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Donald Trump, la mascherina e la violenza del linguaggio del corpo

E’ un linguaggio che fa uso del corpo oltre che della parola e grazie al quale Donald Trump ancora si dimostra violento e senza mediazione

Donald Trump

Donald Trump

Eccolo che austero sale le scale esterne della Casa Bianca nel suo completo blu fino ad arrivare sulla loggia e affacciarsi per dare finalmente prova di non essere più un paziente covizzato. Impettito, come solito mostrarsi in pubblico, Trump dà sfoggio di sé e si toglie la mascherina. No, non la toglie. La strappa via. Si perché il gesto è eloquente e non lascia interpretazioni. Lo compie sapendo che il linguaggio del corpo arriva molto più diretto della parola. Lo fa togliendola con disprezzo e arroganza tanto che l’impulso del braccio ci dice che l’intenzione è quella di gettarla via. Ma non può e quindi la ripone nella tasca della giacca e poi fa il saluto militare.

Il linguaggio che usa Donald Trump

Ecco un uso del linguaggio e della comunicazione che diviene pericoloso e che sfiora il limite della discrezionalità. E’ un linguaggio che fa uso del corpo oltre che della parola e grazie al quale il comunicare di Trump ancora una volta si dimostra violento e senza mediazione. Un comunicare che si conferma subito dopo nel tweet con il quale afferma che il virus del Covid è meno grave di quello di una normale influenza e che lo stesso social immediatamente rimuove. Si perché lui ne è appena uscito, dopo un ricovero e una notte intubato, circondato e seguito da una equipe di dodici medici e con la somministrazione di un cocktail di farmaci innovativi in un ambiente super protetto ed elegante.

Lui ha dimostrato di essere più forte della malattia e ora deve ostentare al mondo intero di essere un uomo audace, virile e che non ha paura di nulla. Una comunicazione la sua che non si fonda su alcun preciso argomento ma che si struttura esclusivamente intorno all’affermazione di sé stesso divenendo autoriferita e finalizzata al marketing elettorale. Una comunicazione che si spoglia della veste istituzionale e che invece di unire, scredita ogni altro possibile organo o rappresentante istituzionale delegittimandolo davanti a tutti. Un linguaggio questo che non lascia spazio al confronto se non a quello dello scontro, a quello della zuffa in strada.

La sfida elettorale e il confronto con Biden

Ne è l’esempio il dibattito in TV della scorsa settimana fra lui e Joe Biden, suo prossimo avversario politico alla presidenza. Un format divenuto tradizione in America e dove si decidono spesso le sorti della nazione a stelle e strisce. Un confronto che da sempre ha visto i vari rappresentanti animarsi ma che mai come nel caso dell’altra sera è apparso così scadente e offensivo. Un Trump da subito arrogante e ignaro delle regole del gioco, dove con continue sovrapposizioni e interruzioni ha volutamente portato il confronto in un territorio lontano dalla politica e dalle istituzioni. E’ nella strada che ha voluto portare il proprio sfidante e una volta lì, in maniche di camicia vedersela a quattrocchi. E’ il duello del Far west che si deve riproporre e sul quale confrontarsi elettoralmente, sembra dirci Trump.

L’argomento politico è secondario, non interessa le masse. Per questo esatto motivo il linguaggio deve scadere e in qualche modo divenire leggibile a tutti. Deve impressionare e provocare. Deve accendere gli animi e infervorare come succede in molte trasmissioni popolari dove lo schierarsi prescinde dalle ragioni o dal significato dell’argomento in essere. L’unica cosa importante è catturare colui che osserva, lo si riesce a fare  attraverso la sua risposta emozionale che più arcaica ed istintuale,  spesso trova terreno facile nella rabbia repressa.  E’ li che va a pescare Trump il suo elettorato, è li che deve a tutti i costi fomentare il senso profondo di insofferenza. Paradossalmente è li che cerca attenzione, proprio lì dove il malessere imperversa  e dove le disuguaglianze e l’ingiustizia si affrontano con regole diverse.

La violenza verbale fa altrettanto male

Il linguaggio usato deve far leva su quel malessere. Non fa niente se poi si sdogana e legittima la violenza verbale e fisica. L’importante è cavalcare quel rumore di fondo e contabilizzare i voti. L’importante è deviare l’attenzione dal significato politico spostandola verso la risposta emozionale, perché questa deve essere cavalcata. Trump come la nostra Vanna Marchi, cattura l’altro aggirando la sua capacità intellettiva, manipolandolo dopo averlo preso per la gola, usando il gergo culinario. Ma l’uso improprio dello strumento comunicativo può divenire  una vera e propria arma. La violenza fisica è strettamente correlata e consequenziale ad un linguaggio altrettanto violento.

E’ il linguaggio e la sua degenerazione che portano spesso al compimento di aggressioni fisiche, come ci viene raccontato dai numerosi studi sulle violenze domestiche e famigliari, o gli studi sulle esplosioni di rabbia in generale . Quando l’argomentare perde di significato e diviene terreno di scontro verbale, viene meno anche il controllo. La storia è piena di esempi in cui un leader fomenta intere masse spingendole verso le più efferate forme di violenza. Questo preciso momento storico offre come mai un terreno fertile a certe dinamiche, perché l’insofferenza è dilagante e mai come oggi la comunicazione deve contribuire ad alleviare tale malessere. 

L’umanità si è evoluta più di altre specie anche grazie al  linguaggio. E’ la comunicazione che ha reso possibile lo scambio di informazioni e quindi della conoscenza. E’ attraverso il nostro comunicare che le relazioni vivono e si determinano ed è attraverso il linguaggio e le forme di comunicazione che la società oggi si costituisce e si autodefinisce. Non possiamo assolutamente soprassedere sul grave atto di violenza che il linguaggio di uno degli uomini più potenti del mondo perpetra quotidianamente. Non possiamo concedere a chicchessia di oltrepassare la linea dei valori morali ed etici tanto difficilmente conquistati e proprio in difesa del concetto di libertà far sì che il suo modello divenga tollerato. Perché nel passaggio successivo proprio la libertà ne uscirebbe delegittimata.

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