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Inchiesta Palumbo, pazienti dirottati sui “centri amici”: come funzionava il sistema della dialisi a Roma

Inchiesta sulla sanità a Roma: il nefrologo Roberto Palumbo è accusato di aver indirizzato pazienti verso centri dialisi amici in cambio di denaro e favori

Ospedale Sant'Eugenio di Roma

Ospedale Sant'Eugenio di Roma

La frase intercettata in auto dagli investigatori – «Quello che devi fa te… si devi fa l’amministratore e non l’amministrativo… fai l’amministratore e te godi la vita» – è la sintesi di un modo di intendere il potere dentro la sanità pubblica. A pronunciarla è Roberto Palumbo, nefrologo di riferimento dell’Ospedale Sant’Eugenio, a Roma, rivolgendosi a Maurizio Terra, amministratore unico della società Dialeur, attiva nel settore della strumentazione per pazienti in dialisi.

Quelle conversazioni, ricostruite nelle carte della procura, sono uno dei tasselli che hanno portato all’arresto del medico e alla richiesta di convalida del fermo attualmente all’esame del gip. Al centro dell’indagine, condotta dalla squadra mobile e coordinata dai magistrati Gianfranco Gallo e Giuseppe De Falco, c’è l’ipotesi di un sistema stabile di favori, pagamenti occulti e minacce che avrebbe condizionato per anni il percorso di cura di pazienti fragili, con un impatto diretto sui conti del Servizio sanitario nazionale.

Palumbo e il controllo dei flussi dai reparti ai centri dialisi amici

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Palumbo avrebbe creato una rete di rapporti in grado di trasformare l’uscita dei pazienti dal reparto di nefrologia del Sant’Eugenio in un passaggio obbligato verso alcune strutture private convenzionate. Si tratta di centri legati ai gruppi imprenditoriali Rome Medical Group, Diagest srl, Diaverum e Madonna della Fiducia, indicati negli atti come destinatari privilegiati del flusso di malati bisognosi di terapia emodialitica ambulatoriale dopo la dimissione dall’ospedale pubblico.

Nelle carte si parla di “corsie preferenziali” lungo le quali i pazienti venivano indirizzati proprio verso quei centri “amici”, dove la terapia, rimborsata dal Servizio sanitario nazionale, può valere fino a mille euro per una singola seduta di emodiafiltrazione. Un segmento della spesa pubblica che diventa terreno delicato quando l’indirizzo clinico viene contaminato da interessi economici privati.

Gli inquirenti sottolineano che le intercettazioni permettono di cogliere l’esistenza di un filo diretto fra l’ospedale e i centri in questione, con il nefrologo in posizione centrale nel meccanismo di selezione delle strutture a cui inviare i malati.

Quote societarie, fatture e contanti: come venivano corrisposti i favori

Il rapporto con Dialeur rappresenta, secondo l’accusa, uno dei passaggi chiave per comprendere la portata degli interessi in gioco. Dalle conversazioni riportate agli atti emerge il tentativo di Palumbo di entrare di fatto nella società che opera nel settore della strumentazione per la dialisi, ottenendo il sessanta per cento delle quote tramite un gioco di partecipazioni intestate a un altro imprenditore, formalmente titolare del quaranta per cento.

Un’operazione che gli investigatori descrivono come una forma di redistribuzione degli utili, in cui la presenza del medico appare rilevante non solo sul piano clinico, ma soprattutto sul versante economico. Accanto alla partita delle quote societarie, l’indagine documenta un sistema di pagamenti ritenuti privi di giustificazione reale. Dal 2020 la compagna di Palumbo, la dottoressa Germana Sfara, avrebbe ricevuto fra 200 e 900 euro mensili per prestazioni professionali che, stando alle carte, non risultano mai effettuate.

A questo si aggiunge la possibilità, concessa al nefrologo, di svolgere attività professionali presso il Rome American Hospital con un meccanismo di compenso misto: una parte dei pagamenti sarebbe transitata attraverso fatture considerate false, mentre il resto, cifre variabili fra 4.000 e 6.000 euro, sarebbe stato corrisposto in contanti e in nero. Uno schema che, sempre secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbe consentito al medico non solo di incrementare gli introiti personali, ma anche di evitare il versamento della quota dovuta all’Asl di riferimento per le attività intramoenia o convenzionate.

Le minacce agli imprenditori che non accettavano le condizioni

Il potere di condizionare il percorso dei pazienti non si sarebbe tradotto solo in vantaggi per i “centri amici”, ma anche in un’arma di pressione verso chi non accettava le condizioni dettate da Palumbo. È qui che si colloca la vicenda dell’imprenditore Antonio Carmelo Alfarone, legato alla Rome Medical Group, che ha deciso di denunciare quanto accadeva. Nella ricostruzione della procura, fra il 2019 e il 2021 l’imprenditore sarebbe stato costretto a versare al nefrologo circa 700mila euro.

