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Il boom dei Maneskin è soprattutto il successo dei complessi, le band musicali

Se i Maneskin manterranno il proprio successo e resteranno uniti allora forse ritornerà nei giovani quella voglia di condividere la musica

Maneskin

I Måneskin, Damiano David (voce), Victoria De Angelis (basso), Thomas Raggi (chitarra), Ethan Torchio (batteria)

Il successo dei Maneskin non è tanto importante sotto il profilo del genere o della qualità musicale espressi quanto, a mio avviso, per il fatto che si tratta appunto di un gruppo musicale, quello che una volta veniva chiamato il complesso.

I grandi complessi italiani

Dopo il ritiro dalle scene dei Pooh dopo 50 anni di straordinaria carriera, oggi sono rimasti solamente gli Stadio come gruppo vero e proprio, inteso come espressione artistica che vede un certo numero di musicisti non individualmente sostituibili e che formano una entità umana e musicale unica e unita.

Eppure l’Italia degli anni ’60 e ’70 brulicava di centinaia se non migliaia di complessi.

Pooh, Dik Dik, Camaleonti, New Trolls, Giganti, Homo Sapiens, Formula 3, Alunni del Sole, e potrei continuare per pagine e pagine. I cantanti solisti, in confronto, erano veramente una manciata.

Ad un certo punto degli anni 80 il fenomeno delle band ha cominciato ad affievolirsi fino ad arrivare oggi ad avere pochissimi esempi in attività. Gli Stadio, i Negramaro, pochi altri e come novità negli ultimissimi anni solo i Maneskin.

Che cosa è accaduto?

Ma per capire come si sia passati da un estremo all’altro, dal vantare centinaia di complessi negli anni 60 a pochi nomi oggi, occorre comprendere la macchina dello show business musicale italiano negli anni del boom. Con la televisione, i giradischi portatili e i musicarelli al cinema, l’Italia visse assieme al boom economico del secondo decennio dopoguerra, una rinascita anche sotto il profilo musicale. Questo tipo di fenomeno non è raro né isolato. Basti pensare a cosa accade sotto la presidenza Reagan negli Stati Uniti quando il benessere economico fece crescere in maniera esponenziale anche il mondo musicale USA, cosa che portò tra l’altro, alla nascita nel 1981 di MTV.

I dischi, 33 e 45 giri

Ma torniamo all’Italia degli anni 60 in cui l’unico supporto per riprodurre musica era il disco.

I formati 45 giri e 33 giri erano quelli più diffusi ma il 45 giri aveva ancora più successo poiché si poteva portare ovunque: al mare, in auto, alle feste, e farlo suonare nella fonovaligia portatile, meglio conosciuta col nome di mangiadischi. Io ne avevo uno arancione con il manico incorporato per poterlo portare più facilmente.

Anche i jukebox dei bar, dei ristoranti e dalle sale da ballo funzionavano con i 45 giri.

Non esistevano ancora le audiocassette tantomeno i cd e l’unico modo per ascoltare le canzoni era accendere la radio e attendere pazientemente che il brano di tuo gradimento fosse trasmesso, oppure acquistare un disco e ascoltarlo tutte le volte che ne avevi voglia.

Il disco in vinile, leggero e resistentissimo, sostituì quello in gommalacca più pesante e fragile già inventato nel 1889.

La diffusione dei dischi nel formato 33 giri ( long playing o LP perché durava di più in quanto poteva contenere numerosi brani su entrambe i lati ) e 45 giri ( due facciate con un brano per lato ) tra il 1948 ed il 1949 , cambiò di fatto il mondo.

Il disco permise alle radio di diffondere musica senza che questa dovesse essere eseguita dal vivo in diretta, e alle persone di poter ascoltare in casa propria il repertorio preferito senza dover andare per forza ai concerti.

Nacquero e si svilupparono le case discografiche

Ricordo la sede della RCA Italia sulla via Tiburtina a Roma, subito fuori dal grande raccordo anulare di fronte all’ex fabbrica dei biscotti Gentilini. Sembrava una piccola città nella città.

Tra il portiere all’ingresso della struttura e il Direttore Generale vi erano migliaia di figure professionali in continua e frenetica attività. Produttori musicali, direttori artistici, direttori d’orchestra, musicisti, arrangiatori, tecnici del suono, compositori, parolieri. Un esercito di professionisti al servizio della musica.

