Prima pagina » Cultura » Intervista a Gabriella Sica sulle “Poesie d’aria”

Intervista a Gabriella Sica sulle “Poesie d’aria”

Gabriella Sica è una protagonista della poesia italiana fin dagli anni Ottanta, quando curava “Prato pagano”

Gabriella Sica

Gabriella Sica

Gabriella Sica è una protagonista della poesia italiana fin dagli anni Ottanta, quando curava “Prato pagano”, la rivista in cui hanno esordito alcuni dei poeti contemporanei, ed esordiva con La famosa vita, poesie d’argomento amoroso apprezzate da Elsa Morante.

Gabriella Sica
Gabriella Sica

Da dove e come nasce il nuovo libro Poesie d’aria?

Poesie d’aria è un racconto in versi e per frammenti che si protrae per cinque anni, dal gennaio 2007 al dicembre 2011, e accoglie gli eventi più rilevanti o che semplicemente mi ispiravano, e che ho lasciato depositare a lungo. Ma in vista della pubblicazione ho molto lavorato a una revisione, di più su alcune poesie, e per niente su altre. Il titolo è sempre stato questo, nasce da un bisogno d’aria individuale, che poi, con Covid e guerra, è diventato generale.

In una recente intervista ha definito le poesie di questo libro “primaverili”. Può spiegarci questa definizione?

Siamo immersi nel ciclo naturale della natura, del passaggio delle quattro stagioni, di noi che passiamo, e la primavera è sempre stata la mia stagione preferita, quella della nascita e della rinascita, della gioia, della bellezza sparsa ovunque per strada e sui davanzali, tra i prati e i boschi. Le mie prime poesie hanno come titolo Primavera del 1979. Erano appunto le prime poesie. Non so se questo è il mio libro “primaverile” ma in fondo ogni nuovo libro è una primavera, e questo in particolare è il libro di una rinascita personale.

Mi sono inabissata per scriverlo, perché i libri ancora si scrivono in solitudine, nonostante i social, ma risorgiamo a noi stessi e agli occhi degli altri. Inoltre vivo a Roma da sessant’anni, sono abituata a morire e a rinascere, è quel movimento magico e spietato della metamorfosi che Roma ci mostra a ogni angolo e di cui è immensa maestra. E nonostante la stabilità che c’è stata nei decenni precedenti, questa è ormai l’epoca della metamorfosi, del cambiamento. E dell’attesa della primavera, della verità sempre nuova del generare e rigenerare, di nuove nascite e nuovi freschi respiri.

Lei non è nata a Roma ma ci vive da molti anni. Come vede Roma in questo suo libro?

Roma compare in Poesie d’aria spesso, è una presenza selvatica, occhieggia qua e là, del resto Roma non si fa catturare da nessuno, ci provo e così a caso si aprono squarci improvvisi di lei bellissima, feritoie e faglie di stupore e meraviglia, anche se noi abitanti, troppo smagati, la vediamo sempre labirintica, come un guazzabuglio. E già il mio libro precedente, Tu io e Montale a cena, era stato il congedo da un poeta e da un amico, Valentino Zeichen, ma anche da una Roma brillante, di grande fervore creativo, di passeggiate e di incontri, che pare tramontata, ma certamente Roma non muore, è eterna e rinasce sempre.

Quali mie poesie parlano di Roma? C’è una Veduta romana alla maniera degli antichi pittori, c’è la Roma di quegli anni in cui nessuno si preoccupava troppo di abbattere gli alberi in serie, e c’è la Roma “fiumicina”, la Roma del Tevere che l’attraversa e scorre travolgendo destini e cose. Involontariamente centrale si è rivelata una poesia, All’Ara Pacis, in cui si affaccia vicino al fiume un luogo antico, e sempre purtroppo nuovo, che è l’altare della dea Pace in cui Augusto per primo celebrava la pace tra i popoli. Dea bizzarra quella della pace che chiede ancora sacrifici.

La guerra è un tema a lei caro, non solo in questo libro ma anche in altri precedenti come Cara Europa che ci guardi (1915-2015)

L’Iliade è un mio libro di riferimento, fin da quando, adolescente al liceo Mamiani, lo leggevo con passione e stupore vedendo come tutte quelle guerre le facessero non solo uomini e donne ma anche dèi e dee. Gli eroi, i vinti troiani e i vincitori achei, ce li ricordiamo come erano perché qualcuno ha scritto l’Iliade. Anche la Storia con le sue guerre ha bisogno della poesia per essere ricordata. Siamo vissuti in questa parte di mondo a lungo in pace, anche se sulle nostre nuche soffiavano sempre venti bellici, come quando sembrava che dovesse scoppiare un’altra guerra mondiale per Cuba, e io ero una bambina.

Nel mio libro in versi Le lacrime delle cose ho ritrovato poesie sugli eventi terribili del 2004 a Beslan e in Ossezia. E il mio libro, Cara Europa che ci guardi, era proprio un invito a capire a che punto eravamo, dopo le due guerre mondiali che nel Novecento avevano funestato la vita dei nostri nonni e genitori, e che erano in un certo senso entrate in noi, nel nostro sangue, per esempio trovandoci a dover assistere a quello che succedeva a Kiev nel 2014. Ne scrivevo quando in Occidente, nella vacua distrazione generale, si rimuoveva il problema. Scrivevo di Europa e di guerre ancora possibili e c’era pure chi mi rimproverava di trattare un argomento non attraente. Invece era un libro che anticipava molti temi di oggi che infatti dilagano sui giornali.

Come nasce la passione per la poesia?

Direi che è nata con la passione per i libri che ho avuto fin da bambina, quando il mio sogno era entrare in un’edicola, dove a volte mi ospitavano, per leggere quello che trovavo. Passione per la lettura, per conoscere, per migliorare il mio stato nella famiglia semplice e priva di libri in cui sono nata. In Poesie d’aria c’è una poesia sulle rondini, scritta come un calligramma a forma di rondine, in cui ricordo il volo di un fitto stormo di rondini in cielo, mentre ero seduta su un banco di scuola elementare, accanto alla finestra aperta perché era primavera. E la maestra, per una suggestiva coincidenza, leggeva una poesia di Pascoli sulle rondini.

Lì avevo capito che la poesia non è un affare astratto o retorico, ma ci interpella e ci parla della vita di chi scrive e di chi legge, di noi tutti. E ho sempre sognato che la poesia diventasse un movimento corale, di tutti, come era nell’antichità. In un certo senso i social offrono strumenti adeguati, sia pure virtuali, ma poi c’è un errore strutturale che non so quale sia e che impedisce una circolazione autentica della poesia.

Foto di Dino Ignani