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Ddl Varchi sull’apologia mafiosa: nel mirino anche serie tv e contenuti social, bufera sul nuovo reato

La proposta di legge Varchi introduce il 416-bis.2: carcere e multa per chi esalta metodi mafiosi. D’Amore ironizza: “Ci arrestano”

Gomorra, le origini su Sky

La politica entra a gamba tesa nel dibattito su cinema, televisione e piattaforme digitali: la proposta di legge presentata alla Camera dalla deputata di Fratelli d’Italia Maria Carolina Varchi punta a rendere penalmente perseguibile l’esaltazione della criminalità organizzata di stampo mafioso, estendendo l’area dell’apologia e dell’istigazione anche a messaggi e narrazioni veicolate da prodotti culturali e contenuti online. Il tema è esploso nelle stesse ore in cui, a margine della presentazione di “Gomorra – Le Origini”, Marco D’Amore (Ciro l’immortale nella serie tv), ha commentato con ironia amara: “Dovranno allargare parecchio le patrie galere…”.

Ddl Varchi sull’apologia mafiosa: cosa prevede il nuovo articolo 416-bis.2

Il cuore del testo è l’introduzione dell’articolo 416-bis.2 del codice penale, collocato dopo il 416-bis.1. La formulazione prevede la reclusione da sei mesi a tre anni e una multa da 1.000 a 10.000 euro per chi “pubblicamente esalta” fatti, metodi, princìpi o comportamenti riconducibili ad associazioni mafiose (o a componenti condannati per 416-bis), oppure ne ripropone atti e condotte con “inequivocabile intento apologetico”, o ancora istiga qualcuno a commettere quei delitti. Il testo inserisce anche un aggravamento di pena (da un terzo alla metà) se il fatto è commesso “con il mezzo della stampa” o mediante strumenti telematici o informatici.

Nella relazione introduttiva, la proposta richiama esempi che vanno dagli “inchini” durante processioni ai funerali celebrati in pompa magna, fino ai messaggi pubblicati sulle piattaforme digitali e alla produzione e diffusione di serie televisive che “mitizzano” figure mafiose, citando anche episodi e mode social legate a boss noti. È la cornice che, nelle intenzioni della prima firmataria, giustifica un nuovo reato autonomo: oggi, sostiene il testo, indignazione pubblica e condanna mediatica restano spesso le uniche risposte.

Ddl Varchi sull’apologia mafiosa: l’effetto sul mondo dell’audiovisivo e il caso “Gomorra – Le Origini”

La miccia è diventata incendio per via del tempismo: “Gomorra – Le Origini”, prequel della saga Sky Original, arriva dal 9 gennaio 2026 su Sky (con visione in streaming su NOW), e riporta al centro una delle narrazioni italiane più discusse sul rapporto fra racconto e criminalità. Nella scheda ufficiale, Sky sottolinea che la serie racconta la giovinezza di Pietro Savastano e indica D’Amore regista dei primi quattro episodi, supervisore artistico e co-sceneggiatore.

Durante la conferenza stampa, l’attore e regista campano ha scelto la provocazione per segnalare il rischio di un clima punitivo verso chi rappresenta la realtà: la sua battuta sul “farci arrestare in parecchi” ha fatto il giro delle agenzie, agganciando un nervo scoperto che non riguarda solo una serie, ma l’intero comparto creativo, dai set ai social, fino alla musica.

Ddl Varchi sull’apologia mafiosa: motivazioni politiche, critiche e nodo libertà di espressione

Dal punto di vista politico, l’obiettivo dichiarato è colpire la glorificazione del “metodo mafioso” e l’emulazione che, secondo i proponenti, attecchisce soprattutto sul web e fra i più giovani. La norma, infatti, non si limita a punire l’istigazione diretta: include anche la riproposizione di atti o comportamenti con intento celebrativo, e per di più alza l’asticella sanzionatoria quando il messaggio passa da stampa o canali digitali, cioè proprio dove oggi si forma gran parte dell’immaginario collettivo.

Sul fronte opposto, le prime reazioni pubbliche hanno parlato di rischio “censura” e di confine troppo mobile fra denuncia e celebrazione, con il timore che la minaccia penale finisca per colpire anche opere che raccontano la mafia per criticarla o per descriverne gli effetti. In questo solco si inseriscono le prese di posizione rimbalzate sui media, con l’accusa che la norma possa diventare un’arma di pressione culturale più che uno strumento di contrasto al crimine.

Ora la palla passa al Parlamento: il tema non è solo “cosa” punire, ma “come” farlo senza trasformare una norma antimafia in un terreno scivoloso, dove l’interpretazione dell’intento apologetico diventa decisiva. Ed è qui che il confronto si annuncia acceso: perché la mafia si combatte anche sul piano simbolico, ma la linea che separa racconto, critica e fascinazione, nell’era degli algoritmi e dei video brevi, è tutto fuorché semplice.