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Diagnosi precoce del tumore della mammella. Ci sarà un prezzo alto da pagare dopo il Covid

Lo screening per il tumore della mammella non è mai stato uguale per tutte e con il Covid la mortalità crescerà, soprattutto al Sud

Tumore mammella, medico

Medico

Pandemia e diagnosi precoce del tumore della mammella. Ci sarà un prezzo alto da pagare con il Covid e dopo il Covid. Il costo da pagare sarà più alto per il Sud. Lo screening non è mai stato uguale per tutte e con il Covid la mortalità crescerà soprattutto al Sud.

Il tumore della mammella colpisce ogni anno 53.500 donne

Oggi in Italia il tumore della mammella colpisce ogni anno 53.500 donne. Attualmente grazie alla mammografia e all’ecografia il 70 per cento viene diagnosticato inferiore a 2 centimetri e la curabilità è di oltre il 90 per cento. Il tumore al seno in Italia guarisce quasi nel 90 per cento dei casi a 5 anni. Ma la diagnosi precoce è diseguale e questi risultati riguardano il Centro Nord ma non il Sud. Pur rientrando tra le prestazioni inserite nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), con l’arrivo del Covid-19 gli screening oncologici non sono stati considerati procedure d’urgenza. Screening e interventi rinviati, e tanta disuguaglianza nella diagnosi precoce del tumore al seno.

Visite, esami di controllo e interventi chirurgici rinviati

Visite, esami di controllo e interventi chirurgici rinviati, a data da destinarsi. Sedute di chemio e radioterapia posticipate. L’emergenza sanitaria affrontata durante la prima ondata pandemica oggi si sta ripetendo in modo più virulento con le patologie oncologiche ( 180.000 morti per anno). A questo si aggiunge la paura da parte di donne, e pazienti in generale, di accedere alle strutture sanitarie per il rischio contagio. Tutti questi fattori hanno inferto un duro colpo alla diagnosi precoce già precaria al Sud. Se diagnosticato in tempo il tumore al seno è guaribile.

Secondo una stima condotta da Senonetwork, l’associazione che coinvolge la rete di centri senologici specializzati in Italia, durante il primo trimestre del 2020 sono state chiuse quasi l’80 per cento delle radiologie di tutti i centri diagnostici e c’è stata una importante riduzione delle terapie chirurgiche. È stato stimato un ritardo diagnostico di almeno il 20 per cento nei tumori alla mammella. Screening e interventi rinviati, ma anche paura del contagio, per i ritardi diagnostici negli anni a venire la mortalità crescerà.

Gli screening bloccati o nel migliore dei casi rallentati avevano ripreso ma adesso?

Ma gli screening sono rivolti ad asintomatici che potrebbero avere un tumore e invece per chi è sintomatica quel nodulo al seno avvertito con l’autopalpazione diventerà via via più grande in attesa di poter fare gli esami che confermeranno chissà quando la diagnosi di tumore.
Nei primi 5 mesi del 2020, in Italia, sono stati eseguiti circa un milione e quattrocentomila esami di screening in meno rispetto allo stesso periodo del 2019. Ritardi che si traducono in una netta riduzione non solo delle nuove diagnosi di tumore della mammella (2.099 in meno).

Le neoplasie non aspetteranno la fine del Covid, non sono certo scomparse, ma saranno individuate in fase più avanzata e questo significa che ci saranno minori probabilità di guarigione e costi maggiori. Nel Regno Unito è stato stimato che il ritardo diagnostico causato dalla interruzione e dal rallentamento dei servizi sanitari possa essere la causa di aumento della mortalità (rispetto al periodo pre Covid-19) nei prossimi 5 anni fino al 9,6% per i tumori della mammella.

Cosa succederà in Italia a causa dei ritardi nelle cura e prevenzione delle neoplasie?

