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Fuori o dentro l’Europa? Salvini pare contraddirsi, ma la logica c’è eccome

Nel giro di tre giorni arrivano prima le dichiarazioni rassicuranti e dopo i richiami alla Brexit. E piovono le accuse di incoerenza

Rapido riepilogo.

Giovedì scorso, il 13 febbraio, Salvini ha un incontro con la Stampa estera e riguardo all’Unione Europea puntualizza: «La nostra priorità non è uscire da qualcosa, ma la crescita economica».

L’indomani, in una lunga intervista pubblicata dal Corriere della Sera, il neo responsabile degli Esteri per la Lega, Giancarlo Giorgetti, ribadisce il concetto: «Noi non vogliamo uscire».

Ieri, infine, ancora Salvini rilascia via Facebook delle affermazioni che sembrano andare in direzione opposta: «O l’Europa cambia oppure non ha più senso di esistere. Gli inglesi hanno dato dimostrazione che volere è potere. O le regole cambiano o altrimenti è inutile stare in una gabbia dove ti impediscono di fare il pescatore, il medico e il ricercatore».

Per gli avversari è l’ennesima dimostrazione di un atteggiamento ondivago. E quindi inaffidabile. L’idea (l’accusa) è che Salvini cerchi di rabbonire i moderati per assicurarsene il voto, per poi governare in maniera molto meno misurata.

In effetti, però, il sospetto si potrebbe anche ribaltare. Identificando nei toni accesi e barricadieri l’esca fittizia gettata al malcontento popolare, in attesa di rientrare nei ranghi una volta arrivati a Palazzo Chigi. Appellandosi dopo l’insediamento, proprio come il PD e affini, alle classiche scuse di chi non ha nessuna intenzione di interferire con il modello liberista oggi dominante: bisogna essere pragmatici; da soli saremmo ancora più deboli; i Mercati ci assalirebbero a cominciare dallo spread; nella competizione globale bisogna restare uniti. E via di questo passo.

Ma c’è una terza chiave di lettura.

Che va assolutamente fissata: e non tanto per assolvere o condannare il leader della Lega, quanto per comprendere a fondo quanto il problema sia di solito mal formulato. Non certo per un errore involontario ma allo scopo di demonizzare, e delegittimare, chiunque si azzardi a mettere in discussione l’appartenenza dell’Italia all’attuale holding gestita tra Bruxelles e Strasburgo. E Francoforte.

Si scrive Europa. Si legge UE

Manca sempre un aggettivo cruciale, quando si parla di Europa. Come anche quando si parla delle altre istituzioni pubbliche, sia italiane che internazionali.

L’aggettivo (dimostrativo…) è “questa”.

Questa Europa. Questa ONU. Questa BCE. Eccetera eccetera.

Se lo si aggiungesse, anche solo implicitamente ma in modo che i lettori o gli spettatori non se lo dimenticassero mai, risulterebbe ben chiaro che ciascuna di tali organizzazioni non è affatto l’unica versione possibile, rispetto alle nazioni che associa e alle funzioni che svolge.

Che associa, o che ingabbia.

Che svolge, o che usurpa.

Esattamente al contrario, ciò che oggi ci troviamo di fronte è il risultato di rapporti di forza e di interessi contrastanti che hanno portato a un determinato assetto, con delle strategie e degli obiettivi vincolanti. Con dei soggetti dominanti e degli altri subordinati, per non dire sottomessi.

Nel caso dell’Europa, in particolare, ciò significa che innanzitutto dovremmo parlare solo ed esclusivamente di Unione Europea. Che al pari di qualsiasi ente creato dagli esseri umani non è la quintessenza di ciò che pretende di rappresentare, ma solo una specifica variante tra le innumerevoli altre che sono possibili, quantomeno in linea di principio.

Ergo, per dirlo in maniera più immediata, nulla vieta di essere ardentemente europeisti e ferocemente contrari alla UE. Dipende da ciò che si intende per Europa. Da quali valori ci si prefigga di perpetuare, nella sua storia plurimillenaria e tutt’altro che omogenea, e da quali altri, invece, ci si voglia allontanare. E affrancare.

In questa prospettiva, dunque, le posizioni di Salvini potrebbero anche essere del tutto logiche e coerenti.

Da un lato si chiarisce che non c’è una volontà tassativa e irreversibile di uscire dall’Unione Europea. Dall’altro si precisa che però la futura permanenza dipenderà dalle politiche comunitarie: se rimarranno sostanzialmente quelle attuali, ritenute (e non a torto) in antitesi con gli interessi dell’Italia, non si starà in silenzio a subire le decisioni altrui. Si andrà al contrattacco, come è già avvenuto per quanto riguarda l’immigrazione più o meno illegale, e se anche così non si caverà un ragno dal buco si valuteranno opzioni drastiche in stile Brexit.

Corretto: nella UE si può restare oppure no. Perché l’Europa non è un suo copyright esclusivo, né un suo asset patrimoniale acquisito in via definitiva, ma un’entità multiforme di cui si possono avere concezioni completamente diverse.

Questa UE, perciò, potrebbe diventare in futuro quella UE.

Come insegna la grammatica, l’aggettivo giusto per ciò che è lontano sia da chi scrive, sia da chi legge.

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