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Roma, la zona a luci rosse dell’Eur

Dopo i campi nomadi, le zone del piacere. L’ipocrisia italiana e l’inettitudine dei governanti

Per provare a disquisire sulla questione della recente proposta capitolina di creare una sex zone nel quartiere Eur (leggi qui), è opportuno partire dalle parole espresse da Matilde Spadaro, coordinatrice del tavolo tecnico sulla prostituzione al IX Municipio: “Tra racket e riciclo di denaro sporco, il quadro è drammatico. Ma se il sindaco, la questura, la procura, il dipartimento delle Politiche sociali, le cooperative e le associazioni che da sempre lavorano sul fenomeno si uniranno, allora potremo operare positivamente. È ora di pensare alla regolamentazione del fenomeno per contrastare la criminalità organizzata”. Non mi sento di dubitare dell’onestà intellettuale della signora Spadaro, mossa certamente da un personale spirito solidaristico, da un senso di giustizia individuale nei confronti di tante ragazzine sfruttate da organizzazioni e uomini senza scrupoli: papponi e clienti. Il dubbio, tuttavia, che quelle parole possano nascondere un intento diverso, si insinua prepotentemente.

La proposta del presidente del IX Municipio, Andrea Santoro, avallata a quanto sembra dal primo cittadino, sembra di primo acchito un’operazione più che altro di decoro urbano, di pura facciata, di chirurgia estetica. Un po’ la metafora dello smaltimento dei rifiuti, altro problema irrisolto dalle amministrazioni romane: trovo una buca, la riempio di immondizia e detriti fino a quando sarà colma. Poi si vedrà. Il fatto è che qui non si sta discutendo di rifiuti ma di persone, anche se è comprensibile che nella testa degli amministratori illuminati del compiuto progetto moroteo (vedi il nuovo presidente della Repubblica), la giustizia terrena non contempli uguale dignità per tutti. Se non a parole.

Alla domanda di un residente del quartiere Eur, che chiedeva se le disposizioni annunciate rappresentino nella sostanza una forma di legalizzazione della prostituzione, il presidente del IX Municipio, intervistato dal quotidiano la Repubblica, ha risposto: “Al contrario. Lo zoning è uno strumento per battere il racket. Il fenomeno della prostituzione minorile, anche quella maschile, è fuori controllo. Con il nostro progetto, invece, potremo censire regolarmente le presenze in strada. Abbiamo già parlato con le prostitute e sono favorevoli all’idea. Molte ci hanno detto che con un’area ben delimitata e vigilata si sentirebbero più sicure. Le uniche contrarie sono le ragazze che vivono nell’ombra, dove prolifera il racket. Sono queste le situazioni che vogliamo far emergere”.

Il diritto attuale in materia, eredità stantia della nota Legge Merlin, punisce sulla carta i reati di lenocinio e di libertinaggio, ovvero lo sfruttamento della prestazione sessuale a pagamento, e l’atto compiuto in luogo pubblico in offesa ai principi della pubblica moralità: si fa ma non si dice.

Le dichiarazioni degli amministratori romani sono un’insalata di richiami a principi umanitari edulcorati, morali farisaiche, libertarismo latente con senso di colpa evidente, legalitarismo borghese nella peggiore delle accezioni, ignoranza in materia elementare di diritto. Ma, soprattutto, tradiscono l’unica vera evidenza: l’assoluta inadeguatezza delle Procure, delle forze dell’ordine, dei vertici responsabili dei Dicasteri della Giustizia e della Sicurezza interna, che si dimostrano incapaci di contrastare il racket della prostituzione.

Un’altra idiosincrasia lampante in quelle dichiarazioni infarcite come bombe alla crema di ipocrisia politichese, è il richiamo al ruolo primario e all’azione dell’ associazionismo che, a ben intendere, dovrebbe continuare quell’opera privatistica di assistenza caritatevole per supplire alle deficienze di uno Stato che si dichiara a mezzo stampa, inetto.

In Italia, sia ben chiaro ai lettori, la prostituzione non è reato. Come non lo è più l’adulterio. Non lo sono e non lo sono mai stati neanche per la legge morale delle coscienze di una buona parte degli italiani. Vogliamo ancora nascondercelo? Intanto partiamo da questi due assunti. Senza ipocrisia.

