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L’eleganza degli italiani: dalla Roma di Fellini al cafonal di D’Agostino

Ah, l’eleganza degli italiani! Ma c’è la sensazione che da qualche tempo tutti i popoli si stiano omologando alla sciatteria culturale

Vittorio Gasmann e Marcello Mastroianni in una scena di un film

Vittorio Gasmann e Marcello Mastroianni

Ah, l’eleganza degli italiani! Così dicono gli stranieri. Ma c’è la sensazione che da qualche tempo tutti i popoli occidentali si stiano omologando alla sciatteria culturale e alla tuta da ginnastica, italiani compresi. L’ignoranza prende il sopravvento sulla conoscenza e le buone maniere.

Gli Italiani sono stati sempre considerati nel mondo quelli a cui piace vestir bene. Spesso sento dire dagli stranieri che un italiano lo si riconosce tra la folla, proprio per come è vestito. Riguarda sia uomini che donne, considerate molto femminili e con grande charme, come le francesi.

L’eleganza però è qualcosa in più dell’essere alla moda. Qualcosa che non è innato, si apprende. Probabilmente l’essere circondati da tanta bellezza, nell’arte, nella cultura, nella storia, determina la formazione di un gusto popolare che è attento, per esempio negli abbinamenti dei colori, nella scelta dei dettagli, nella decisione di cosa indossare, a seconda dell’occasione.

Da Roma a Milano passando per Napoli e Firenze: agli Italiani piace fare bella figura

Il Made in Italy è un marchio affermato nel mondo proprio per la moda, la Gastronomia, l’arte, l’artigianato, lo sport, i motori. Ma anche nell’architettura, nelle costruzioni, nei paesaggi che non sono mai un fatto naturale ma il risultato degli interventi dell’uomo.

Pensiamo alle linee dolci della Val d’Orcia, lo spettacolo delle valli trentine e venete, con le file ordinate di vigneti e frutteti, il fascino delle colline e dei Castelli nelle Langhe e i colori e i paesaggi della Costiera Amalfitana. Insomma conoscete benissimo l’armonia dei nostri panorami, dei borghi, delle valli.

Il bello fa parte della nostra vita e della nostra formazione, è in noi fin da quando cominciamo a guardare, a vivere, ad imparare.

Come scrive Maria Luisa Frisa nel libro Le forme della moda: “parlare di moda non vuol dire parlare di vestiti”. Il vestito forse è la parte meno significativa della moda.

Gli abbinamenti, il portamento, la figura hanno una funzione fondamentale nel definire l’eleganza. C’è una frase, che con lo stesso significato non esiste in nessun’altra lingua, forse tranne lo spagnolo. Un’espressione che definisce tutto questo ed è fare bella figura. Questa frase unisce etica, estetica, comportamento, sapersi presentare bene al primo impatto. Agli Italiani piace “fare bella figura”, che non è sinonimo di nessuna superiorità e di nessuna virtù. Si tratta solo di farsi notare in maniera positiva, piacere agli altri, che non è poco.

L’eleganza degli italiani: gli europei sono meno preoccupati nell’apparire

Se volessimo fare un confronto con altri popoli sarebbe facile osservare come concezioni culturali più puritane, per esempio nel nord Europa, hanno come conseguenza la sobrietà, l’uniformità, la frugalità che si riflettono nell’abbigliamento ma non solo.

Nei paesi anglosassoni c’è minor ossessione per gli abbinamenti e la tendenza a privilegiare gli abbigliamenti formali durante la settimana e del tutto informali quando si rientra dal lavoro e nel fine settimana.

L’uso e l’abuso di felpe e tute da ginnastica è una caratteristica delle popolazioni nord europee e americane. Per non parlare della gran parte dei paesi del mondo dove hanno ben altri problemi rispetto all’eleganza e all’apparire.

I modelli cinematografici: la Roma della Dolce Vita e uomini come Mastroianni e Gassman

Il cinema, specie quello post neorealista, degli anni’70, ha presentato modelli maschili e femminili di indubbio fascino.

Gli abbigliamenti di Marcello Mastroianni con i suoi Persol sul naso ne La Dolce Vita, o Vittorio Gassman, sempre a suo agio ne Il Sorpasso, sia in giacca e cravatta che in camicia bianca, simpatico, canagliesco, spavaldo, tenero e un po’ codardo, accanto a un giovanissimo e timido Jean Louis Trintignant.

L’eleganza di Sylva Koscina e poi di Virna Lisi. La stessa che si ritrova anche tra gli imprenditori e gli uomini d’affari, in primis l’avvocato Gianni Agnelli che a suo modo riusciva a imporre stili e mode, dall’orologio sul polsino, agli scarponcini.

Seguono quello stesso filo conduttore personaggi come Marco Tronchetti Provera, Sergio Marchionne, Luca Cordero di Montezemolo, Raul Gardini, Massimo Moratti.

