Prima pagina » In evidenza » Il pericolo navi fantasma, bombe a orologeria nei porti italiani

Il pericolo navi fantasma, bombe a orologeria nei porti italiani

Ormeggiate nei nostri porti, navi fantasma con il rischio di perdita di prodotti chimici, amianto, petrolio, con gravi rischi per l’ambiente

Nave abbandonata

Vecchie carrette del mare che vengono lasciate senza carburante, l’equipaggio senza stipendi e assistenza, perché all’armatore non conviene più sfruttarle. Così restano ormeggiate nei nostri porti, o spiaggiate, con il rischio di perdita di prodotti chimici, amianto, petrolio, con gravi rischi per l’ ambiente marino.

Il pericolo delle navi fantasma

La nave Berkan B è arrivata nel porto di Ravenna nell’estate del 2010. Nel 2011 è stata abbandonata. Nel 2017, si è spezzata in due. Nei porti italiani ci sono centinaia di navi abbandonate. Secondo le stime ufficiali sarebbero in tutto 749. Ma per lo più sono relitti di cui s’è perso ogni dato storico. Quelle abbandonate di recente sono poco più di una ventina.

Tra le navi cargo abbandonate a Ravenna ci sono la Vomv Gaz (Ucraina), la OrEnburgaz Prom (Russia) e la V Nikolaev (Russia) che nel tempo sono diventate meta di writers (che vi hanno lasciato la propria impronta in cirillico), o di musicisti che vi hanno girato videoclip. Di esploratori urbani di luoghi abbandonati, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo relativo alle chiese e altri luoghi abbandonati. (Chiese abbandonate: a Roma sono centinaia, trasformate in discoteche, abitazioni e uffici 18.7.2023)

Relitti in balia di chiunque voglia depredarli o esplorarli

La corrosione marina, insieme all’invecchiamento naturale delle strutture, causa gravi danni alle navi lasciate sulle banchine o spiaggiate, aumentando così il rischio di incidenti ambientali. Uno dei principali pericoli è la possibile fuoriuscita di sostanze inquinanti, come il petrolio o altri elementi trasportati. La fuoriuscita di petrolio potrebbe causare danni significativi all’ecosistema marino, alla fauna e alla flora e potenzialmente danneggiare le industrie della pesca locali e il turismo.

Un altro rischio è legato alla stabilità delle navi stesse. A causa del deterioramento, le navi potrebbero collassare, spezzarsi, com’è già successo o affondare, rappresentando un pericolo per la navigazione nella zona. Questo potrebbe anche complicare eventuali operazioni di recupero o ripristino delle condizioni naturali.

Inoltre, c’è il rischio di contaminazione da amianto, che era comunemente usato nella costruzione navale in passato, quando queste navi furono costruite. L’esposizione all’amianto può avere gravi conseguenze per la salute, inclusi vari tipi di tumori.

Per tutti questi validi motivi sarebbe fondamentale intraprendere accordi internazionali per affrontare queste minacce, istituendo un diritto al recupero dei natanti o una copertura dei costi per la loro rimozione. Potrebbero essere necessari interventi di ispezione per valutare la condizione attuale delle navi, la rimozione di eventuali sostanze inquinanti, e, se necessario, la demolizione delle navi, per prevenire ulteriori rischi.

Bombe a orologeria che possono causare danni seri all’ambiente

Giancarlo Schiano, attivista di Call to action Ravenna: «Non serve essere veggenti per capire che la situazione nel “cimitero delle navi’’ è una bomba ad orologeria sia per l’ambiente che per la sicurezza degli specchi acquei. La zona, accessibile a piedi, fa capire immediatamente il significato della parola degrado: le navi sono arenate lungo l’argine della Piallassa in posizioni incerte e le cui condizioni fanno presupporre non solo la non galleggiabilità dei mezzi, ma anche una precaria condizione strutturale degli scafi. Una in particolare è piegata e pronta a seguire la sorte del Berkam B., ormeggi di sicurezza inesistenti abbandonati a se stessi, abbandono totale della zona che si tramuta in accesso libero alle navi con atti di vandalismo e depredazione. Per completare il quadro l’ambiente è saturo di rifiuti di ogni tipo, forma e dimensione».

Che fare di questi relitti? Possiamo lasciarli a inquinare il litorale? A essere oggetto di depredazione di materiali? «Una cosa è certa» dice Schiano «più tempo passa meno tempo abbiamo per riparare o evitare altri danni».

Armatori che abbandonano perché non rendono più

Secondo un dossier elaborato dalle Capitanerie di Porto, dal 2009 ad oggi sono state abbandonate nei vari porti della costa tirrenica, da Savona a Marghera, almeno 20 navi, di cui 19 in abbandono totale. Potete andarle a visitare, le trovate a Genova, la Tan Trader (Russia), a Milazzo la Baba T (Algeria), a Civitavecchia la Silver 1 (Cambogia) e la Nasibe E, a Pozzallo la Fortuna II (Moldavia), a Livorno la Alfonsito e la Ascania, a Savona la Ocean seven e ancora a Ravenna la Servet Ka (Turchia), ad Ancona la Fiona.

