L’arte della gioia, Goliarda Sapienza
Il Sabato Lib(e)ro di Livia Filippi
Figlia di socialisti rivoluzionari, Giuseppe Sapienza e Maria Giudice (la prima dirigente donna della Camera del Lavoro di Torino), Goliarda nasce a Catania nel 1924 e cresce per volere dei genitori, in un clima di assoluta libertà da vincoli sociali. Il padre non le fa nemmeno frequentare la scuola, per evitare che fosse soggetta a imposizioni e influenze fasciste e le mette accanto una tata dal passato oscuro che lui stesso ha salvato dalla galera e che inquieta Goliarda bambina. A partire dai sedici anni vive a Roma, dove studia all’Accademia di Arte Drammatica e viene definita dal grande Silvio D’amico “la nuova Eleonora Duse”.
Una volta abbandonato il lavoro nel teatro e nel cinema si dedica alla scrittura, attività che non abbandona neanche durante l’esperienza nel carcere di Rebibbia, dove finisce per un furto di gioielli in casa di amiche.
L’arte della gioia è il suo romanzo più celebre quanto maledetto: per causa sua Goliarda si riduce in assoluta povertà, poiché viene giudicato troppo sperimentale, potentemente immorale, e non viene accettato da nessun editore italiano. Finché in Francia il romanzo riscuote un tale successo che ne vengono vendute 100mila copie in pochi anni. Solo a quel punto Einaudi si accorge di questo libro straordinario e lo pubblica, senza ancora aver raggiunto ad oggi il giusto riconoscimento popolare nelle librerie italiane.
Nel periodo della stesura del romanzo che parte dal 1967, Goliarda si mette all’opera tutti i giorni iniziando la giornata con l’immancabile caffè nero a stomaco vuoto dei siciliani e la sigaretta, poi intorno alle nove e mezza sale in mansarda, in alto fra il cielo e un’immensa vetrata sul mare dei pini sognanti di Villa Glori e lì rimane fino all’una e trenta, seduta su una poltroncina barocca, circondata da una distesa di appunti tutti disseminati sul parquet.
Scrive rigorosamente a mano, per il bisogno di sentire l’emozione nel battito del polso, servendosi di una Bic nero-china, china su fogli di carta poggiati sulle ginocchia. Cerca di sfuggire ai numerosi inviti a colazione nel sole di Roma di quegli anni beati e agitati, scrivere significa rubare il tempo anche alla felicità. Ma la felicità di uno scrittore, si sa, è il suo stesso lavoro, in questo caso è il veder crescere pagina dopo pagina negli esili segni delle parole scritte, l’anima di Modesta, figura attorno alla quale ruota il romanzo, e degli altri personaggi, pronti ad andarsene in giro fra la gente.
La felicità di vedere il volume sul banco del libraio non ha nulla a che fare con quello stato in cui Goliarda scende lentamente nell’abissale pozzo in fondo al quale vive la fitta colonia dei suoi fantasmi, i numerosi personaggi di questo romanzo. Dopotutto L’arte della gioia non è un romanzo autobiografico e Goliarda non si riconosce in Modesta, che si è buona parte di se stessa, ma con storie che non le appartengono.
Da attivista politica, con le sue idee di giustizia sociale, di parità tra i generi e di libertà, Goliarda pensa che la regola base di qualunque lavoro rivoluzionario sia quella di operare nel proprio contesto storico e sociale.
Modesta è una “carusa tosta”, che nasce il primo gennaio del 1900 in una casa povera, in una Sicilia poverissima, a tinte forti, dove inizia a battersi contro tutti per ottenere un posto nel mondo, un bel posto, non quello in cui è nata, tra miseria e violenza, muovendosi secondo un solo metro di giudizio delle cose, il suo. E’ una funambola ai piedi del pozzo che cade, ora per slanci razionali ora passionali, spinta dall’infallibile volontà di ascoltare ed esaudire la richiesta di piacere che sale dal suo corpo e dalla sua anima.
E’ una donna che fin dall’inizio è consapevole di essere destinata a una vita che va ben oltre i confini della sua condizione. Ancora ragazzina è mandata in un convento di suore e da lì, alla morte della madre superiora che la protegge, in un palazzo di nobili. Dove il suo talento, la sua determinazione e intelligenza machiavellica le permettono di continuare a stare al centro di tutto, come una stella fissa che segue il suo corso, capace di leggersi dentro fino in fondo e di incutere negli altri il desiderio di autenticità.
L’ambizione sfrenata la porta a convertirsi in aristocratica attraverso un matrimonio di convenienza. Tutto ciò senza mai smettere di vivere in una libertà assoluta, priva di preclusioni, qualcuno direbbe prepotentemente “amorale”, anche sul piano sessuale, seducendo uomini e donne di ogni età.
Passa attraverso esperienze discutibili, sempre con una forza positiva, con la volontà lucida di essere felice senza soccombere ai pregiudizi di quello che una donna deve essere o fare, ed è forse questa l’arte della gioia. Modesta diventa una roccia, un mulino a vento contro cui vanno a sbattere tutti i donchisciotte nutriti d’illusioni idealistiche, di sovrastrutture culturali, religiose e ideologiche.
Un amante dialogando con Modesta: «-Tu sei ancora innamorata di quell’uomo! – Non di quell’uomo, Carlo, ma dell’accordo fisico che c’era tra di noi quando facevamo all’amore. – Diventi volgare, Modesta. – Per te tutto quello che è vero è volgare».
Una filosofia, quella di Modesta, in netto contrasto con il mondo che la circonda in quel periodo, che si batte per il fascismo o per il comunismo e crede negli eroi e negli ideali; e che fa di lei una figura enigmatica che non è possibile contestualizzare del tutto.
E’ la storia del personaggio femminile tra i più vivi e spregiudicati del nostro Novecento, di una vera e propria “macchina desiderante”, in corsa per il mondo che la ostacola, ma non la vince, e dal quale spreme ogni possibilità di piacere, senza sottrarsi al dolore e alla perdita. Di una donna che nonostante non indietreggi di fronte a nulla, viene spontaneo non giudicarla ma contraddistinguerla come si distingue ogni grande personaggio della letteratura universale.
Un romanzo che vuole liberare le forze della vita e che per questo sceglie una sua lingua spoglia, essenziale, che non ama gli aggettivi, che utilizza soluzioni espressive personali aliene dalla ricerca del “bello dello scrivere”.
Nel 1996 Goliarda Sapienza muore senza fama e senza vedere la sua Modesta in libreria, ma con la gioia di aver avuto il vizio di scrivere la vita come la pensava, poiché oggi Goliarda non è più, però Modesta esiste.