Oggi fa molto parlare di sé Lapo Elkann, nipote dell’avvocato, grazie alla sua sfrontatezza nel presentarsi con abiti di un’eleganza al limite, provocatoria, talvolta eccessiva ma proprio per questo non costretta in rigidi formalismi. Se può osare senza timore di sbagliare, allora vuol dire che se lo può permettere.

L’eleganza degli italiani: siamo entrati nell’epoca della sciatteria al potere

Siamo entrati in un’epoca in cui gli stili di vita non si alternano. Non seguono ciascuno il precedente, ma si sovrappongono, come in un gioco del travestimento nel quale ciascuno possa permettersi di essere tanti personaggi diversi nella stessa vita.

Oggi si guarda con simpatia al passato delle mode e c’è un curioso ritorno agli stili, alla musica, al mood degli anni ’60, ’70 ecc. Le trasmissioni e le serie televisive, il cinema, la letteratura, attingono costantemente ai mondi passati, per riproporli nel gioco dei travestimenti attuali.

Pantaloni scampanati e jeans rotti, gonne cortissime e pantaloni palazzo, stivaletti, scarpe da ginnastica, mocassini eleganti, ballerine, zatteroni, anfibi. La moda oggi consente tutto.

Ma anche in questo gioco dell’imitare, ricordare o riciclare ci deve essere un primato del gusto, una misura, in una parola: l’eleganza. Questo invece è quello che a mio parere manca. Si è scavato un abisso tra due livelli di abbigliamento.

Fermo restando che a fronte di chi può fare affidamento su certe caratteristiche e possibilità di scelta, c’è d’altro canto un esercito di fruitori sgangherati di proposte più che casual, cafonal, come direbbe Roberto D’Agostino che il fenomeno lo segue da anni. Cerco di spiegarmi meglio.

Il trionfo del cafonal passa dal vestire alle relazioni sociali alla politica

La tendenza che noto è l’abbandono della classe e dello stile in nome del “me ne fotto” e “faccio come mi pare”. Una filosofia che semplifica la vita di chi non ha gli strumenti per interpretare il mondo e, nonostante ciò, vuole esserci, contare, vuole sentirsi protagonista.

Un modello che si è via via affermato, dopo gli anni ’80, quelli dell’edonismo reaganiano per finire imponendosi negli anni 2000, quelli del post berlusconismo, del cinema d’azione Fast & Furious, delle Vacanze di Natale dei Vanzina, gli anni dei social network dove non conta se sai e chi sei ma conta l’opinione sempre e comunque espressa, conta l’arroganza, conta chi urla più forte.

Sono gli anni in cui non esiste più il rispetto, la tolleranza, la fiducia. Non voglio insistere, avrete capito benissimo a cosa mi riferisco.

Trovo questa epoca ben rappresentata dai tatuaggi sulla faccia e su tutto il corpo, in una sorta di imitazione inconsapevole di culture lontane dalla nostra, dove quei segni avevano una relazione con la spiritualità e il divino.

Rap, talent e jeans strappati, regna il caos non l’eleganza

Trovo la nostra epoca attuale ben rappresentata dal rap e le sue derivazioni. Una musica senza melodia, solo ritmo ossessivo e tante inutili parole che dovrebbero essere di protesta e lo sono solo formalmente. Trovo l’epoca attuale ben rappresentata da programmi come Il Grande Fratello, l’Isola dei famosi, Uomini e Donne e i Talent Show dove si diventa famosi in poche settimane, senza aver studiato, senza sacrifici, senza talento appunto.

Per poi sparire subito dopo, tranne pochi casi. Si finge di innamorarsi senza avere la più pallida idea di cosa sia l’amore, e ci si lascia in poche puntate, quando la telecamera si spegne. 

La trovo ben rappresentata dai jeans strappati, a volte scuciti, rattoppati e sempre più spesso lacerati, con vaghi residui di stoffa che restano attaccati alla cintura, ai fianchi, sfilacciandosi fino all’orlo.

Molto significativo, in questo quadro, il sovrapporsi di più stili, musicali e di abbigliamento, che poi sfociano nei toraci nudi di molti ragazzi, nei capelli viola, con tagli caotici delle ragazze, nell’affastellare concetti di moda inconcepibili, come quella delle sfilate delle modelle coperte solo da nastri adesivi neri o bianchi (Black Tape Project), paillettes, lustrini o come i modelli ridicolizzati da gonne, scarponi e giacconi che ne deturpano la figura. 

A volte ho trovato le loro foto su Facebook, paragonati a Clark Gable o a Cary Grant, con accanto la frase di commento: “Dobbiamo aver sbagliato qualcosa”. Effettivamente si, lo penso anch’io.

L’eleganza degli italiani: sui social network meno sai, più vuoi contare

Tutto torna. Anche le esibizioni tutte uguali e tutte penose delle ragazze che ballano l’hip hop, la breakdance, lo shuffle, il popping, l’uprock, l’house dance, il reggaeton… tutte cose che nemmeno sto a spiegarvi, tanto sono fini a sé stesse.

