Capitale, sì, ma non dell’avanguardia.

La problematica è stata sottoposta anche all’attenzione del sindaco Marino, al quale si è rivolto, con una lettera, il Professor Pietro Calissano, presidente dell'EBRI, come ci viene segnalato dagli stessi lavoratori, che hanno provveduto a farci pervenire un estratto della missiva. Calissano ricorda come durante la presidenza di Rita Levi Montalcini (la Fondazione EBRI è infatti stata dalla Montalcini “fortemente voluta e fondata nel 2005”), “ottenemmo per diretto interessamento dell’allora sindaco Veltroni, il servizio dell’autobus 761 che, dalla stazione della metro Laurentina collegava tramite poche fermate e un tragitto della durata di 10 minuti circa, a via Fosso del Fiorano 67, sede del centro”. Ma, “per motivi che ignoriamo, la linea di questo autobus (attualmente 776) è stata fortemente deviata lungo un tragitto che costringe i ricercatori a un percorso di circa 45-60 minuti”, scrive il Professor Calissano.

“Penso sia superfluo – aggiunge il Professore – sottolineare che questa deviazione costringe molti ricercatori ad alcune ore di viaggio per raggiungere la sede di lavoro, rinunciando spesso a quelle visite fuori programma, in corso di festività o domenicali che caratterizzano i ricercatori e che, immagino, tu stesso abbia sperimentato nel corso della tua carriera durante il fruttuoso periodo americano. A nome anche dei ricercatori dell’IBCN e del Santa Lucia, ti chiedo pertanto di coinvolgere le istituzioni addette al trasporto urbano per riattivare il percorso stabilito dalla precedente gestione che ha rappresentato un vero e proprio aiuto concreto alla ricerca, più di tanti proclami enunciati per via mediatica dal mondo delle istituzioni pubbliche, e di concedere almeno ai rappresentanti di queste tre istituzioni la possibilità di un incontro sollecito e chiarificatore al riguardo”.

“Pur avendo la macchina, per 7 anni sono venuta a lavoro con i mezzi, e per questo lo scorso 2 marzo ho rinnovato l’abbonamento annuale, pari a ben 250 euro” – ci spiega, visibilmente amareggiata, una delle lavoratrici con cui abbiamo parlato. “Il 16 marzo, però, hanno tolto il bus  761 e ora, per questioni di tempo, sono obbligata a venire al lavoro in macchina. Ho buttato 250 euro e sono costretta a sostenere anche le spese della benzina adesso!”. Cambia il nostro interlocutore, ma non cambia la situazione. “Arrivare a lavoro nell'ultimo mese è diventato estremamente problematico a causa del nuovo piano del trasporto pubblico. La nuova linea 776, che ha sostituito il soppresso 761, impiega 40-50 minuti per percorrere il tragitto. Al disagio causato da quello che l'Atac ha definito ‘razionalizzazione del trasporto pubblico della Capitale’, si aggiunge l'assoluta noncuranza, da parte del personale addetto, degli orari di partenza dal capolinea previsti e riportati sul sito. Senza nessun preavviso e molto frequentemente, quasi tutti i giorni, le corse vengono soppresse, anticipate o ritardate, rendendo impossibile per chiunque di noi programmare la giornata lavorativa”, ci racconta un’altra lavoratrice. “Vivo piuttosto lontana dal centro di ricerca e fino a ora i mezzi pubblici hanno comunque rappresentato una buona soluzione. Con il cambio delle linee, i tempi del tragitto sono diventati sproporzionati rispetto alla distanza dei nostri laboratori dalla metro più vicina, per non parlare poi di tutti i ritardi e degli orari non rispettati”, testimonia, ancora, un'altra dipendente.

Il presidente Santoro ha già risposto ai solleciti dei lavoratori. “Nel riordino delle linee proposto da ATAC ci sono novità importanti e utili per i cittadini come il primo collegamento Laurentino-Papillo-Eur”, dice, contattato da noi, il minisindaco del Municipio IX, riconoscendo però che sono venute a galla anche “alcune criticità come quelle segnalate che vogliamo far correggere assolutamente, venendo incontro alle esigenze dei lavoratori che hanno deciso di rivolgersi a me”. Ora la palla passa nelle mani del sindaco Marino, il sindaco chirurgo che, se non dovesse ascoltare le istanze di quanti a lui si sono rivolti, rischierebbe di passare alla storia come colui che ha “rallentato” la ricerca, in Italia già fortemente penalizzata.

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