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Caso licenziamenti Gkn: quando la politica s’inchina all’economia

Mentre un gruppo di lavoratori della Gkn si muove per rivendicare dignità e sicurezza economica, i partiti continuano le loro liti

mario draghi

Il Premier Mario Draghi

La lotta dei lavoratori di Campi Bisenzio contro una multinazionale

Campi Bisenzio, comune industriale della città metropolitana di Firenze, lunedì mattina 20 settembre. Arriva la notizia dell’attesa sentenza del tribunale del Lavoro di Firenze, che decreta il blocco dei 422 licenziamenti decisi dalla Gkn per violazione dell’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori. Si riconosce cioè che la direzione aziendale ha leso i diritti dei lavoratori e dei loro sindacati, tenendoli all’oscuro dei propri piani di riorganizzazione del lavoro.

Di fatto, agli inizi di giugno la direzione aveva informato il sindacato dell’ipotesi di una riduzione che prevedeva forse al massimo 30 esuberi. Non aveva però detto che, proprio nel successivo CdA (Consiglio di Amministrazione), svoltosi l’8 luglio, sarebbe stata poi decisa la chiusura della fabbrica.

Il giorno successivo tutti i dipendenti hanno ricevuto una mail che li informava del loro avvenuto licenziamento, in maniera del tutto irrituale.

Da quel momento i lavoratori sono scesi in lotta, presidiando l’ingresso della fabbrica, instaurando contatti con i colleghi di altre fabbriche e informando la cittadinanza, sino allo svolgimento della grande manifestazione svoltasi a Firenze sabato scorso, 18 settembre.

Fin da subito hanno negato, insieme alle rappresentanze sindacali tradizionali e ad un autonomo Collettivo di Fabbrica, lo stato di crisi accampato dalla Direzione come giustificazione dei licenziamenti e la conseguente decisione di delocalizzare l’azienda.

Quindi, quali erano le motivazioni dietro la decisione?

Occorre ricordare che la fabbrica era stata costruita anni prima dalla Fiat, che poi l’aveva venduta alla società britannica Mellrose Industruies, proprietaria di tante industrie nel settore manifatturiero.

Essendo un fondo di investimenti speculativo, essa acquista, sviluppa o spoglia e vende aziende in continuazione, seguendo costantemente gli indici della borsa di Londra, dove le sue azioni sono quotate. Volendo dare uno sguardo all’andamento dell’FTSE (Financial Times Stock Exchange), vediamo che il titolo Mellrose era caduto a -3,05% il 19 agosto, per poi risalire il 1° settembre a +2,15% ed infine a +4,55% il 23 settembre.

Quindi, se la caduta di agosto avrebbe potuto giustificare la chiusura o cessione di aziende, il rialzo successivo dovrebbe incentivarne lo sviluppo. Almeno da un punto di vista di logica elementare, che certamente non è quello delle multinazionali. Ma ci proviamo lo stesso.

La Globalizzazione finanziaria domina la vita degli individui

La Globalizzazione, come tutti sanno, si è attuata con la massima libertà di scambi a livello planetario con accordi tra le multinazionali dell’Occidente e grandi società dei Paesi emergenti, favoriti o almeno non ostacolati dagli Stati. E’ stata promossa la libera circolazione di merci e lavoratori, eliminando le frontiere della dogana e della cittadinanza, adottando anche una moneta unica per noi nell’Unione Europea.

L’incremento dei beni disponibili e del loro scambio sempre più rapido ha permesso alla finanza di prevalere sull’economia cosiddetta reale, anzi di soggiogarla; ciò che ha innescato crisi come quella del 2008, dove il valore monetario falsato non corrispondeva più al prodotto, lo superava.

Da qui, probabilmente, deriva l’esigenza affermata da tutti: economisti, industriali, politici, della necessità di far ripartire e ricrescere l’economia.

Soltanto aumentando il PIL, ci dicono, si possono migliorare le condizioni di vita per tutti.

Per favorire la crescita, è necessario eliminare gli ostacoli che la frenano: quindi, fare alcune riforme per il credito e gli investimenti e per il mercato del lavoro.

