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Lavoro, Inapp: “solo il 14,8% dei lavoratori possiede un contratto indeterminato”

Il mercato del lavoro italiano sembra rimanere ancorato alla precarietà, e ciò si nota dai dati dei nuovi contratti attivati nel 2021

Un operaio a lavoro

Secondo i dati ottenuti dal “Rapporto Inapp 2022: Lavoro e formazione, l’Italia di fronte alle sfide del futuro” nel 2021 solo il 14,8% dei lavoratori sono riusciti ad ottenere un contratto a tempo indeterminato. Al contrario il restante 69,8% è in possesso di un contratto determinato. 

I dati del Rapporto Inapp

Nel 2020 vi sono state solamente il 16,7% delle attivazioni totali dei contratti stabili, mentre nel 2019 si aggiravano intorno al 15,2%. Nel 2018, precedentemente all’introduzione del Decreto dignità e della stretta sulle assunzioni a termine, i contratti a tempo indeterminato erano il 14,6% del totale. Questi dati sono soggetti a cambiamenti a causa della brevità dei contratti determinati, per questo motivo il lavoratore nel giro di un anno può avere molteplici attivazioni.

Secondo il Rapporto Inapp, il contratto part time involontario coinvolge circa l’11,3% dei lavoratori, rispetto al 3,2% della media Ocse, e il 10,8% dei lavoratori poveri del 2020. Secondo i dati provvisori mostrati nelle tabelle Eurostat 2021, il lavoro povero è notevolmente aumentato e raggiunge l’11,7% a fronte dell’8,9% medio dell’Ue. 

Le dichiarazioni dell’Inapp

L’Inapp dichiara: “Il nostro Paese è l’unico dell’area Ocse nel quale, dal 1990 al 2020, il salario medio annuale reale è diminuito (-2,9%) a fronte di aumenti di oltre il 30% in Francia e Germania. Nell’insieme il lavoro atipico (ovvero tutte quelle forme di contratto diverse dal contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a tempo pieno) rappresenta l’83% delle nuove attivazioni con un aumento del 34% negli ultimi 12 anni”. 

Le parole del Presidente Inapp

Inseguito il presidente, Sebastiano Fadda, afferma: “Malgrado alcuni segnali confortanti alcune debolezze del nostro sistema produttivo sembrano essersi cronicizzate, con il lavoro che appare intrappolato tra bassi salari e scarsa produttività. Per questo occorre pensare ad una ‘nuova stagione’ delle politiche del lavoro, che punti a migliorare la qualità, soprattutto per i neoassunti e per i lavoratori a basso reddito, per le posizioni lavorative precarie e con poche possibilità di carriera, dove le donne e i giovani sono ancora maggiormente penalizzati”.

Come si continua a leggere nel Rapporto: “La produttività è cresciuta più dei salari quindi non solo la sua dinamica è stata contenuta, ma non sembrano nemmeno aver funzionato i meccanismi di aggancio dei livelli salariali alla performance del lavoro”.

Inoltre, secondo lo studio nelle fasce temporali che vanno dal 2008-2010 e dal 2018-2021, la “buona” flessibilità ha portato circa il 35/40% dei lavoratori a un’occupazione stabile, dopo circa tre anni dall’inizio del lavoro precario. Al contrario coloro che hanno continuato a svolgere un lavoro precario si aggirano intorno al 30% e al 43%, al 16-18% coloro che hanno perso l’impiego e cercano lavoro, i precari o coloro che sono usciti dal mercato del lavoro sono circa il 17%, rispetto al3% del 2010.

I dati sulla retribuzione

I dati del Rapporto riportano infine: “L‘8,7% dei lavoratori, subordinati e autonomi, percepisce una retribuzione annua lorda di meno di 10mila euro mentre solo il 26% dichiara redditi annui superiori a 30mila euro, valori molto bassi se comparati con quelli degli altri lavoratori europei. Se consideriamo il 40% dei lavoratori con reddito più basso, il 12% non è in grado di provvedere autonomamente ad una spesa improvvisa, (quindi non ha risparmi o capacità di ottenere credito), il 20% riesce a fronteggiare spese fino a 300 euro e il 28% spese fino a 800 euro. Quasi uno su tre ha dovuto posticipare cure mediche”.