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Discriminati in casa propria, la condizione dei palestinesi in Palestina

Finché non si porrà fine all’apartheid in Palestina, il conflitto non avrà mai fine e Hamas avrà il suo miglior alleato nel Likud

Guerra Israele-Hamas

Guerra tra Israele e Hamas. © Palestinian News & Information Agency (Wafa) / APAimages / Wikimedia Commons

La condizione dei palestinesi in Palestina. Sulla stampa occidentale non si parla della situazione nei territori occupati. Le ingiustizie, i soprusi, le discriminazioni e le uccisioni che restano impunite. L’odio verso Israele nasce da queste ingiustizie. Finché non si porrà fine all’apartheid, il conflitto non avrà mai fine e Hamas avrà il suo miglior alleato nel Likud.

L’attacco terroristico di Hamas

L’attacco del 7 ottobre scorso compiuto dai terroristi di Hamas contro Israele è inedito per ampiezza, portata, coordinamento e danni causati, soprattutto in termini di perdite di vite umane. Era dalla guerra del 1973 che non si verificava un’offensiva simile. Un attacco che ha sorpreso il Mossad e l’Esercito Israeliano.

Allo stato attuale non possiamo prevedere cosa accadrà. Stiamo assistendo a un vero genocidio di civili inermi a Gaza, con già 12.000 morti di cui 5.000 bambini. Una risposta che sa più di vendetta scriteriata che di difesa. Le razioni delle diplomazie internazionali si dividono tra chi appoggia Israele, anche se con molti distinguo, perfino da parte degli Usa, nel mondo occidentale e chi invece – come Egitto, Russia, Paesi del Golfo – predica calma, prudenza e invita ad evitare escalation. L’ombra di un allargamento del conflitto pesa sui destini del mondo.

Le ragioni dell’odio sono antiche ma gli eventi le alimentano

Probabilmente le ragioni che hanno provocato l’attacco sono legate al tentativo di normalizzazione dei rapporti tra Israele ed alcuni paesi arabi, Arabia Saudita in testa. Non è interesse di Hamas e nemmeno della destra israeliana giungere a una pace concordata. Entrambe vorrebbero l’eliminazione dell’altro. Questo non succederà e non può succedere. Israele ha diritto ad esistere così come il popolo palestinese ha diritto ad uno Stato indipendente, nei suoi territori.

Tuttavia bisogna fare i conti con decenni di discriminazioni, di bombardamenti quotidiani, di ghettizzazioni nella Striscia di Gaza, di vessazioni in Cisgiordania, di colonie imposte nonostante siano state dichiarate illegali dalle Nazioni Unite, di embarghi, povertà, fame, mancanza di scuole, di elettricità, di cibo, di ospedali e di medicine. Vorrei poter documentare con riferimenti e citazioni precise queste ingiustizie, perché finché ci saranno non terminerà l’odio tra i due popoli e non ci sarà speranza per una pace duratura, che è l’unica cosa che servirebbe ad entrambe.

L’apartheid in Sud Africa no e quello in Cisgiordania e Gaza sì?

Se era condannabile l’apartheid in Sudafrica perché le democrazie occidentali tollerano vi sia invece in Cisgiordania e a Gaza? Su Lifegate.it del 9 ottobre 2023 si sottolinea come non siano nati due stati per due popoli in Palestina come ipotizzavano gli Accordi di Oslo siglati da Yasser Arafat per l’Olp e Yitzhak Rabin, primo ministro israeliano, sotto l’egida di Bill Clinton, presidente degli Usa nel 1993. Oggi c’è solo lo stato d’ Israele e una popolazione sottoposta a leggi e a regole differenziate, a tribunali differenziati. Il che definisce in tutto e per tutto una situazione, appunto, di apartheid. E finché non si affronta questa realtà, è impossibile immaginare un cambiamento, una riconciliazione, un compromesso, una pace.

