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L’amichettismo di Fulvio Abbate e la catastrofe degli emoticon

Il gioco è facile per Fulvio Abbate, nello sferrare una dura critica alla sinistra, la più incline all’amichettismo

Fulvio Abbate, emoji

Fulvio Abbate, emoji

Il 30 maggio scorso, annunciato già qualche giorno prima, Fulvio Abbate lancia sui social il suo trattato sull’amichettismo (neologismo dello stesso Abbate). 45 pagine di critica pungente del presente che riportano in superficie, in chiaro e a disposizione del grande pubblico del web, la funzione ormai perduta degli intellettuali. Ovvero quella di ragionare sulle opportunità e sulle miserie del mondo contemporaneo. Senza idolatria e con sano pragmatismo e disincanto si può apprezzare il lavoro di chi scrive trattati o saggi per analizzare lo stato dei rapporti sociali.

Che cos’è l’amichettismo?

Tante cose insieme. A me ha fatto venire in mente le chat WhatsApp delle mamme della scuola. Il gruppo ristretto, la cricca, il club, il circolo, che respinge ogni cosa “altro da sé”. Non accetta la difformità del pensiero, la critica, che espelle ogni opinione contraria o personale, che si nutre di chilometriche discussioni cariche di emoticon faccine, simboli di approvazione o di raffigurazioni di stati d’animo, in una eterna e reiterata ipertrofia del nulla.

Abbate si riferisce ad un modo di gestire i rapporti umani, di lavoro, in modo conformistico privo di onestà intellettuale. Racconta l’esempio emblematico del ristoratore musicista Roberto Angelini sostenuto e difeso in diretta nazionale su La7 dal conduttore di Propaganda Live, suo amichetto, nonostante avesse assunto in nero una collaboratrice e per questo fosse stato sanzionato dalla Guardia di Finanza. Di lì in poi una valanga di faccine cuoricini e quant’altro di amichetti veri o presunti sui suoi profili social.

Se da un lato emerge una nuova modalità di comunicare che usa scorciatoie e si accoda al nuovo modo di fruire dei contenuti multimediali, in cui il primo requisito per un sicuro successo è la brevità, un modo di comunicare che attraverso gli emoticon scaccia via ogni forma di articolazione del linguaggio e del pensiero un po’ più complesso, dall’altro lato l’amichettismo è la zavorra che affligge il mondo del lavoro e lo tiene sempre più lontano dal merito,

E questo relega la società italiana così distante non solo dalla società anglosassone ma persino dai nuovi contesti in forte crescita e sviluppo dei paesi dell’est. Non è un caso che molti lavoratori e lavoratrici dell’Europa dell’est relegati per lo più a fare i badanti o i servizi in Italia, in molti casi siano tornati nei paesi d’origine, magari a fare impresa.

Il gioco è facile per Abbate, nello sferrare una dura critica alla sinistra, la più incline all’amichettismo. D’altro canto sono anni che la classe dirigente progressista del paese non ne azzecca una, anzi sembra piuttosto impegnarsi per sbagliare tutto anche le cose più semplici, come calciare un rigore a porta vuota, insomma, per Abbate è stato come sparare sulla Croce Rossa. Per una volta si criticano fatti e scelte suffragati dell’evidenza pubblica, senza fare cenni campati in aria alla costruzione incombente di presunti regimi fascisti o ai pericoli per la democrazia.

L’amichettismo praticato, fa emergere con forza l’assenza di visione oggettiva delle cose, una visione viceversa sempre parziale, miope e stupidamente militante. Un esempio su tutti, per restare nell’ambito delle “cose” di sinistra. La figura di Pier Paolo Pasolini viene descritta e raccontata ancora oggi ad uso e consumo di una precisa visione, che deve essere quella, espungendo completamente dal racconto gli elementi controversi presenti nella vita dello scrittore, come la pedofilia e le perversioni sessuali che di fatto lo hanno portato a quella tragica morte che tutti conosciamo. Tutto ciò non diminuisce il valore di studioso ed il grande apporto che il pensiero di Pasolini ha dato alla comprensione dei fenomeni sociali e politici dell’Italia di quegli anni.

Tuttavia l’amichettismo (soprattutto di sinistra) confonde “Lady Oscar” con “l’uomo ad una dimensione” e costruisce quel raggiro semantico metafora del nulla ontologico in cui sta precipitando la società italiana, tutta intera.

Sandro Gugliotta