Quando il talent scout scovava un artista che prometteva bene, lo portava dal produttore. Il produttore metteva sotto contratto l’aspirante cantante, dopodiché si andava alla casa discografica e sì procedeva con il provinare i brani, arrangiarli, suonarli , ed infine inciderli sul disco. Tutto questo lavoro e l’impiego di tante figure professionali al servizio della casa discografica aveva un senso, poiché le vendite dei dischi permettevano a questa immensa macchina di esistere.

I guadagni per le case discografiche erano elevatissimi. Basti pensare che fino agli anni 80 il disco d’oro rappresentava il riconoscimento per aver venduto un milione di copie di uno stesso disco. Il disco d’argento ne celebrava la vendita di cinquecentomila e quello di platino significava che dieci milioni di persone avevano acquistato quel 45 giri o quel LP.

Inoltre i dischi non potevano essere copiati in casa. Per poter avere le canzoni del tuo artista preferito dovevi per forza acquistare l’originale.

Arrivano le musicassette

Il 45 giri cessò definitivamente di essere prodotto nel 1991 poiché l’avvento alla fine degli anni ’70 delle musicassette a nastro magnetico, nei formati 46, 60, 90,120 e 180 minuti, ne determinò la fine. Con le musicassette bastava che un amico avesse il disco originale che da quello se ne potevano registrare, in casa propria, infinite copie su cassetta.

Con l’arrivo di internet negli anni ’90 e la possibilità di scaricare gratuitamente dal web qualsiasi brano, l’industria discografica subì un colpo letale e cominciò piano piano a morire poiché le vendite di dischi subirono un tracollo. Basti pensare che per conquistare il disco d’oro bisognava vendere un milione di copie, oggi ne bastano 25mila.

Le case discografiche guadagnavano sempre di meno e produrre nuovi artisti costava troppo. Così i gruppi musicali cominciarono a scomparire perché costava meno produrre e mandare in tournée un cantante singolo che un complesso composto più elementi.

Così avvenne che le grandi case, per poter sopravvivere, cominciarono prima a fondersi e poi a fagocitare le più piccole. Anche la storica RCA Records, nata nel 1929, divenne prima BMG bel 1989 e infine fu assimilata alla Sony Music Entertainment, dove oggi ne rappresenta una divisione.

La RCA Italia chiuse i battenti nel 1987

Nel giro di pochi anni si passò dal ritrovarsi tutti attorno al giradischi per ascoltare musica insieme, al camminare da soli con le canzoni del walkman nelle orecchie. Fino ad oggi in cui milioni di brani gratis ci arrivano da internet direttamente nel telefonino. Sempre più fruitori individuali e musicisti solitari.

Anche perché la tecnologia in ambito musicale, che evolve sempre più rapidamente ed è a portata di tutti, ha isolato i giovani aspiranti musicisti nelle proprie stanze. Alimentando quel fenomeno chiamato appunto home recording che dal pc passano direttamente nel web.

Fino alla fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, a Roma c’erano migliaia di negozi di dischi.

I negozi di dischi

A Piazzale Jonio c’era Discocentrique che divenne poi Musicopoli, nel quartiere Prati c’era Musicarte. Per gli appassionati dell’ Hard Rock ed heavy metal a Monteverde c’era Revolver e in via Monte Cervialto c’era il mitico Carlo Celidoni e la sua Nastrodiscoteca 70.

Il fenomeno della discografia non potrà più assurgere nuovamente agli allori di un tempo. Internet non cesserà di esistere. Anche i CD sono probabilmente destinati a seguire la sorte dei vinili.

Senza i proventi delle vendite dei dichi le case discografiche avranno sempre meno denaro da investire. Meno tempo da impegnare per formare nuovi artisti e portarli a maturità e successo.

La famosa gavetta fatta in sale prova improvvisate in cantine umide e puzzolenti, con le pareti tappezzate di cartoni delle uova, dove i complessi suonavano e sudavano assieme, sono ricordi un tempo in cui la musica era prima di tutto condivisione.

Se i Maneskin manterranno il proprio successo, se sapranno restare uniti senza che il cantante prima o poi intraprenda una carriera da solista, se saranno capaci di comporre nuovi ed efficaci brani, guadagnando consensi, denaro e facendone guadagnare alla propria casa discografica, allora forse, anche sotto forma di moda, ritornerà nei giovani quella voglia di stare insieme, di condividere la musica. Forse altre band già nate e solo in attesa di emergere vedranno la luce del palcoscenico e altre nasceranno in qualche garage d’Italia…

“L’unica ragione per cui l’arte esiste, è quella di essere condivisa“.

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