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Filosofia e arte di governo II. Adriano Imperatore visto da Marguerite Yourcenar

“Fondare biblioteche, è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”

L'imperatore Adriano e l'efebo greco Antinoo

L'imperatore Adriano e l'efebo greco Antinoo

Riascoltiamo i celebri versi di Adriano (Italica, Spagna, 76- Baia, 138 d. C.), posti da Marguerite Yourcenar (1903-1987) all’inizio del suo capolavoro “Memorie di Adriano” (1951, ed. it. Einaudi). Quasi un sussurro: “Animula vagula, blandula, / Hospes comesque corporis, / Quae nunc abibis in loca / Pallidula, rigida, nudula / Nec, ut soles, dabit jocos…”.

La cui traduzione in prosa, nella versione di Lidia Storoni Mazzolani che traduce quella di Marguerite Yourcenar, suona: “Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t’appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti…” (Yourcenar, ed. it. p. 268; le citazioni successive si riferiscono al numero di pagina di questa edizione).

Abbiamo lasciato, nell’articolo precedente, Adriano che, come successore di Traiano, diventa imperatore. Continuiamo a seguire la meravigliosa serie di immagini personali, storiche e di analisi concettuali che Marguerite Yourcenar fa pronunciare al suo personaggio…

Sul tetto del mondo

Adriano diviene imperatore ed imprime subito una svolta rispetto alle politiche di Traiano. C’è anche la questione della repressione dei nemici interni e il peso etico della faccenda. Anche i lati oscuri della sua personalità contribuirono a formare il mito di Adriano. Scrive Yourcenar: “…l’oro puro del rispetto era troppo molle se non s’aggiungeva nella lega una dose di paura” (p. 98).

Al principio del suo regno, Adriano rifiutò i titoli che, di consueto, venivano assegnati agli imperatori, compreso quello di Pater Patriae che Augusto accettò alla fine della sua vita. In realtà, in attesa di altri titoli, quelli veramente suoi, che calzassero alla sua personalità come un guanto: Olympios, Panionios, Panellenios, secondo quanto ci dice Santo Mazzarino, nel capitolo dedicato agli Antonini, contenuto nel I volume del suo “L’Impero romano” (Laterza 1962).

Adriano detesta i giochi al pari di Marco Aurelio. Ma non legge, ostentatamente durante il loro svolgimento, come farà il suo successore. Meno filosofo rispetto a Marco, per lui la capacità di sopportare l’orrore dello spettacolo, costituisce un’abilità maggiore che non quella di leggere i classici dello stoicismo.

Humanitas, Felicitas, Libertas sono le parole-chiave del suo regno, insieme all’attenzione alla condizione schiavile e a quella femminile.

Scrive: “Fondare biblioteche, è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire” (p. 118). La passione umanistica è un fatto di vita. L’umanesimo è un elemento vitale: “Io sono come i nostri scultori: l’umano mi appaga. Vi trovo tutto, persino l’eternità” (p. 122).

“Constatavo sino a che punto un giovinetto che pensa somiglia alla virile Atena” (124). A suo modo, cerca di incarnare un sogno: “TELLUS STABILITA, il Genio della Terra pacificata, con l’aspetto di un giovinetto disteso che regge frutta e fiori” (ibid.). La Forza, la Giustizia, le Muse sono altre caratteristiche dell’epoca.

Si tratta dell’ideale spartano ricordato ad Adriano da Arriano di Nicomedia, il grande intellettuale greco autore del “Manuale di Epitteto” e di “Anabasi di Alessandro”. Adriano cerca, dunque, l’equilibrio sintetico tra apollineo e dionisiaco, alla base di tutte le grandi manifestazioni della cultura antica.

Poi ci sono i viaggi: la Britannia, Londinium, il Tamigi, Eboracum (l’odierna York). La costruzione del Vallo è un “emblema della mia rinuncia alla politica di conquista” (p. 128). Alla fine di esso, Adriano fa erigere un tempio al dio Termine.

Continuano i viaggi – Gallia e Spagna – ma non cessano le operazioni militari, tra cui la rivolta in Mauretania e la partenza per l’Oriente. Qui avviene l’incontro con Osroe I, imperatore dei Parti: la discontinuità con la politica di Traiano non potrebbe essere più netta.

Incontrare il divino  

L’incontro con un saggio indiano, un Bramino, è l’occasione per riflettere sulle discordanze tra Oriente e Occidente: da una parte Eraclito e Platone; dall’altra la grande Rinuncia, tipica della tradizione orientale. In mezzo Epitteto e il modello occidentale di rinuncia, conosciuto in gioventù.

Adriano è iniziato ad Eleusi. Dice un frammento di Pindaro, su questa grandiosa esperienza mistico-religiosa della Grecia: “felice chi entra sotto la terra dopo aver visto quelle cose: / conosce la fine della vita, / conosce anche il principio dato da Zeus” (G. Colli, “La sapienza greca”, I, Adelphi, p. 93). Anche Marco Aurelio verrà iniziato nel 176 d. C.

Dunque, per gli Antonini, la fedeltà alla concezione politeistica del mondo è totale, al di là di ogni dubbio, fuori discussione. D’altro canto, l’ispirazione misterica sfocia in una visione filosofico-scientifica del mondo. “Ho cercato di aderire al divino sotto molte forme; e ho conosciuto molte estasi” (Yourcenar, p. 139), scrive Yourcenar, dando voce al grande imperatore.

L’estasi, d’altro canto, ci permette di contattare il pensiero della morte. Inevitabile, che ciclicamente ritorna. Il confronto con il quale è l’unico esercizio che ci permetterà di essere pronti, quando – presto o tardi – la fine ultima si manifesterà.

