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Califano, Butinar: “Meritava di più, la musica non all’altezza delle sue parole”

Gianfranco Butinar ricorda Franco Califano: “Non è un Paese meritocratico. Ricordo le battaglie di Fiorello, si sono aiutati a vicenda”

Franco Califano e Gianfranco Butinar

Franco Califano e Gianfranco Butinar

Parole, musica e versi consegnati indiscutibilmente alla memoria della musica contemporanea italiana. Condotta sregolata e licenziosa, sempre sopra le righe di un pentagramma eccentrico, vistoso, anticonformista. Dieci anni fa ci salutava Franco Califano, uno tra gli artisti più discussi del panorama nostrano.

32 album e mille opere che fanno del Califfo uno degli artisti che maggiormente è riuscito a consegnare la propria intima interiorità nelle mani del pubblico. Minuetto, Un tempo piccolo, Tutto il resto è noia. Tantissime altre. Una vita trascorsa descrivendo storie, creando componimenti per artisti immensi. Mia Martini, Ornella Vanoni, Bruno Martino. E ancora Mina, Patty Pravo, Ricchi e poveri.

Un artista fragile, troppo spesso giudicato, che se ne andava il 30 marzo 2013 nella sua villa di Acilia, a causa di un arresto cardiaco.

Abbiamo intervistato Gianfranco Butinar, imitatore attore e comico italiano, che ha trascorso diversi anni accanto al Maestro, per tracciarne un ricordo.

Perché è stato un poeta, un artista, un musicista amato dalla gente?

“E’ stato anche amato poco per quello che ha scritto. Dire che Califano è un poeta è come dire che in montagna c’è la neve, nel mare c’è l’acqua o che ora siamo in primavera. Cose banali che rischiano di essere talmente ovvie e scontate che si perdono. Andrebbe ricordato tutti i giorni, insegnato a scuola. Ha scritto la colonna sonora della vita di ciascuno di noi. Lo ha fatto meglio degli altri col concetto di sintesi che altri definiti grandi mai sono riusciti ad avere. Un insieme di cose. La sua storia di uomo-artista rimarrà eterna, è stato uno che nel bene e nel male ha fatto sempre parlare di sé. La sua storia sarà sempre giovane, sarà ricordato nel corso degli anni”.

Il Maestro utilizzava la parola in modo molto particolare, si fa ricordare per questo…

“La utilizzava in maniera perfetta. Aveva proprio la quartina e strofa perfette. Era attento a tutti i piccoli particolari. Impazziva se ascoltava Giorgia, che apprezzava molto per la voce. Ma ‘andava al manicomio’ se sentiva “Come saprei amarti io..nessuno sàprebbe mai…”. L’accento era spostato e lui notava queste piccolezze. Detestava gli improvvisati. Diceva che l’arte è razzista: se sei da 6 non puoi fare l’artista, che dev’essere da 9 in su”.

Cosa penserebbe secondo te del modo di fare musica oggi?

“Lui è stato sempre moderno. Cinquant’anni fa è stato il precursore di tutto. Parlava di liposuzione, di travestiti. All’epoca erano storielle, poi sono diventati monologhi. Questo è un paese strano, ora sono diventati addirittura sonetti. Lui diceva che è meglio ricevere una medaglia da vivo che l’intitolazione di una piazza da morto. Le cose che vediamo oggi con musica scadente lui le faceva negli anni ottanta. Catenine, bracciali, storie di belle donne, belle macchine. E’ stato trapper prima di molti artisti di oggi. Essendo però anche un poeta”.

Prima mi diceva che pensa si sarebbe dovuto celebrare di più. C’era qualcosa che faceva soffrire il Maestro Califano in relazione a questo?

“Sì. Ma la ricompensa non esiste in questo Paese. Lui soffriva i grandi paesi che nutrivano grande rispetto per i propri artisti. Diceva sempre che sarebbe voluto nascere in Francia. Così sarebbe stato più apprezzato. Era uno che per gli 80 anni di Frank Sinatra vide in prima fila uno dei cantanti più grandi di tutti i tempi. Ma vide in prima fila anche Bruce Springsteen, Elton John e tanti altri. Si chiedeva sempre perché qui ci si inventa le meteore che durano come il tempo di una cicala. In questo Paese c’è una ricerca della gioventù, ma è imposta. Giovani che, all’inizio sembrano delle star, ma poi finiscono nel dimenticatoio”.

Ci sono tanti aneddoti che potrebbe ricordare. Ma qual è quello a cui è più affezionato?

“22 anni insieme sono tanti. Era meraviglioso soprattutto quando trascorrevi tante ore in auto, durante i viaggi. Una volta mentre ascoltavamo la radio mi dice: “Sto cazzo de Minghi… si sente pure sotto le gallerie. Ha una fortuna!”. Gli spiegavo però che era la buonissima ricezione della stazione che trasmetteva la canzone. Ma lui insisteva: “Allora perché a me non mi si sente mai?”. In effetti ricordo anche quando ai piani alti non era voluto. Ricordo le battaglie di Fiorello, nelle quali si sono dati una mano a vicenda ai tempi di Stasera pago io.

Si percepisce molto la sua amarezz
a. C’è qualche sassolino dalla scarpa che vorrebbe togliersi?

“Io ho solo un cruccio. Io sono stato amico e confidente di Califano, mi riteneva un fratello minore. Posso quindi permettermi di dire che i suoi testi sono stati incredibili, ma musicalmente, dal punto di vista dell’arrangiamento, le musiche non sono state all’altezza della parte scritta. Tranne poche eccezioni, gli arrangiamenti e le musiche non sono stati alti e sublimi, come le sue poesie. Questo mi dispiace molto. Perché le sue canzoni sarebbero state ancor più apprezzate“.