La comunità internazionale deve ammettere con la stessa fermezza con la quale, giustamente, condanna le uccisioni di innocenti da parte di Hamas, che una nazione che crea, ammette e perpetua ciò che accade nella Striscia di Gaza non può essere considerata compiutamente democratica. Per lo meno, “è una democrazia agonizzante”, come afferma il giornalista franco-israeliano Charles Enderlin, uno dei massimi esperti del conflitto, sul campo dai tempi della guerra dello Yom Kippur del 1973.

I palestinesi sono trattati come inferiori nel loro stesso territorio

Il 1° febbraio 2022 Amnesty International chiede al Tribunale penale internazionale di includere il crimine di apartheid nella sua indagine riguardante i territori palestinesi occupati e a tutti gli stati di esercitare la giurisdizione universale per portare di fronte alla giustizia i responsabili del crimine di apartheid.

Il nostro rapporto rivela la reale dimensione del regime di apartheid di Israele. Che vivano a Gaza, a Gerusalemme Est, a Hebron o in Israele, i palestinesi sono trattati come un gruppo razziale inferiore e sono sistematicamente privati dei loro diritti. Abbiamo riscontrato che le crudeli politiche delle autorità israeliane di segregazione, spossessamento ed esclusione in tutti i territori sotto il loro controllo costituiscono chiaramente apartheid. La comunità internazionale ha l’obbligo di agire”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.

Occupano territori palestinesi, cacciano gli abitanti e ci mettono famiglie israeliane

Nei territori palestinesi occupati, continua l’espansione degli insediamenti israeliani, iniziata nel 1967. Oggi gli insediamenti coprono il 10 per cento delle terre della Cisgiordania. Tra il 1967 e il 2017 circa il 38 per cento delle terre palestinesi di Gerusalemme Est è stato espropriato.

I quartieri palestinesi di Gerusalemme Est sono spesso presi di mira da organizzazioni di coloni che, col pieno appoggio del governo israeliano, agiscono per sfollare le famiglie palestinesi e annettere le loro case. Uno di questi quartieri, Sheikh Jarrah, è al centro di frequenti proteste dal maggio 2021: le famiglie che vi risiedono cercano di difendere le loro case dalle minacce degli esposti di sgombero presentati dai coloni.

Dalla metà degli anni Novanta le autorità israeliane hanno imposto sempre più stringenti limitazioni al movimento dei palestinesi nei loro territori occupati. Un reticolato di checkpoint militari, posti di blocco, barriere e altre strutture controlla il loro movimento e limita i loro spostamenti in Israele o all’estero.

Una barriera di 700 chilometri, che Israele sta ancora ampliando, ha isolato all’interno di “zone militari” le comunità palestinesi che, per entrare e uscire dalle loro abitazioni devono ottenere più permessi speciali. A Gaza oltre due milioni di palestinesi vivono in una crisi umanitaria creata dal blocco israeliano. È quasi impossibile per i gazani viaggiare all’estero o nel resto dei territori palestinesi occupati: di fatto, sono segregati dal resto del mondo.

Hebron: dove coloni e militari attaccano e uccidono la popolazione palestinese

Da Ilmanifesto.it del 19 novembre 2023, si legge che la vita a Hebron è in costante pericolo: “Coloni e soldati arrivano di notte e distruggono tutto” si legge in un articolo a firma Filippo Zingone.Sono passati 33 giorni dall’attacco dI Hamas del 7 ottobre, a Gaza le centinaia di bombardamenti giornalieri non smettono e vanno di pari passo al numero di uccisi, per la maggior parte civili inermi, che ha superato la mastodontica cifra di 10 mila. Ma nella Cisgiordania occupata le cose non vanno meglio. In 33 giorni sono stati uccisi più di 160 palestinesi e arrestati più di 2mila.

Violenze e soprusi allarmano l’Onu. La violenza non è dei soli militari ma anche, e forse soprattutto, degli stessi coloni. Armati, riforniti, vestiti e scortati dall’esercito, a tal punto che la popolazione palestinese non riesce più a distinguerli dai militari, i coloni si muovono come squadracce: minacciano, picchiano, bruciano, distruggono e uccidono.

