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Il PD sul salario accessorio: solo “parole, parole, parole…”

Il PD scende in piazza al fianco dei dipendenti capitolini ma in Aula boccia la mozione a difesa del salario

La maggioranza capitolina scende in piazza a difendere i dipendenti del Comune di Roma, ma poi in Aula si dimentica di proteggerli. Che si stia tentando il tutto per tutto per evitare la debacle alle prossime amministrative? Non lo sappiamo. Ciò che è certo, però, è che la maggioranza ha bocciato la mozione presentata dal MoVimento 5 Stelle, con la quale si chiedeva di modificare “l’indegna delibera n. 137 della Giunta, nella parte in cui dispone il termine del 31.7.2014 per la conclusione delle trattative per il salario accessorio nonché il conguaglio di quanto già percepito a tale titolo dai lavoratori: un vero e proprio ricatto!” – spiegano i 4 consiglieri a 5 Stelle, Raggi, Frongia, De Vito e Stefàno.

 “Il PD – continuano – prima ha dichiarato contraddittoriamente di schierarsi a fianco dei lavoratori nella manifestazione di ieri, poi ancor più contraddittoriamente ha bocciato la nostra mozione! Ma D'Ausilio (capogruppo PD in Campidoglio, ndr) & co. lo hanno capito che stanno scioperando contro se stessi?!?” – si chiede il M5S Roma.

Insomma, secondo i grillini, “la verità è che quest'amministrazione targata PD, in perfetta continuità con la precedente (come ha affermato anche la relazione del MEF), ha continuato e continua a dilapidare, ed oggi pretende di rastrellare soldi sulle spalle dei lavoratori”.

Il M5S sottolinea come “i bilanci della municipalizzate continuano ad essere fuori controllo; ATAC quest'anno chiude il bilancio con una perdita superiore ai 200 milioni di euro a dispetto dei -156 dell'anno prededente; si continuano a nominare dirigenti che percepiscono più del sindaco; 9 milioni di euro di auto blu sono sempre lì, a dispetto delle dichiarazioni; lo staff del sindaco e della giunta ci costa più di 5 milioni di euro”.

Nel testo della mozione si legge che “la Delibera di Giunta n. 137 del 13 maggio 2014 al comma 3 recita: ‘di stabilire che la presente disposizione, in relazione ai motivi di urgenza rappresentati, produce effetto, in via temporanea e salvi recuperi, anche e dove possibile a conguaglio (…)’ ”; che “la stessa Delibera, al medesimo comma impone il termine del 31 luglio 2014 ‘(…) alle delegazioni trattanti di parte pubblica, per definire il riordino e il rinnovo, ai sensi di legge e alla luce della richiamata relazione dell’Ispettorato Generale delle Finanze, delle discipline decentrate dell’Ente (…)' ”; che “nell’atto ‘Audizione della Corte dei Conti sul documento di Economia e Finanza 2014’ del 15 aprile 2014, al riquadro 2 – Le retribuzioni e la riorganizzazione del pubblico impiego, comma 5 si legge: ‘(…) In particolare, il protratto blocco della contrattazione, perdurante da ormai cinque anni, ha di fatto impedito la piena esplicazione degli effetti positivi in termini di flessibilità organizzativa e di riforma degli assetti retributivi, attesi dalla privatizzazione del pubblico impiego e prefigurati nel decreto legislativo n. 150 del 2009. L’auspicata riforma strutturale del salario accessorio, da correlare ad un percorso di valutazione di recuperi di efficienza e di valorizzazione del merito individuale, necessita, infatti, della ripresa di una fisiologica attività negoziale, non essendo sufficiente a tal fine la possibilità, prevista dalla legge di stabilità, di una contrattazione limitata agli aspetti ordina mentali (…)' ”.

Pertanto, a fronte di tutto questo – e “considerato che non è dato comprendere perché questa maggioranza, come più volte segnalato e proposto nella Commissione Speciale per la riforma e la razionalizzazione della spesa dell'Amministrazione presieduta dal M5S, non abbia ritenuto più opportuno intraprendere una politica di riesame degli sprechi di Roma Capitale e delle sue aziende partecipate, ad iniziare dai maxi-stipendi dei manager; il comma 6 del riquadro 2 – Le retribuzioni e la riorganizzazione del pubblico impiego del citato documento della Corte dei Conti recita: ‘Le osservazioni espresse con riguardo alla dinamica e alle politiche in materia di retribuzioni del pubblico impiego devono, tuttavia, tenere conto del compito più impegnativo da affrontare: quello di una revisione della attuale normativa in materia di dirigenza pubblica. Una revisione da correlare ad una effettiva ricognizione del reale fabbisogno di strutture di livello dirigenziale nelle diverse amministrazioni, sulla base di una valutazione del dimensionamento ottimale dei singoli uffici a livello centrale e territoriale, a sua volta da correlare al fabbisogno di attività ammnistrativa, alla complessità dei compiti da svolgere, al numero degli addetti e all'effettivo grado di responsabilità e di autonomia richiesto ai rispettivi titolari' ” – si chiedeva al sindaco Ignazio Marino e alla sua Giunta di “revocare la delibera n. 137 del 13 maggio 2014 che stabilisce il termine del 31 luglio 2014 per le trattative in materia di decentramento contrattuale dell’Amministrazione”.

Tutto questo, però, come denuncia il MoVimento 5 Stelle, non è stato minimamente preso in considerazione dalla maggioranza in Campidoglio. Non solo. Ciò che resta della giornata di ieri, è l'amaro in bocca per l'atteggiamento del sindaco Marino di fronte a migliaia di dipendenti capitolini, preoccupati per il loro futuro.

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