Il calcolo si basa su un corrispettivo di 3.000 euro per ciascun paziente inviato alle cliniche, per un totale di quaranta pazienti indicati negli atti, a cui si sommano una serie di oneri accessori che descrivono la dimensione del rapporto: il canone di affitto, pari a 1.600 euro al mese, di un appartamento in via Gregorio VII; il leasing di una Mercedes con manutenzione inclusa, per altri 1.000 euro mensili; la disponibilità di tre carte di credito utilizzate dal medico in ristoranti, alberghi ed esercizi commerciali; un ulteriore contratto di consulenza da 2.500 euro al mese per un anno sempre a favore di Germana Sfara.

In procura sono già confluiti i riscontri sui movimenti delle carte di credito e le fotografie di alcuni passaggi di denaro in contanti, elementi ritenuti significativi nel quadro probatorio.

Sanità pubblica e interessi privati: cosa dicono gli inquirenti

Nella richiesta di convalida dell’arresto, i magistrati mettono nero su bianco la loro lettura del caso. Scrivono che i legami intessuti da Palumbo, pur muovendosi in un ambito formalmente clinico, risultano “ammantati di interessi privati” tali da alterare la correttezza del rapporto fra ospedale, paziente e strutture convenzionate.

Il cuore dell’accusa è proprio qui: un medico di un grande ospedale romano che, grazie al ruolo strategico in un reparto delicato come la nefrologia, sarebbe riuscito a orientare la destinazione dei pazienti in funzione di vantaggi personali e non solo sulla base di criteri sanitari. Una dinamica che, se confermata, produrrebbe un duplice effetto dannoso.

Da un lato, l’indebolimento del principio di imparzialità del servizio pubblico, che deve garantire scelte trasparenti e basate sulla qualità delle cure; dall’altro, un impatto economico sui bilanci del Servizio sanitario nazionale, costretto a riconoscere rimborsi pieni per prestazioni di fatto utilizzate come contropartita in rapporti opachi fra pubblico e privato.

Gli inquirenti ricordano inoltre che nel 2024 lo stesso Palumbo avrebbe manifestato l’intenzione di lasciare il Sant’Eugenio, pur continuando a mantenere un ruolo di fatto dominante. In un’intercettazione una collaboratrice osserva che “da fuori continuerebbe a comandare”, frase letta dai magistrati come conferma della capacità del nefrologo di incidere sulle scelte dell’ospedale e sulle destinazioni dei pazienti anche al di là di un incarico formale.

Il ruolo delle intercettazioni e dei riscontri finanziari nell’indagine

Il quadro costruito dalla procura si regge su un insieme di elementi eterogenei: intercettazioni ambientali, conversazioni in auto, documentazione contabile, riscontri bancari e testimonianze. Le frasi riportate nei decreti di perquisizione e nelle richieste di misura cautelare aiutano a definire il contesto, ma sono soprattutto i flussi di denaro e i rapporti contrattuali a rappresentare, agli occhi degli inquirenti, il cuore della vicenda.

Le spese effettuate con le carte di credito intestate o messe a disposizione dall’imprenditore Alfarone, i bonifici giustificati con consulenze ritenute fittizie, i pagamenti in contanti ricostruiti attraverso immagini e testimonianze compongono un mosaico che i magistrati considerano coerente con l’ipotesi di corruzione e induzione indebita.

Accanto alla dimensione finanziaria, restano i risvolti etici e deontologici: la dialisi è una terapia salvavita, che accompagna pazienti cronici in condizioni di fragilità, spesso per anni. Il sospetto che le scelte di indirizzo verso un centro o un altro possano essere state influenzate da accordi sottobanco aggiunge un elemento di particolare gravità al racconto giudiziario, già appesantito dalle cifre e dai benefit in gioco.

La linea della difesa: «Compensi legittimi, nessuna mazzetta»

Di fronte a un impianto accusatorio così articolato, la difesa di Roberto Palumbo ha scelto di rivendicare con forza la legittimità dei compensi percepiti. Il legale del nefrologo, l’avvocato Antonello Madeo, ha ricordato che si sta parlando di «uno dei principali nefrologi italiani» e ha sottolineato come, grazie alla sua attività, l’ospedale abbia ottenuto benefici economici e di immagine.

Secondo la difesa, le somme contestate non sarebbero tangenti, ma corrispettivi dovuti per prestazioni professionali svolte in favore delle strutture private. L’obiettivo annunciato è dimostrare, nelle sedi opportune, che non vi è stato alcun meccanismo corruttivo, ma solo l’intreccio di incarichi e consulenze che in sanità, specie nel settore delle alte specializzazioni, è frequente e spesso regolato da contratti regolarmente registrati.

Sarà il confronto in aula, con l’esame delle singole posizioni e dei singoli passaggi di denaro, a stabilire se i rapporti fra Palumbo, Dialeur e i gruppi proprietari dei centri dialisi possano essere ricondotti a normale collaborazione professionale oppure se abbiano travalicato il limite, trasformandosi in un sistema in cui il potere di orientare i pazienti veniva messo al servizio di interessi privati.