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Crollo ponte ad Aulla: ricordo la voce grossa della politica dopo Ponte Morandi

Avevano fatto la voce grossa, pugni sul tavolo, si era cercato di dare una stretta al controllo delle infrastrutture in dubbio di stabilità

Mentre pare che la curva del corona-virus si appiattisca e con la Pasqua di resurrezione qualcuno vorrebbe già il tana libera tutti, in Italia è crollato un altro viadotto, ad Aulla, nei pressi di Massa Carrara, 330 metri di lunghezza. Un solo ferito, miracolato vero, e questa volta, al virus che da settimane costringe gli Italiani a casa, dobbiamo dire grazie, altrimenti, coi ritmi di frequentazione abituali, sarebbe stata l’ennesima strage, ad aggiungersi a quella ormai quotidiana, a tre zeri, narrata in conferenza stampa dalla Protezione Civile: morti su morti a cui forse non stiamo quasi più facendo caso.

Dopo i fatti tragici di Genova, 43 morti per il Ponte Morandi dello scorso anno, la politica aveva fatto la voce grossa, pugni sul tavolo, si era cercato di dare una stretta al controllo delle infrastrutture in dubbio di stabilità in giro per l’Italia. Agire, per cambiare. Slogan. Tanto rumore per nulla. Blah, blah, blah. Morale, altro tempo perso, come tentare di svuotare il mare con un secchiello. Solo alcuni mesi fa infatti, era stata l’ANAS a rassicurare il Comune toscano, “Non ci sono criticità per la funzionalità statica del ponte ad Aulla. No. Non servono limitazioni.

Evidentemente non sono bastate queste affermazioni rassicuranti, la sopraelevata tra Toscana e Liguria, quatta quatta, se n’è scesa giu’ ieri franando ritmicamente su ogni pilone, boom, boom, boom, a mo’ di domino, come l’improbabile costruzione di un’autostrada, realizzata pero’ da un bimbo sulla sabbia, con la sua piccola paletta.

Siamo in emergenza in questo nostro meraviglioso, maltrattato, umiliato Paese, che tutti amano perdutamente ma a cui nessuno vuol tendere più una mano. Allarmi, ritardi, urgenze su tutto. Sanità, trasporto… Ciò che regna sovrana è l’evidenza che tra in-competenze, in-capacità, in-esperienza della politica, altro che lockdown corona-virus, tra poco non avremo più voglia nemmeno di uscire a far fare la pipì al cane.

A meno che, preda delle scosse di un terremoto, ci alzeremo dal letto di una casa dove naturalmente avremo costruito senza sottostare alle minime regole per la tutela fisica del territorio: a quel punto saremo costretti a scendere in strada, e ci ritroveremo tra polvere, detriti e fazzoletti bianchi per respirare, solo due istanti dopo per intonare tutti insieme Fratelli d’Italia, il tricolori per gioire, orgogliosi di essere Italiani.

Ma che significa poi oggi essere Italiani?

Pare che qualche ora dopo il crollo di ieri, la nostra magistratura abbia deciso di sequestrare altri viadotti sparsi qua e là sul territorio. E dunque pronti via, fino alla prossima commissione d’inchiesta, che molto probabilmente si concluderà tra un decennio, se va bene, o con accuse prescritte o senza fissare alcuna responsabilità.

L’Italia s’è cinta la testa, con l’elmo di Scipio, (per non rompersela) ma ci certo, l’Italia non s’è ancora desta, la testa.

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