Immaginando poi di risolvere con i fatti il problema dello sfruttamento della prostituzione, come giustamente, a mio giudizio e spero di tutti ( o forse no?) recita la Legge Merlin, rimarrebbe da risolvere il problema economico. Eh già, perché a quel punto non si potrebbe più far finta di niente, non ci sarebbero più emergenze prioritarie da risolvere, come la tratta delle schiave che tanto affligge le coscienze dei nostri politici. Dal momento in cui, liberamente, un uomo o una donna, così come un istruttore di fitness o di balli caraibici (ginnastica per ginnastica) decidessero di esercitare la “professione” che abbiamo detto non costituire reato, salvo se l’atto sessuale dietro corrispettivo o liberale che si voglia non sia compiuto in pubblico, si porrebbe e si pone a tutt’oggi, il problema della contribuzione fiscale. Quello che le inascoltate associazioni di categoria reclamano da anni (www.lucciole.org). L’evasione fiscale è ancora reato. Almeno fino ad oggi.

Qual è dunque il vero problema che ha spinto il Municipio IX di Roma Capitale, a questa dichiarazione di intenti così spudorata? Sono le chiappe alla luce del sole o dei lampioni notturni dei quartieri dimenticati della città, soprattutto quelli di passaggio inevitabile dall’aeroporto internazionale che ci unisce al resto del mondo e smaschera la nostra vera natura, o al contrario è stata una provocazione per stimolare un dibattito imprudente (perché riguardante certi pruriti) ma coraggioso, su temi quali la sessualità, l’affettività, la libertà individuale di espressione e autodeterminazione? Strumentalizzare il dramma delle ragazzine sfruttate delle quali, siamo onesti, a pochi importa, è azione ancor più vigliacca da parte di chi si assume il ruolo di guida politica di una comunità.

C’è infine la controparte interessata alla questione. i clienti. Perché continuare a nascondere la personale propensione a usufruire dei servigi sessuali a pagamento, e non costituirsi invece in libere associazioni (come fa l’altra controparte) che rivendichino la difesa di un diritto sancito dalla legge italiana, e conseguentemente la sua regolamentazione? Perché non immaginare anche una detrazione sull’imponibile, o farli rientrare nei benefit aziendali come il ticket restaurant?

La libera prostituzione (quella non sfruttata), nelle sue mille sfumature (quanti un po’ attempati non ricordano la Duna della Fiat, che a Roma era chiamata in modo colorito scacciafighe) esiste da sempre, è un fatto reale. Inutile ripeterlo. E, aspetto non secondario, mercato sempre fiorente. Risultano stonate le parole mercato e sesso nella stessa frase? Non si direbbe a guardare le riviste patinate rivolte al grande pubblico, le sfilate di moda, gli stereotipi proposti dalle pubblicità televisive, i personaggi e le storie raccontate da libri e film di successo, le star internazionali della musica per adolescenti. Per non parlare della pornografia esplicita che la fa da padrona sul web. O fosse invece che la sessualità mercenaria quando rimanga repressa o sublimata nell’ambito della fantasia personale, del virtuale, o peggio ancora nascosta dietro mentite spoglie, possa allora essere giudicata lecita moralmente? Ma giudicata da chi poi, viene da chiedersi? Chi è l’arbitro supremo: la coscienza collettiva, quella personale, il Super Io freudiano, il Grande Fratello di orwelliana memoria, o un Dio non benevolo verso i suoi figli ma, al contrario, severo censore e impassibile fustigatore dei suoi servi? Che non sia invece, molto più banalmente, la solita vecchia facciata borghese da preservare pubblicamente, quell’identità un po’ costrittiva ma in fondo confortante, che trascende qualsiasi credo religioso, ideologia politica o valore supremo a cui tendere la propria azione e il proprio sentire?

Per concludere. Intanto, il presidente del IX Municipio, da uomo delle Istituzioni, dovrebbe sapere e quindi saper rispondere che la prostituzione in Italia è già legalizzata. Non per opera sua, può stare tranquillo. In secondo luogo, diciamo le cose per quello che sono: le zone del sesso servono a spostare le chiappe dai marciapiedi sotto il tappeto; e che di quelle chiappe a nessuno importa veramente, se non ai tanti clienti romani. Last but not least: il sindaco Marino e il Pd, avrebbero l’occasione di stimolare un dibattito serio, laico, culturale (senza necessità di festival luccicanti e tappeti rossi), sebbene spinoso, che riguarda tutta la società civile, sul tema della sessualità e dell’affettività.

Immagino che anche gli alti Prelati della Curia romana non avrebbero problemi a riguardo. Eh si, perché sotto questa prospettiva, sembra che i veri bigotti perbenisti risiedano proprio dall’altra sponda del Tevere. Quella che guarda il Cupolone.

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