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L’ambigua fascinazione delle “sette” e la mentalità settaria

Riflessioni a puntate e a piccole dosi su familismo, campanilismo, regionalismo, passioni sportive, sette, partiti e movimenti, nazionalismo, etnocentrismo, razzismo

Riflessioni a puntate e a piccole dosi su familismo, campanilismo, regionalismo, passioni sportive, sette, partiti e movimenti, nazionalismo, etnocentrismo, razzismo, utili -forse- a capire meglio chi siamo; con particolare riferimento all'Italia e agli Italiani.

Parte quinta: L'ambigua fascinazione delle “sette”. La mentalità settaria come risposta regressivo-eversiva all'incapacità di capire e affrontare la complessità del mondo attuale.

1) Le classiche e consolidate configurazioni fenomenologiche delle sette

Dal punto di vista etimologico, una setta è un “séguito” (in Latino: secta, da sequor: “seguo”) o, secondo alcuni, una “sezione” o “divisione” (secta da seco: “taglio”). Ciò che non traspare dall'etimologia, ma che risulta indefettibilmente confermato dalla storia e dalla cronaca, è il fatto che non ha alcun significato parlare di “setta” se non si tratta di qualcosa di espressamente organizzato e costantemente sorretto da messaggi, interlocuzioni, testi normativi od orientativi condivisi, riti collettivi e comportamenti solidaristico-comunitari. Una setta è dunque un esempio tipico di comunità di base, solitamente -ma non sempre- incline al proselitismo e ad un'espansione a livello di massa, tale da influenzare le scelte o addirittura condizionare competitivamente il destino di entità come le religioni già diffuse, la moralità socialmente dominante, la cultura e la politica.

A fronte di alcune micro-sette tendenti solo ad una purificazione morale condivisa da pochi eletti o ad una cinica a talora delittuosa anti-moralità ipertrasgressiva, come è il caso delle sette “sataniche”, la più frequente e tipica fisionomia delle comunità settarie è quella di gruppi finalizzati all'affermazione di un proprio potere, da un lato sulla coscienza degli adepti, dall'altro sulla società attraverso la diffusione di messaggi alternativi rispetto alla religione, alla cultura, all'assetto politico del contesto socio-culturale di riferimento: in prospettiva utopica, sull'intero pianeta. Recenti rilevazioni statistiche annoverano 600 mila adepti in Italia e 500 milioni nel mondo.

La fascinazione psicologica delle sette consiste dunque nell'indurre nell'adepto un gratificante senso di potere-padronanza su sé stesso che gli conferisce dignità ed autostima, unitamente ad un forte senso di appartenenza-fratellanza nella comune missione di cambiare in meglio, in termini salvifici, il destino di una comunità più vasta o del mondo intero. Inoltre, il sistema di credenze comuni riduce l'ansia e l'insicurezza, promuove le attitudini relazionali degli individui più timidi e schivi, comunica un senso di “liberazione” dal presunto grigiore della vita vissuta nel consueto ambiente socio-familiare. Infine, il carisma del leader, spesso assimilato ad una sorta di nuovo Messia, soddisfa i bisogni di dipendenza dei soggetti caratterialmente deboli e consente di evitare bloccanti o insostenibili conflitti di coscienza, sino all'aberrante accettazione del suicidio di massa, se credibilmente proposto dal presunto Messia.

La patologica alienazione della propria coscienza individuale a favore del delirio narcisistico di onnipotenza del capo configura una malsana simbiosi di vicendevole induzione para-schizofrenica nella misura in cui sia il seguace che il capo perdono il senso della realtà quanto più in circolo vizioso si consolida la fideistica convinzione di costituire un'élite, un'accolita di Illuminati pervenuti ad un livello di coscienza irraggiungibile da parte dei non adepti. Chi dovesse ravvedersi e discostarsi dalla comunità di eletti viene quasi sempre sottoposto a violente minacce e talvolta a rappresaglie delinquenziali da parte degli ex “fratelli”. Il dogmatismo ottuso imperante nella setta condanna infatti sempre e comunque come “traditore” non chi per motivi venali o abietti si è macchiato di perfide azioni occulte di sabotaggio o di criminosi inganni, ma chi semplicemente e legittimamente ha cambiato idea.

