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Daniele De Rossi, Dono di Roma: l’ultima volta di una bandiera

Il ventisei maggio è entrato di diritto tra le date che i tifosi della Roma non potranno dimenticare mai

Il ventisei maggio è entrato di diritto tra le date che i tifosi della Roma non potranno dimenticare mai e che metteranno nella loro camera dei ricordi da custodire gelosamente.

La sfida contro il Parma ha visto calare il sipario sull’altalenante stagione dei capitolini, sulla seconda era Ranieri e, particolarmente, sull’incredibile, unica e probabilmente irripetibile avventura di Daniele De Rossi con la maglia giallorossa. Dopo 18 anni di amore, De Rossi lascia il suo stadio, ha salutato il suo pubblico, i suoi compagni, la sua Roma, consegnando la fascia di capitano che fu di Francesco Totti ad un altro romano e romanista doc come Alessandro Florenzi e raccogliendo il lungo applauso di un popolo che, seppur con qualche periodo, breve ma intenso di crisi, lo ha amato in maniera viscerale e l’ha eletto suo idolo e rappresentante indiscusso.

Dopo l’addio di Totti e con quello di De Rossi, possiamo dire che si chiude definitivamente un’epoca per la Roma: quella dello scudetto, dei successi con la famiglia Sensi e dei nuovi traguardi con la gestione Pallotta. Era sceso in campo per la prima volta nel 2001, Daniele De Rossi, in quella portentosa Roma di Fabio Capello fresca vincitrice di scudetto. Era stato già aggregato alla prima squadra nell’anno del tricolore, senza mai scendere in campo ma Capello, da uomo di calcio, ne aveva già fiutato le non comune doti di centrocampista tuttofare: tecnico, dinamico, grintoso e soprattutto multi-ruolo. Si vedeva già da lontano che De Rossi avrebbe fatto la carriera che poi ha fatto, scegliendo, come Totti, l’amore della sua gente a facili successi e vittorie scontate.

Tra gli “eterni secondi” De Rossi è probabilmente il più importante: per otto volte ha sfiorato, con la Roma, il successo tricolore ma per otto volte è arrivato secondo, prima alle spalle dell’Inter, poi della Juve schiacciasassi nell’ultimo decennio (o quasi, n.d.r). La lista sarebbe lunga, a dimostrazione che una ciliegina sulla torta non è garanzia di essere un vincente. Diego Milito, ad esempio, ha realizzato 86 gol nella sua militanza in Serie A, è stato indiscutibile protagonista del Triplete nerazzurro, ma non ha mai vinto la classifica capocannonieri. Nelson Dida, portiere di uno dei Milan più forti dell’ultimo cinquantennio, ha vinto in rossonero tutto quel che c’era da vincere pur non essendo mai il portiere meno battuto del campionato. Daniele De Rossi è stato un vincente, e da tale sarà ricordato. Perdente mai, mai e poi mai. E al mancato successo massimo con la Roma è seguito un trionfo al Mondiale del 2006 che l’ha consacrato tra i migliori centrocampisti al mondo.

Negli anni, dicevamo, l’hanno cercato in parecchi: il Chelsea avrebbe fatto follie per averlo, e con Lampard avrebbe formato un duo probabilmente senza eguali. Al Liverpool, con Gerrard, sarebbe stata poesia. Al Real Madrid basta immaginarlo. Però lui ha scelto Roma e Roma ha scelto lui. Una scelta che l’ha premiato, a maggior ragione dopo le immagini che ieri sera giungevano dall’Olimpico. Un inno al calcio, ai suoi valori, quelli veri, all’essenza di uno sport che troppo spesso, negli ultimi tempi, sceglie la strada dei soldi e degli introiti a discapito dei tifosi. De Rossi non l’ha mai fatto, ha scelto il popolo, la città, la tifoseria. Ha rifiutato il triplo dei soldi, ha abbracciato il mito, poi la leggenda, infine è diventato storia.

È un addio, il suo, che fa male. Ancor di più se il ben servito è arrivato dalla società con cui il Daniele giocatore e uomo non ha mai opposto resistenza. Leader silenzioso e silente, capitano e leader nel bene e nel male. Ha sempre parlato poco ma bene e coi modi giusti, un comunicatore in campo e fuori, un professionista vero. Il tempo ci dirà quanto Daniele De Rossi mancherà al calcio italiano e alla Roma, che l’ha forse liquidato troppo presto. Avrebbe potuto dare ancora il suo contributo, forse di più, in campo e al di fuori. Dono del calcio italiano, Dono Di Roma, come titolava giustamente il Corriere dello Sport. Una delle ultime bandiere ed esponente di un calcio che non c’è più.

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