In Italia se i ritardi supereranno più di un anno la mortalità crescerà con lo stesso ritmo. A partire dall’8 marzo, gli appuntamenti erano saltati: prima nelle Regioni del Nord e poi nel resto d’Italia. Confrontando il numero di esami effettuati tra gennaio e maggio del 2019 con gli stessi condotti nel 2020, gli esperti dell’Osservatorio Nazionale Screening hanno quantificato un saldo negativo di oltre 1.4 milioni di esami di screening per tumori alla mammella, colon e utero, senza i quali potrebbero essere disconosciuti e non diagnosticati oltre 2.099 casi di tumore al seno, quasi 1.700 alla cervice uterina e poco più di 600 cancri del colon-retto.

Nel nostro Paese, nel 2019, sono stati stimati 371mila nuovi casi di tumore e il costo dei farmaci antitumorali è in costante crescita. In cinque anni la spesa per le terapie è passata da 3,9 a circa 6 miliardi di euro. I farmaci antitumorali rappresentano la prima categoria terapeutica a maggior spesa pubblica per il 2019 (26% della spesa). Ma la sanità è un diritto e non un privilegio, la salute sarà sempre più diseguale.

Lo smantellamento del Ssn è iniziato nel 92/93 con la trasformazione delle Usl in Asl condotte da manager e commissari spesso incompetenti. Con obiettivo principale, non di fornire servizi di qualità, ma di contenere la spesa sanitaria per arrivare alla parità di bilancio. Con l’aziendalizzazione sono ritornate al centro della sanità le prestazioni differenziate e scompaiono prevenzione, riabilitazione e uguaglianza solidaristica.

Il diritto alla salute viene sempre meno

Ne discende lo svuotamento del diritto alla salute. La salute dipendente e vincolata alle risorse economiche ha significato alcune principali conseguenze:
1.L’economia dètta i livelli di compatibilità della spesa sanitaria e degli investimenti in salute;

  1. I servizi sanitari sono diventati sempre più oggetto di business, fonte di profitto, preda dell’intermediazione finanziaria e assicurativa.
  2. La salute è diseguale, i ticket e l’attività privatistica alimentata dalle lunghe liste d’attesa aumentano la migrazione sanitaria e il numero di chi ha perso l’assistenza medica.
  3. Progressivo decadimento di quantità e qualità dei livelli essenziali di assistenza.
  4. Migrazione sanitaria e turismo sanitario.

La salute al sud e particolarmente in Calabria

Sono 300 i milioni ogni anno versati dalla regione Calabria alle regioni del Nord. La Calabria commissariata è la regione a più alta migrazione sanitaria per patologia mammaria con la minore adesione allo screening mammografico insieme alla Campania. Interessi economici, il regionalismo sanitario non solidale e ragioni di carattere culturale e sociale spingono all’eccessivo consumo di prestazioni sanitarie fuori regione, dilatando oltre misura le attese delle donne, più di quanto il sistema sanitario sia poi in grado di soddisfarle a causa del ritardo diagnostico.

Nel Sud e in Calabria si registra un aumento di mortalità per carcinoma della mammella sopra il 2 per cento. Lo screening mammografico è assai meno radicato restando in sostanza critico. In Italia il tasso di adesione allo screening mammografico è mediamente alto e in linea con gli standard europei. Il numero di donne invitate a prenderne parte cresce ogni anno e la percentuale di adesione spontanea e organizzata (con programmi regionali mirati) supera il 70%. Tuttavia, nel Sud l’attivazione dei programmi è più recente e significativamente più incompleta rispetto al resto del Paese.

Le regioni più svantaggiate tra quelle del Meridione sono la Campania e la Calabria, con un tasso di copertura dei programmi di screening rispettivamente del 21% e del 29% (attorno al 50% se si contano anche le adesioni spontanee). L’accesso ai servizi di screening mammografico è diseguale e con il Covid il cancro sarà la nuova pandemia in particolare per il Sud.

Dott. Raffaele Leuzzi.

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