Amore e vecchiaia

L’incontro con Antinoo regala ad Adriano “alcuni anni favolosi” (p. 144). Intanto, Adriano rimodella e riplasma Atene – è l’imperatore più greco di tutti. Alla maniera greca, esalta il ruolo e l’importanza della musica e si confronta con Alcibiade. Ma il pensiero di Roma-Amor non lo abbandona e la costruzione del Pantheon è il suggello di un’epoca intera.

L’esperienza umana e intellettuale che Adriano vive, negli anni di Antinoo, è suprema, totale, degna di un Presocratico. La realtà è trasfigurata dall’estasi amorosa e da quella conoscitiva. Ma da quell’altezza, non potendo proseguire oltre, si può solo scendere, scivolare verso quella medietà che, inevitabilmente, appartiene alla nostra condizione.

Da un punto di vista sentimentale, dunque, è Antinoo a regalare ad Adriano l’esperienza dell’amore – con tutti i travagli del caso – viceversa, Vibia Sabina, la legittima consorte, rimane una figura distante, distaccata.

I due vengono iniziati ai Misteri asiatici: Adriano è iniziato ai Misteri dei Cabiri, a Samotracia – là dove Filippo II e Olimpiade, i genitori di Alessandro Magno, si erano conosciuti; Antinoo ai Misteri di Mitra. Tuttavia, il momento dell’equilibrio perfetto, divino, comincia ad incrinarsi; anche il migliore dei Cesari è pur sempre un uomo.

Poi avvenne la sciagura e la tragedia irruppe nella vita dell’imperatore. Antinoo muore. “Tutto crollò attorno a me, tutto sembrò spegnersi. Zeus Olimpico, il Padrone di tutte le cose, il Salvatore del Mondo precipitò: non vi fu più che un uomo dai capelli grigi che singhiozzava, sul ponte d’una barca” (p. 183).

Con la morte di Antinoo, finirono – per Adriano – gli anni dorati. Il grande Cesare sperimenta, all’improvviso, la privazione e la perdita: “anch’io subirò uno sconvolgimento analogo; morirò, un giorno” (p. 189). In ogni caso, il lutto per Antinoo non spezza la capacità costruttiva di Adriano. Ne è una testimonianza la Biblioteca fatta costruire ad Atene, tuttora visibile nei pressi di piazza Monastiraki. L’imperatore filelleno conferma la sua vocazione più profonda.

Logica conseguenza è l’ulteriore avvicinamento alle scaturigini profonde della cultura e dello spirito della Grecia: Eraclito ed Eleusi. La diffidenza verso ebraismo e cristianesimo, che Adriano condivide con tutti i grandi pagani, è la logica conseguenza, il corollario necessario di questa visione del mondo. Di questo modo di essere e di sentirsi come uomini.

Occhio d’aquila

A questo proposito, un frammento appartenente ai “Taccuini di appunti” – che Marguerite Yourcenar ha voluto che fossero affiancati al suo grande libro – dice l’essenziale: “Ritrovata in un volume della corrispondenza di Flaubert, molto letto, molto sottolineato verso il 1927, la frase indimenticabile: ‘Quando gli dèi non c’erano più e Cristo non ancora, tra Cicerone e Marco Aurelio, c’è stato un momento unico in cui è esistito l’uomo, solo’. Avrei trascorso una gran parte della mia vita a cercar di definire, e poi descrivere, quest’uomo solo e, d’altro canto, legato a tutto” (p. 273).

Commiato

Naturalmente, si tratta di una messa a fuoco di estrema importanza, questa riflessione di Flaubert filtrata dalla penna di Yourcenar. Soprattutto per chi crede nella possibilità di una visione laica del mondo e di una prospettiva etica che da essa discenda. Gli antichi, greci e romani, conoscevano la vita ad un grado di profondità impensabile per chi sposa una visione monoteistica della realtà. L’illuminismo completerà l’opera.

Ma senza i Greci, senza l’arditezza sapienziale di Eraclito, senza l’immensa profondità ontologica di Parmenide, senza la saggezza dialettica di Socrate, senza lo slancio metafisico di Platone, nulla sarebbe stato possibile. Adriano e Marco Aurelio si collocano ad uno stadio successivo, naturalmente. Eppure, mai come nell’epoca degli Antonini, si è arrivati vicini alla realizzazione dell’utopia cara a Platone, di collocare i filosofi al potere. Lo nota ancora Santo Mazzarino, nel capitolo sugli Antonini del suo già ricordato “L’Impero romano”.

Umanesimo e classicismo non sono soltanto vezzi formali, che una realtà più complessa si è preoccupata di smentire. Non a caso, ad essi erano vicini tanto Goethe che Thomas Mann. Tuttavia, se ne comprende a pieno la complessità e la ricchezza se si riesce ad oltrepassare il lato vacuo e superficiale che farebbe coincidere umanesimo e classicismo soltanto con un culto astratto e vuoto dell’umano e con un ideale di perfezione formale.

A questa comprensione ha dato un contributo decisivo il giovane Nietzsche quando, nella “Nascita della tragedia” (1872), fece coincidere l’essenza della tragedia classica – e poi della grecità stessa – con la somma e la mescolanza di apollineo e dionisiaco. La scrittura palpitante, fremente, calda di Marguerite Yourcenar ci restituisce un Adriano che, come uomo-dio, è perfettamente in grado di rendere la bellezza, la ricchezza e la complessità della condizione umana su questa terra.