Roma, caso Stefano Cucchi: corteo e urla davanti la caserma
Urlano “Assassini” davanti a una caserma dei Carabinieri dopo la sentenza sul caso Cucchi
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Un corteo per rivendicare “il diritto ad una giusta sentenza per il processo sulla morte di Stefano”, ma anche un modo per esprimere la rabbia al grido di “assassini” davanti a un caserma dei carabinieri. Con questo spirito alcune centinaia di persone hanno partecipato ieri pomeriggio a Roma a un corteo a sostegno dei familiari di Stefano Cucchi – il geometra romano, arrestato per droga e morto una settimana dopo all’ospedale Sandro Pertini – in seguito alla sentenza di condanna per i sei medici dell’ospedale e l’assoluzione dei tre agenti penitenziari e tre infermieri.
I manifestanti, tra i quali amici di Stefano ed esponenti di movimenti e centri sociali, sono partiti da via Laparelli, nel quartiere periferico di Tor Pignattara in prossimità dell’abitazione della famiglia Cucchi. Al presidio iniziale hanno partecipato anche la sorella di Stefano, Ilaria e altri parenti che hanno ringraziato i partecipanti di aver organizzato l’iniziativa. Il corteo si è poi concluso al Parco degli Acquedotti, davanti a un murales che ricorda Stefano Cucchi e qui sono state fatte salire in cielo alcune mini mongolfiere. Per tutta la durata della manifestazione, in cui sono stati fatti esplodere petardi e intonati slogan, le forze dell’ordine, seppure a distanza, hanno scortato i partecipanti.
Secondo la sentenza emessa lo 5 giugno dai giudici della III Corte d’Assise di Roma Stefano Cucchi non fu pestato nelle celle di sicurezza del tribunale di Roma, ma morì in ospedale a causa di un errore dei medici. Dopo quasi otto ore di camera di consiglio la Corte ha condannato solo i medici ma non per il grave reato di abbandono d’incapace, bensì per omicidio colposo. E tutto ciò ha fatto ridurre in maniera considerevole la pena inflitta, compresa entro i due anni di reclusione.
In particolare, due anni sono stati inflitti al primario del Reparto detenuti del “Pertini”, Aldo Fierro, e un anno e quattro mesi ciascuno per i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo. Mentre Rosita Caponetti è stata condannata a 8 mesi di reclusione per il solo reato di falso ideologico. Il resto è stata tutta una sentenza assolutoria: ampia, piena per gli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe; e per insufficienza di prove per gli agenti della Penitenziaria Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici.