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Governo, la crisi di San Valentino. Renzi a Conte: “Che fai, ci cacci?”

Riforma della prescrizione, accuse incrociate tra il Premier e Iv, che è pronta alla mozione di sfiducia contro Bonafede. E anche Mattarella si dice preoccupato

Il senso della gravità del momento lo ha dato un retroscena del Corsera sulla telefonata intercorsa tra il bi-Premier Giuseppe Conte e il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: che avrebbe condiviso con l’ex Avvocato del popolo la preoccupazione per «la forte destabilizzazione del Governo» causata dai continui affondi di Italia Viva sul tema della riforma della prescrizione. Fibrillazioni che hanno portato più di un elemento dell’attuale maggioranza rosso-gialla a evocare la crisi (di San Valentino) con conseguente ritorno alle urne.

E tuttavia, a ennesima riprova che, come argutamente sentenziato in tempi non sospetti da Ennio Flaiano, «la situazione politica in Italia è grave ma non è seria», la drammaticità degli eventi viene sistematicamente stemperata dalla vena istrionica dei protagonisti. A partire dai sobri ragionamenti del Presidente del Consiglio che, con l’aplomb tipico della carica che ricopre, ha fatto sottilmente intendere di considerare quello di Iv un atteggiamento «surreale e paradossale», che ci si «aspetterebbe da un partito di opposizione che fa un’opposizione aggressiva e anche un po’ maleducata».

Il Capo del Governo parlava dopo l’annuncio autoreferenziale che i Ministri renziani avrebbero disertato il Cdm destinato ad approvare la riforma del processo penale, contenente anche l’ormai famigerato lodo Conte-bis (che non prende il nome da Giuseppi, bensì dal suo omonimo deputato di LeU Federico). Assenza ingiustificata, secondo il BisConte, che ha morigeratamente affermato che «Iv debba darci un chiarimento, ma non a me, a tutti gli Italiani. I ricatti non sono accettati da nessuno».

A stretto giro di posta era arrivata l‘altrettanto condiscendente replica di Matteo Renzi, di cui si può immaginare la fatica nel doversi sottrarre ai proverbiali silenzi: «Il Presidente del Consiglio non può dire “assenza ingiustificata”. Perché non è il preside di una scuola». Poi la stoccata: «Tu puoi cambiare maggioranza, caro Presidente del Consiglio. Sai come farlo, perché lo hai già fatto», e noi «ti daremo una mano».

Concetto ribadito qualche ora dopo a mezzo social: «Se il Premier vuole cacciarci, faccia pure: è un suo diritto! E Conte è il massimo esperto nel cambiare maggioranze. Se invece vogliono noi, devono prendersi anche le nostre idee. Alleati, non sudditi». La riedizione, a distanza di un decennio, del celebre “Che fai, mi cacci?” di finiana memoria.

All’interno di questo amabile idillio, comunque, l’ex Rottamatore ha chiarito, rivolgendoglisi direttamente, che il suo obiettivo non è il Premier: «Noi non ti abbiamo chiesto di aprire la crisi, ti abbiamo chiesto: apri i cantieri, sblocca le infrastrutture». E vanno forse in questa direzione anche le dichiarazioni di non meglio precisate “fonti renziane di primo piano” secondo cui Italia Viva sarebbe disposta a votare la riforma del processo penale anche con la fiducia.

Alla carota, però, è stato lo stesso senatore di Rignano ad alternare il bastone, forte anche di un recente sondaggio secondo cui il suo punto di vista è condiviso da oltre il 50% degli Italiani: «La posizione del lodo Conte è incostituzionale secondo i principali esperti» la sua argomentazione. «Questa per noi è una battaglia culturale. Non molleremo di un solo centimetro. Il Pd ha scelto di seguire i grillini, noi abbiamo scelto di seguire le persone competenti: avvocati, magistrati, esperti della materia».

Per Iv è incomprensibile il fatto che il Partito Democratico difenda la legge Bonafede anziché tornare alla precedente, firmata dall’allora Guardasigilli – e attuale vicesegretario dem – Andrea Orlando. Tanto che Renzi ha ironizzato: «Ho come l’impressione che i riformisti del Pd non abbiano compreso che cosa ci sia scritto dentro il Lodo Conte. Appena lo leggeranno e lo capiranno ci sarà da divertirsi».

Chi si divertirà meno è il Ministro della Giustizia corrente, il pentastellato Alfonso Bonafede, per cui i renziani hanno già pronta una mozione di sfiducia individuale che potrebbe anche essere anticipata, rispetto al periodo aprilino originariamente indicato, a metà marzo (guarda caso, appena prima del referendum sul taglio dei parlamentari). «Sarebbe qualcosa di illogico e irrazionale, ma ne trarrei le conseguenze» ha sibilato preventivamente Giuseppi.

Un’ipotesi che, in ogni caso, non spaventa l’ex Rottamatore, secondo cui «ci sono tre possibilità: la prima è che il Governo si metta a lavorare e vada avanti, la seconda è che il Governo apra la crisi e ci sarà un altro Governo ancora e la terza è che si vada a votare. Io sono disponibile a tutte e tre». E forse anche per questo sembra che Conte abbia ammesso con Mattarella che «la rottura è a un passo».

In tutto questo bailamme, è forse utile notare che lo spread – il differenziale con il rendimento dei titoli di Stato tedeschi, nonché spauracchio ancestrale degli antropologicamente superiori – si sta mantenendo costantemente attorno ai 130 punti base, ai minimi dal maggio 2018: e anche questo è un segnale. Per il Capo dello Stato, almeno.

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