Ballare, dimostrare di sapersi muovere velocemente, senza grazia, senza armonia ma solo velocemente, come vuole la vita di adesso. “I social network hanno dato via libera agli imbecilli” sosteneva Umberto Eco, ogni minima notizia, la più divisiva, la più superficiale, dà vita a dibattiti, polemiche, insulti che possono sfociare in aggressioni, violenze, anche in calunnie, con esposizioni di foto e video alla pubblica riprovazione.  Sono luoghi questi che, se si sono così fortemente affermati, vuol dire che rappresentano bene il pensiero e lo spirito del tempo.

Una tribù variegata e uniformata da segni senza significati

Non tocco il tasto delle droghe, dei rave parties, delle feste che finiscono con stupri di gruppo. Non tocco il tasto dell’assenza dei genitori, delle loro incapacità, dei limiti che hanno e dimostrano nell’educare i loro figli, perché tutto questo è fin troppo discusso e risaputo.

In questo articolo mi interessa mettere a nudo come la nostra società italiana, abbia via via perso i suoi valori, i suoi stili, i suoi modelli per finire in un blob senza identità, in una massa omogenea di atti e non-pensieri che si riflettono sui video musicali, sui canali tv, sui videogiochi, nei film realizzati col digitale, nelle immagini tutte uguali e ripetute di giovani e non più giovani di tutto il mondo, indottrinati in una tribù che usa segni simili ma senza un preciso significato, senza un obbiettivo, senza un futuro.

Se l’eleganza oggi la fanno gli influencer italiani, a loro volta mezzi di commercio

In tutto ciò come si spiegano i seguaci che danno lustro e guadagni ai cosiddetti influencer? Persone che riescono a farsi amare e influenzare appunto, milioni di followers.

Vendendo loro di tutto, veri e propri ambulanti moderni del mercatino internazionalizzato sul web. Ogni cosa che loro fanno o dicono ha un fine commerciale. Eppure a chi li segue non importa. Non interessa essere carne da macello, essere usati per scopi di guadagno.

Anzi si vorrebbe imparare e fare altrettanto il prima possibile, come se fosse facile, come se fosse realizzabile senza una macchina che lo consenta. Migliaia di immagini che offrono una “afrodisiaca” varietà di scelta, un diluvio di fotografie e video che postano pantaloni, borse, scarpe, cinture, top, costumi da bagno, stivali, gioielli, tagli di capelli, tattoo, che si rincorrono su Instagram, TikTok, viaggiano su WhatsApp, Telegram, Twitter, e su altre piattaforme che nemmeno conosciamo più.

Mezzi al servizio di una nuova imprenditoria e di una capacità ideativa che abbina più mass media insieme, per veicolare con le immagini i concetti, i valori, il pensiero unico necessario per essere accettati.

Sparita l’eleganza, svanito il bello: forse ci dobbiamo preoccupare

Una volta, ed è ancora cosi per pochi, vestirsi bene serviva a comunicare qualcosa. A dire chi si era, quali erano i propri riferimenti e la propria autoconsiderazione.

Oggi il mondo mi sembra che si divida sempre più tra un’informe massa di impiegati stretti nelle loro divise tutte uguali e tutte anonime e un mondo di esclusi dal lavoro o di emarginati in lavori “alternativi”, che si conciano come viene, o come gli passa per la mente in quel momento.

Entrambi chiusi nei loro tempi di lavoro e di vacanza già programmati. Nei viaggi organizzati. Con le feste scandite lungo l’anno solare.

Piercing, orecchini, tatuaggi ornano le facce delle tribù. Sono diverse ma difficilmente distinguibili. I capelli hanno subito l’aggressione di forbici e macchinette che li hanno scolpiti in fogge spettrali. A volte sono rimasti incolti da anni, arrotolati in trecce rasta, che mi ricordano piuttosto degli allevamenti di pulci, invece che dei riferimenti pseudo religiosi o contestativi.

Le tute da ginnastica e le varie Reebok, Nike, Converse, le All Star slacciate, le Adidas imperversano ad ogni latitudine. Noi le chiamiamo scarpe loro sneakers. Così come gli anfibi DrMartens. I pantaloni Slim pants di Urban Outfitters, Dockers e Converse Chuck’70, Joggers Ralph Lauren, Denim Outfit, BDG Supercrop Poplin Jacket, Crop Jacket di Berisha, Felpa Friends e Felpa Champion, Crop Sweatshirt Urban Outfitters.

L’ultimo accessorio di tendenza è la cintura con le borchie che deve stringere in vita al massimo e che si indossa anche per dormire. Un mondo che non capiamo più, che ci esclude, giustamente, che neanche ci interessa, se non fosse che riguarda i nostri figli, la loro vita, il loro domani.