L’ONU: una situazione allarmante e urgente

Venerdì scorso la portavoce dell’Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni unite (Ohchr), Elizabeth Throssell, ha dichiarato: “La situazione nella Cisgiordania occupata, inclusa Gerusalemme est, è allarmante e urgente, in mezzo alle crescenti e molteplici violazioni dei diritti umani dei palestinesi. Throsell ha poi aggiunto che “la violenza dei coloni, che era già a livelli record, è aumentata drammaticamente, con una media di sette attacchi al giorno”.

Nel sud della Cisgiordania la maggior parte dei villaggi sono piccoli agglomerati di pastori e coltivatori, e già alcuni di questi sono stati lasciati dalla popolazione che ha deciso di fuggire, spaventata dalle minacce di morte e dagli attacchi sempre più sanguinosi di coloni ed esercito. “Intere comunità sono state costrette ad abbandonare le loro terre a causa di questa violenza”, ha detto la portavoce dell’Ohchr. A oggi sono più di mille i palestinesi che hanno abbandonato le proprie case.

Una troupe de “Le Iene” ha documentato la situazione di degrado

Hebron si trova in Cisgiordania, un territorio palestinese tra Israele e Giordania, a circa 30 chilometri a sud di Gerusalemme. Hebron è la città più popolosa di questa regione e da decenni è il simbolo della vicinanza forzata tra due popoli quello arabo e quello israeliano. Le recinzioni di filo spinato, i blocchi di cemento e i muri, tutto serve per tenere separate le due parti perché l’incontro tra i due popoli genera scontri e violenza. Prima dell’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre scorso, una troupe de Le Iene (Mediaset) è andata a documentare come si vive in una città divisa in due blocchi separati casa per casa, strada per strada e cosa accade quando è necessario attraversare il confine. 

A Hebron si vive con la paura e l’odio anche da prima del 7 ottobre. Un cittadino palestinese mostra una porta murata: “L’esercito israeliano ha blindato questa porta perché dall’altra parte vive una famiglia israeliana“, mostrando come la separazione sia arrivata all’interno della sua stessa casa. “Hanno sfregiato il volto di mia figlia con una bottiglia“, continua l’uomo che racconta cosa può accadere quando ti opponi alla prepotenza.

Duecento ebrei da una parte e 200mila palestinesi dall’altra

Ad Hebron si sono zone destinate alla livera circolazione degli arabi ma vietate agli israeliani e viceversa. Nella zona H1 vivono 200mila arabi palestinesi, mentre nella H2 vivono 700 ebrei israeliani. Il giornalista Marco Maisano (Le Iene) racconta: “Ai palestinesi dopo gli accordi di divisione è permesso andare in alcune zone controllate dagli israeliani. Ma a questi ultimi, invece, non è permesso in nessun caso uscire dal loro quartiere sorvegliato h24 dai militari”.  La troupe televisiva deve passare da un settore all’altro. Deve superare dei tornelli controllati dai militari. Arriva in una stanza destinata al controllo dei documenti da parte dei soldati posizionati dietro un vetro antiproiettile.

Poi è necessario passare al metal detector, e solo dopo aver superato l’ultimo tornello sarà possibile approdare sul territorio israeliano. Questa modalità è quello che devono fare i cittadini arabi di Hebron, per uscire e per rientrare a casa dal lavoro quando devono attraversare una strada controllata dagli israeliani. Ma non è l’unica divisione della città. A volta le stesse case, i palazzi, sono divisi verticalmente. Giù di sotto ci sono gli arabi – spiega il giornalista mentre sopra ci sono gli israeliani. C’è una rete metallica che divide i piani delle case. Questo sempre per evitare che gli incontri sfocino in violenza”.

È chiaro che questa situazione non può che creare violenze e odio senza soluzione di continuità.