Prima pagina » Rubriche » Elaborare il lutto: dieci anni senza James Hillman

Elaborare il lutto: dieci anni senza James Hillman

Una psiche sana sarà quella, per Hillman, che avrà saputo fare i conti con i suoi lati femminili

james hillman

James Hillman

James Hillman ci lasciava un decennio fa, nel 2011. Psicoanalista americano, ultimo grande esponente della scuola junghiana, egli ha saputo corrispondere al bruciante, eppur sotterraneo, bisogno di senso della nostra epoca con insuperata e sorprendente lucidità. Ne è testimone, soprattutto in Italia, il successo di un libro come “Il codice dell’anima” (ed. it. Adelphi).

james hillman
James Hillman

Tra le tre grandi opzioni offerte dalla psicoanalisi del Novecento, quella di Freud, quella di Jung e quella di
Lacan, Hillman seguì la via di Jung senza esitazioni. Ossia la via più esoterica, simbolica, sciamanica, eppure anch’essa con un ancoraggio scientifico forte sia per quanto concerne la teoria della psiche, sia per quanto riguarda l’aspetto clinico della cura.

Se la psicoanalisi non è una scienza nello stesso modo in cui lo sono la fisica, la biologia e la medicina, ciò si deve anche all’oggetto della pratica scientifica e non ad eventuali inadeguatezze metodologiche della disciplina in questione. Ossia la psiche è un terreno assai più mobile, incerto, sfuggente, rispetto a quelli della materia o del corpo.

Per quanto concerne lo statuto teoretico, il valore di Hillman come teorico ed ermeneuta della psiche, esso va giudicato dai suoi grandi lavori di impegno speculativo, più che dai suoi libri di maggior successo. Ossia da opere come “Il mito dell’analisi” (1972, trad. it. Adelphi) e “Re-visione della psicologia” (1975, trad. it. Adelphi).

Ci soffermeremo per brevi cenni sul primo, che già richiederebbe per conto suo ben altro spazio per essere commentato. Del resto, “Re-visione della psicologia” è lo sviluppo coerente del discorso iniziato con “Il mito dell’analisi”.

Creatività psicologica e linguaggio psicologico

L’intento della ricerca di Hillman è di riportare l’anima al centro del discorso psicoanalitico. Quell’anima
che il concettualmente severo e scientifico Freud aveva intenzionalmente tralasciato, sviluppando la sua
grande impresa teorica a partire dall’Interpretazione dei sogni (questo il titolo della prima grande opera di Freud del 1899).

Quando Jung ruppe con Freud, il dissidio avvenne, sostanzialmente, perché Jung non sopportava più il
tentativo freudiano di
leggere tutte le manifestazioni fondamentali della psiche attraverso la pulsione
dell’Eros.
Da qui il cammino di Jung si volse all’anima, al simbolo, al mito e Hillman lo segue coerentemente su questa strada.

Per Hillman è centrale il fare anima inteso come lavoro di creatività psicologica. La creatività della psiche non è solo quella relativa alla pratica artistica, al fare arte, ma anche quella relativa alla costruzione di sé stessi. L’interpretazione che Hillman dà del funzionamento della nostra psiche è di tipo neo-platonico.

Il mito di Eros e Psiche, contenuto in “Le metamorfosi” di Apuleio. L’utilizzo delle immagini del mito classico per la comprensione dei movimenti e delle passioni che agitano la nostra mente. Il modo in cui Eraclito e Platone hanno fissato, in modo definitivo, alcune problematiche centrali del pensiero filosofico.

Un altro problema in cui Hillman si imbatte, in quel grande libro che è “Il mito dell’analisi”, è quello del
linguaggio psicologico. La maggior parte della psicologia, della psichiatria e della stessa psicoanalisi, ci dice Hillman, presenta un linguaggio inadeguato.

In cui il tentativo è quello di uniformare, reprimere, standardizzare la ricchezza della vita psichica, invece di conferirle quel risalto che consentirebbe un’interpretazione e una cura adeguate. Ciò trova conferma nel lavoro e nella fatica di quei terapeuti che lavorano in modo creativo e che sono costantemente ostacolati dalla psichiatria ufficiale.

Femminilità psicologica

L’autentico campo di applicazione di tutto questo, in ogni caso, è il problema della femminilità psicologica.
Questo problema investe non più, come quello del linguaggio, le discipline psicologiche, ma l’intero campo della civiltà occidentale.

La misoginia, il disprezzo per le donne, ci dice Hillman, ha attraversato la cultura occidentale con una forza tale, da investire i campi della cultura e della teoria. Ossia, il modello stesso della razionalità. Da Aristotele alla cultura biblica, da Descartes allo stesso Freud, la razionalità è stata un prodotto maschile che, per secoli, ha negato alla donna il suo ruolo di indiscussa protagonista nel concepimento del nascituro.

Viceversa, una psiche sana sarà quella, per Hillman, che avrà saputo fare i conti con i suoi lati femminili, passivi, morbidi, sfumati, umbratili, obliqui.
Questo era, in nuce, James Hillman. Nella lucida e provocatoria grandezza del suo pensiero. Capace di
remare in senso diametralmente opposto a quasi tutto ciò che dal mondo di oggi ci proviene. Eppure quanto abbiamo bisogno di anima, ciascuno lo capisce da sé…