Per quest’ultimo occorre, affermano, renderlo meno oneroso e più flessibile.

Meno oneroso, cioè contributi sociali e tasse a carico dello stato e del lavoratore stesso; altrimenti, l’azienda dichiara fallimento oppure delocalizza in Polonia o in Albania, dove la manodopera costa meno.

Più flessibile, cioè: eliminare del tutto i contratti nazionali per categorie omogenee, in vece dei quali dare facoltà (potere) alla singola azienda di stabilire contratti ad essa più consoni, tenendo conto delle caratteristiche economico-sociali del territorio. Contratti che saranno perennemente a tempo determinato e diversificati in base al ruolo del lavoratore; anzi, il massimo liberale sarebbe il contratto individuale tra il datore di lavoro e il prestatore d’opera (!).

Rivendicazione dei lavoratori Gkn. Decreto antidelocalizzazione

Tornando ai lavoratori della Gkn, per difendere il loro posto di lavoro, questi non soltanto vogliono che il nostro Governo intervenga sedendo al tavola della trattativa, ma premono pure perché esso vari un decreto apposito contro le delocalizzazioni.

Questo sarebbe un decreto di interesse generale; dal mese di agosto c’è una bozza di esso che resta giacente al Mise, Ministero dello Sviluppo Economico, diretto da Giorgetti.

Appena discussa, ha subito suscitato critiche e contrapposizioni.

La bozza prevedeva come prima cosa l’invito all’azienda che dichiarasse lo stato di crisi a discuterne con il ministero stesso. Qualora procedesse autonomamente a chiudere o delocalizzare e avesse ricevuto contributi pubblici negli anni precedenti, dovrebbe pagare una multa del 2% sul proprio fatturato. Inoltre, verrebbe inclusa in una Black List di aziende che non potrebbero più ricevere finanziamenti dallo stato per i successivi 3 anni.

Il presidente di Confindustria, Bonomi, ha subito bollato la legge come punitiva per le aziende.

Il titolare del Mise, il leghista Giorgetti che cura gli interessi degli imprenditori del Nord, ha subito frenato il provvedimento, ritenendolo troppo oneroso (!) per le aziende. In seno al governo, il M5S non lo ritiene “prioritario”, contraddicendo tutte le affermazioni precedenti sull’onestà e sulla giustizia. Il PD glissa sull’argomento, preferendo per bocca del suo segretario parlare di ius soli e liberalizzazione della cannabis. Soltanto Conte, che insieme al viceministro del Mise Alessandra Todde ha fatto visita per solidarietà ai lavoratori di Campi Bisenzio, dichiara la necessità del provvedimento.

Subordinazione esplicita della Politica all’Economia

Chissà cosa ne pensa l’imperscrutabile Super Mario? Proprio nell’ampio discorso tenuto all’Assemblea di Confindustria, il presidente Draghi ha dichiarato che il governo prevede per l’anno prossimo una crescita del 6%.

Quindi, l’impegno a non aumentare le tasse e quello di eliminare gli oneri di sistema su luce e gas per l’ultimo trimestre dell’anno.

Infine, ha auspicato un grande Patto per l’Italia tra imprenditori, sindacato e politica, dal quale nessuno “può tirarsi fuori”, poiché da questo dipenderà la ripresa del Paese.

Come abbiamo visto nei Tg, la platea ha interrotto il suo discorso con una standing ovation.

Il presidente Carlo Bonomi ha espresso l’apprezzamento di Confindustria per Draghi, augurandosi che continui il più a lungo possibile nel suo lavoro, cioè resti a Palazzo Chigi; inoltre, ha lanciato un monito ai partiti della maggioranza perché siano più coesi e “non mettano in atto manovre diversive” per l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica.

Potrebbe darsi una dimostrazione più lampante dell’Economia che comanda la Politica? Nella vecchia vituperata Repubblica lo faceva dietro le quinte. Oggi spudoratamente alla luce del sole. Super Mario è il suo leader.

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