2) Nuove ipotesi interpretative

Da qualche decennio le comunità settarie che hanno dimostrato la più decisa e incisiva capacità di agire nel contesto sociale, di massimizzare la coesione interna e di condizionare il comportamento dello Stato e delle Istituzioni sono state da un lato le consorterie mafiose, dall'altro le organizzazioni politiche radicali. Le prime con indubbia ingegnosa efficacia e lauti profitti, le altre con effetti alterni ed un patologico mix di luciferina astuzia brigantesca e disarmante sprovvedutezza intellettuale, oltre a manifestare più o meno tutte le caratteristiche settarie considerate nel precedente paragrafo, rappresentano due modalità emblematiche di reazione regressivo-eversiva rispetto all'inquietante e delicata complessità del mondo attuale.

Gli articoli di fede animaleschi delle mafie (comandare è meglio che fottere, meglio una vita in galera che un solo momento di resa agli “sbirri”, la suprema giustizia naturale è lo sfruttamento dei deboli e dei fessi da parte dei dritti, la virilità si dimostra con l'esercizio spietato della violenza e della sopraffazione, etc.) costituiscono uno sconcertante esempio di mentalità da ominidi primordiali, brutalmente semplificatoria ma paradossalmente vincente rispetto all'apparente sofisticatezza dei moderni organi legislativi e repressivi. L'eversione mafiosa non consiste solo nella devastante colonizzazione criminale del pianeta, ma anche nell'aberrante schifato disprezzo per l'ambiente, la salute, la solidarietà, il senso morale, i diritti, i valori, la cultura, la libertà e dignità personale degli stessi appartenenti e soprattutto delle loro donne.

Mandare in rovina con gusto sadico il mondo intero e vivere di fatto una vita da cani irta di penose conseguenze, latitanze sfibranti e incombenti rischi (anzi, talvolta certezze) di morte pur di accumulare uno stupido potere autolesivo ed enormi quanto mal godibili profitti, lascia esterrefatti perché nel caso dei mafiosi l'insicurezza -purtroppo possibile, anzi probabile nell'odierna realtà di una caotica globalizzazione- viene esorcizzata optando per un'insicurezza praticamente sicura, angosciante e spesso esiziale.

Le sette politiche radicali o estremistiche presentano analoghe caratteristiche regressive ed eversive. Confidare ciecamente in un futuro paradiso di giustizia e uguaglianza del tutto aleatorio, in nome del quale togliere la vita alle persone sgradite o infliggere ingiusti danni alla collettività (è il caso delle Brigate Rosse e sette affini) è aberrante ed eversivo quanto il riferirsi anacronistico, fuori da ogni buon senso e logica, a fasi storiche, posizioni politiche e personaggi di un passato oramai remoto non più recuperabile per ovvie e concretissime ragioni (è il caso dei NAR, delle formazioni di estrema destra aggressiva e del Ku Klux Klan).

Al momento attuale le sette politiche dogmaticamente orientate verso il futuro appaiono alquanto disperse e disorganizzate anche -non fosse altro- per la scarsissima appetibilità ottimistica di qualsiasi futuro ipotizzabile; mentre le sette orientate a proporre riedizioni di ideologie di destra del passato, facendo appello agli istinti più elementari delle masse, per quanto del tutto comprensibili (paura del delinquente, del disordine, del nuovo, del diverso, dell'immigrato, del vagabondo, della concorrenza di forti paesi stranieri, dell'impoverimento, del declassamento sociale, etc. etc.), adottano la comoda e agevolmente vincente carta dell'istigazione al rifiuto drastico, alla reazione violenta, all'esclusione, all'”apartheid”, all'autodifesa istintiva, al linciaggio morale (o peggio) del dissenziente, dell'estraneo, dell'immigrato, eludendo a priori qualsiasi risposta costruttiva faticosamente ma doverosamente centrata sul governo equilibrato dei fenomeni socioeconomici complessi.

In altre parole, il plesso di fattori genetici predominanti nel formarsi e nel diffondersi del settarismo criminale e di quello ideologico consiste nel perverso intreccio di impotenza di fronte alla disorientante complessità del mondo della globalizzazione e delle migrazioni, di paura di rimanere intrappolati in posizioni sociali soggette a declassamento e impoverimento, di “tagliare corto” con brutale violenza semplificatoria rispetto a ciò che non si è in grado di gestire in termini equilibrati e “sistemici”, di individuare veri o presunti “nemici” con funzione di “capri espiatori” cui attribuire la responsabilità del disagio e cui contrapporre una rivendicata appartenenza identitaria maldestramente teorizzata senza appropriati riscontri storico-culturali.

Il rischio è quello di cadere in una disumana "barbarie reattiva" di gran lunga peggiore di quella a cui si contrappone.

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