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Lamorgese contro Salvini: usando i dati sugli sbarchi per dribblare il problema

La ministra dell’Interno si concentra sul 2019 e al massimo fa qualche raffronto con il 2018. Silenzio assoluto, invece, sui veri nodi della questione

migranti e covid-19

Migranti ammassati su una nave

Le parole dei politici, e a maggior ragione dei governanti, bisogna sempre prenderle con le molle. E quando sbandierano delle cifre, ancora di più.

Qualche giorno fa lo avevamo ricordato a proposito della percentuale ottenuta dal PD nelle Regionali dell’Umbria, spiegando quanto potesse essere ingannevole quel 22,33 %. I dati sembrano oggettivi, ma vanno interpretati. Lo ribadiamo oggi, dopo le “puntualizzazioni” dell’attuale ministra dell’Interno in risposta a Matteo Salvini che tornava a denunciare il problema dei troppi immigrati che arrivano in Italia abusivamente. Il leader della Lega semplifica a modo suo e parla di “invasione”. Luciana Lamorgese sciorina un po’ di numeri e nega recisamente che vi sia da allarmarsi.

Chi ha ragione dei due?

È proprio qui che il discorso si fa interessante. E che l’analisi diventa indispensabile.

La chiave di volta, però, la anticipiamo subito: la responsabile del Viminale si destreggia per circoscrivere la discussione all’ultimo anno, così da poter sottolineare che oggi il fenomeno è piuttosto limitato. Invece Salvini, sia pure nella sua maniera enfatica e propagandistica, considera giustamente il quadro generale. Ossia quello che è già accaduto in precedenza e che da un momento all’altro può tornare ad accadere, se il lassismo del centrosinistra dovesse proseguire nelle sue capziose politiche di accoglienza pressoché indiscriminata.

Cominciamo dalle dichiarazioni di Lamorgese. Fissandone tre, in particolare.

La prima: «nel 2019 gli arrivi sono stati circa 9.600 rispetto ai 22mila di tutto il 2018. I dati a cui si fa riferimento sono relativi al solo mese di settembre».

La seconda: «Raffrontando gli sbarchi di settembre 2018 e 2019, in effetti l’incremento numerico c’è stato ma è riconducibile soprattutto all’aumento degli sbarchi autonomi, che non costituisce un fenomeno nuovo».

La terza: «Nel 2018 i migranti approdati qui con piccole imbarcazioni sono stati circa 6mila, mentre dall’inizio di quest’anno sono circa 7.500, e la tendenza all’incremento s’era registrata già dal mese di aprile».

Le cifre non bastano, egregia Lamorgese

Sono verità apparenti. Che, come abbiamo anticipato, si guardano bene dall’affrontare i veri nodi della questione. Una replica a scartamento ridotto, da tipica burocrate che non sa o non vuole espandere il ragionamento in una prospettiva più ampia. E si rifugia, perciò, nel resoconto di piccolo cabotaggio.

Lamorgese, d’altronde, ha alle spalle una carriera quarantennale da funzionaria ministeriale, per cui è da sempre una amministrativa abituata ad attenersi alle direttive altrui, anziché una osservatrice indipendente e avvezza a dare giudizi autonomi di natura prettamente politica. Non che questo sia un difetto, fintanto che si rimanga nel proprio ambito esecutivo, ma lo diventa eccome se invece si cambia funzione all’improvviso e ci si trova a doversi esprimere su problemi di portata amplissima come appunto l’immigrazione.

Le domande cruciali, che lei evita accuratamente, sono proprio quelle che al contrario ispirano Salvini: la vogliamo bloccare oppure no, la marea dei cosiddetti migranti? Vogliamo farglielo capire, finalmente, che qui non possono essere accolti in massa e solo perché loro hanno deciso di andarsene a tutti i costi dai loro paesi di origine?

Qualsiasi valutazione dei fatti, e quindi anche dei dati che li riassumono, deve ruotare su questi cardini. Smascherando l’alibi dell’intervento umanitario che si trincera, assai subdolamente, dietro alle situazioni di fatto. Quando le persone si sono ormai messe in viaggio, sulle loro barche e barchette più o meno inadeguate (cosa che del resto sanno benissimo ancora prima di partire), e di fronte a un naufragio incombente o già in corso si pone la necessità etica di salvarli.

Il problema rimarcato da Salvini è esattamente questo. Non che cosa fare o non fare nei confronti di quelli che ormai stanno in mezzo al mare e rischiano di lasciarci la pelle. Ma cosa fare per impedire che partano. Cosa fare per fargli comprendere che non sono i benvenuti e che non intendiamo più cedere al ricatto della solidarietà obbligatoria imperniata sul “mica vorrete farci morire, disperati e in pericolo come siamo?”.

La vulgata sinistrorsa e clericale la conosciamo a menadito: trattasi di fenomeni inarrestabili che si possono solo “governare”, ma giammai impedire.

Una versione di comodo che va rigettata in toto. Lasciando da parte le cifre dei conteggi più recenti e guardando a ciò che è avvenuto in passato – prima che i “terribili” sovranisti passassero al contrattacco e raccogliessero il consenso di tanti milioni di elettori – allo scopo di evitare nel modo più assoluto che possa tornare a verificarsi anche in futuro.

Le Ong devono smetterla una volta per tutte di sostituirsi ai governi. E di “eroine” alla Carola Rackete ci basta e avanza lei: apolide per vocazione e venuta da un paese straniero a impicciarsi, arbitrariamente, della nostra vita di italiani.

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