Giampiero Mughini vende la sua biblioteca: “Non ho più soldi, la tv mi ha dimenticato”
“Non ho risparmi – racconta Mughini – ho solo i miei libri. Da quando sono stato male, nessuno mi chiama più a lavorare in televisione”

Giampiero Mughini (Foto di Franco Ferrajuolo)
Giampiero Mughini, 84 anni, giornalista e scrittore che per decenni ha infiammato i salotti televisivi con la sua verve polemica e colta, ha annunciato di essere costretto a vendere gran parte della sua biblioteca personale. Una collezione sterminata, che lui stesso stima tra i 20 e i 25 mila volumi, accumulati in oltre mezzo secolo di passione bibliofila.
La decisione amara di Mughini, dettata dalla necessità
“Non ho risparmi, ho solo i miei libri. Da quando sono stato male, nessuno mi chiama più a lavorare in televisione”, ha dichiarato a Il Foglio. La scelta non nasce dal desiderio di disfarsi di un patrimonio, ma dalla semplice necessità economica. «I miei risparmi sono miserie. Non c’è più nessuno che mi proponga un lavoro”.
Un patrimonio culturale messo sul mercato
Mughini non nasconde il dolore nel dover rinunciare a una parte di sé. Tra i volumi in vendita compaiono prime edizioni rare di autori che hanno segnato la letteratura italiana del Novecento: Pavese, Calvino, Campana, Gadda, Sciascia, Fenoglio, Pirandello, Bassani, Moravia, Bianciardi, Montale, Ungaretti.
A occuparsi della vendita sarà il libraio milanese Pontremoli, suo amico di lunga data. “Alcuni libri, però, non li darò mai via”, spiega Mughini. Restano con lui tre testi rarissimi di Italo Svevo, alcune opere di Umberto Saba — legate al suo amore per Trieste — e i volumi di Carlo Dossi, autore nel quale dice di riconoscersi.
Il silenzio della televisione e la solitudine di un grande autore
Negli anni ’80 e ’90 il giornalista catanese era volto fisso nei talk show sportivi e al Maurizio Costanzo Show. Oggi la televisione sembra averlo dimenticato. «Da quando mi sono ammalato nessuno mi chiama più», racconta. La mancanza di quegli ingaggi si è tradotta in un vuoto economico che lo costringe a “smontare il museo di sé stesso”.
Il suo unico impegno stabile resta una rubrica settimanale sul Foglio. “Con quello ci faccio una dieta intermittente”, dice con ironia amara.
La malattia, pur superata, ha segnato il suo percorso. “Se devo andare da qui al bagno lo faccio con fatica. Il medico mi ha detto di gestire la vecchiaia”, ammette, pur sottolineando che oggi sta meglio e che la morte non è un pensiero che lo accompagni.
Un addio parziale alla biblioteca di Mughini
La biblioteca di Mughini non è solo una collezione: è il riflesso di una vita. «I miei libri li ho cercati in capo al mondo, uno per uno. Sono la mia vera eredità», racconta. La vendita non è totale, ma segna comunque una cesura. «È un colpo al cuore. Lo faccio perché è necessario.»
In questa operazione si legge molto più di una crisi personale: è l’immagine di un intellettuale che, giunto all’età della fragilità, non trova più spazio nel panorama televisivo e culturale nazionale.
La domanda che resta
La vicenda di Giampiero Mughini apre una riflessione che riguarda non solo lui, ma il ruolo degli intellettuali in Italia. Quale valore attribuiamo a biblioteche private che racchiudono decenni di ricerca, di collezionismo, di memoria culturale? E soprattutto: cosa resta di un patrimonio individuale quando la sopravvivenza obbliga a trasformarlo in merce?
Mughini sceglie di non cedere del tutto, salvando i libri che più raccontano la sua identità. Ma il resto finirà nelle mani di nuovi lettori e collezionisti. E con esso, inevitabilmente, un pezzo della sua storia personale e della nostra memoria collettiva.