Prima pagina » Cronaca » L’onda d’urto di Beirut che investe le nostre coscienze

L’onda d’urto di Beirut che investe le nostre coscienze

L’onda d’urto investe le nostre coscienze, ci attrae attraverso la condivisione dei filmati e poi ci lascia sgomenti davanti alla distruzione

L'onda d'urto a Beirut

Esplosioni Beirut

La notizia dell’esplosione avvenuta nel porto di Beirut non ci giunge attraverso un dispaccio giornalistico o attraverso la cronaca di un inviato, ci arriva come spesso oggi accade, cruda ed  evidente attraverso un video postato da qualcuno su uno dei tanti gruppi WhatsApp. Ci arriva immediata attraverso le immagini di una ripresa incerta e quanto mai casuale. Ci arriva quasi in diretta, e lo stupore è travolgente. Istantaneamente sentiamo il bisogno di condividere quel filmato che a tratti stentiamo a crede come vero.  Poi lo stupore iniziale, lascia subito spazio al bisogno di capire cosa sia realmente accaduto. Dove è successo? Cosa l’ha provocata? Infine la consapevolezza del dramma, che inizialmente possiamo solo supporre e che con lo scorrere del tempo ci viene confermato dalle notizie che arrivano da Beirut.

Onda d’urto da Beirut a noi

Nella fisica per capire come si comporta l’onda d’urto di un’esplosione si usa l’esempio del sassolino lanciato nello stagno. L’impatto con la superficie dell’acqua crea una serie di piccole onde che formano tutta una serie di cerchi concentrici. I primi cerchi sono quelli investiti direttamente dall’evento della deflagrazione, la così detta “Zona rossa”. Allontanandosi dall’epicentro si usano chiamare le diverse zone con colori più tenui, fino a non considerare più alcuna zona come direttamente assoggettabile all’evento.  La distruzione che questo provoca e il numero di vittime coinvolte decretano l’ampiezza stessa di ogni cerchio concentrico e la distanza dall’epicentro. Nel caso in questione purtroppo la devastazione ha riguardato diversi quartieri della città.

L’onda d’urto che investe le nostre coscienze

Le immagini dei palazzi distrutti e le macerie scaraventate a molte centinaia di metri raccontano di un evento catastrofico che purtroppo vede centinaia tra morti e dispersi oltre che ad un numero altissimo di feriti. Tutto ciò che può risultare un danno oggettivamente misurabile e correlato all’evento rientrerà nel contesto emergenziale dei cerchi concentrici e in qualche modo trattato. Ma esiste un altro tipo di danno o conseguenza dell’evento, la cui onda d’urto raggiunge alla velocità della luce luoghi lontanissimi. Parliamo di un’onda d’urto diversa da quella trattata dalla fisica dei fluidi. Non è fatta di pura energia o di polvere e detriti.

E’ l’onda d’urto che investe le nostre coscienze, che ci attrae dapprima attraverso la condivisione dei filmati e poi ci lascia sgomenti davanti alla distruzione e al dramma di un’intera comunità.

Mettiamoci nei panni degli altri

Inconsapevolmente assorbiamo ogni molecola di quell’evento, ne percepiamo la drammaticità e lo stato di emergenza. E’ la nostra innata predisposizione ad immedesimarsi nell’altro, a proiettarsi nel vissuto altrui che ci avvicina all’epicentro dell’esplosione. Pur distanti migliaia di chilometri siamo così anche noi investiti dall’onda d’urto. Attraverso il meccanismo dell’empatia e quindi la capacità di metterci nei panni degli altri e assorbirne gioie o dolori, come in questo caso. Un concetto sicuramente psicologico ma che ha una profonda corrispondenza fisiologica scoperta pochi anni fa, i cosiddetti “neuroni  specchio”.   

Condividere lo sgomento con il nostro prossimo

Cosa fare allora? La risposta migliore è quella di condividere. Siamo animali sociali, viviamo di relazioni e nella relazione possiamo trovare molto spesso il giusto contenitore all’interno del quale ristrutturare tutto lo shock e lo sgomento che eventi del genere possono provocare. Parlarne con i proprio figli, con gli amici, i colleghi o con sconosciuti fra i tavolini di un bar, diviene terapeutico verso noi stessi e gli altri. La restituzione di ogni vissuto diviene motivo di ristrutturazione del proprio. Esperienze così forti hanno bisogno di contenitori che spesso come singoli non riusciamo ad avere e per questo a fornirli non è il singolo ma la comunità, la condivisione appunto. 

La polvere dell’esplosione non è arrivata fin qui, non si è depositata sui nostri vestiti, ma qualcosa di quell’onda d’urto ci ha comunque investito e coinvolti tutti. Forza Beirut…

Esplosione a Beirut, il racconto di un italiano con i nonni nati in Libano

Lascia un commento