Questa nave, un cargo di 72 metri, battente bandiera maltese, è una delle tante navi fantasma ferme nei porti italiani. Salpata da Ravenna e diretta in Estonia per lavori di manutenzione, era rimasta a secco di carburante all’altezza di Ancona, ed era stata costretta ad attraccare al molo nord, dove si trova tutt’ora dal 2009. Gli 11 membri dell’equipaggio sono stati rimpatriati nei mesi successivi grazie a Stella Maris, un’associazione della Conferenza episcopale italiana che si preoccupa di riportare a casa loro queste persone, abbandonate da armatori senza scrupoli.

Vecchie carrette del mare, con equipaggi di diseredati lasciati soli

Le navi di cui parliamo sono delle carrette del mare, di dimensioni medio piccole, che non rendono più economicamente e, per questo, gli armatori le lasciano al loro destino. Il guaio è che lasciano a sé stessi anche i membri degli equipaggi, che diventano così paragonabili a clandestini o profughi, quando la loro nazionalità è di Paesi con cui non intratteniamo relazioni.

La normativa italiana non prevede per i marittimi e le navi straniere uno specifico strumento giuridico, né dei fondi adibiti per gestire queste situazioni, che si stanno manifestando sempre più frequentemente a livello internazionale. L’equipaggio senza tutela economica non ha di che sostenersi. L’unica cosa da fare è provvedere al rimpatrio.

Tre navi sono ferme dal 2009, tutte le altre da più di un anno, cinque da più di quattro anni e una (arenata in un canale) da diciassette anni. Venduta una ventunesima nave abbandonata.

I responsabili della nave, fantasmi anche loro

Le navi abbandonate rappresentano un problema umano prima che commerciale. Le leggi sono ancora scarse e gli Stati che offrono la bandiera di comodo non si assumono nessuna responsabilità nei confronti degli equipaggi in difficoltà.

Una nave può avere una proprietà in un paese, essere iscritta nel registro navale (battere la bandiera) di un altro paese ed essere in gestione presso un armatore (di un paese ancora diverso), che l’affitta per un determinato lavoro. Nessuno dei tre in genere si fa carico di nulla, della nave abbandonata e tantomeno dell’equipaggio che di solito ha nazionalità diverse. Un vero guazzabuglio legale.

Normalmente quando un equipaggio è costretto a ormeggiare la nave in un porto che la ospita, poi si rivolge all’Itf (il sindacato internazionale dei trasporti) o alla Stella Maris e grazie a loro riescono a tornare a casa.

La recessione economica, che da circa due anni ha coinvolto i diversi settori produttivi a livello mondiale, si è immediatamente ripercossa anche sui trasporti via mare e di conseguenza ha colpito i soggetti economicamente meno stabili.

Il diritto al rimpatrio esiste solo in alcuni Paesi più sviluppati

Esiste un accordo tra Nazioni più evolute che vuole tutelare i lavoratori del mare in base al concetto di diritto al rimpatrio del lavoratore marittimo. Sono però normative che estendono la loro tutela ai soli marittimi imbarcati su navi nazionali e tra questi, per alcuni aspetti, ai soli marittimi nazionali.

Così, mentre alcune nazioni più progredite assistono i loro marittimi coinvolti in casi di abbandono in qualsiasi luogo si trovi la nave (anche all’estero), ciò non avviene per quei Paesi che accettano di iscrivere le navi nei propri registri, giustamente definiti di comodo o innalzano a bordo bandiere ombra, così chiamate per l’assoluta mancanza di qualunque collegamento tra la nazionalità dei proprietari effettivi della nave e quella di registrazione.

Abbandonare una nave è come truffare o rubare

Ci sono Paesi che offrono legislazioni accomodanti e sono molto interessati a incassare i diritti di registrazione della nave. Quando si batte la bandiera di uno Stato, qualcuno percepisce un finanziamento in contropartita. Ma questi Stati si rifiutano di assumere qualsiasi responsabilità nei confronti della comunità internazionale quando c’è un problema. Gli Stati bandiera non vogliono più e non hanno più interesse a svolgere funzioni di amministrazione sulle navi, soprattutto sul personale navigante. Le navi e gli uomini restano così abbandonati al loro destino e lo Stato che ospita il relitto non può fare niente contro lo Stato bandiera.

Ci vorrebbe un accordo internazionale per sanzionare chi non rispetta la propria responsabilità e viola gli obblighi armatoriali.  Ma oggi abbandonare nave e uomini è spesso la soluzione meno indolore per disfarsi di un problema, accollandolo al paese che ospita la nave. L’armatore che abbandona una nave è come un imprenditore che pensa di risolvere le sue difficoltà economiche rapinando una banca o truffando in suoi partner d’affari.