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BlackRock: è in arrivo una crisi nuova, molto più profonda di quella del 2008

Scrivono gli strateghi di BlackRock sulla nuova crisi imminente: “Ciò che ha funzionato in passato, non funzionerà più adesso…”

Banconote in euro e carte di credito

L’escalation dei tassi innescata dalla FED e dalla BCE sta portando il mondo occidentale verso il collasso economico-finanziario, dimostrando come la politica monetaria di stampo liberista non abbia alcun effetto positivo sull’economia.

Qualche giorno fa, gli analisti di BlackRock hanno sentenziato lo scoppio imminente di una grande crisi come non ce n’è mai stata. Sarà una crisi nuova, molto più profonda e graffiante di quella del 2008. Oggi, infatti, il tasso di indebitamento globale rispetto al PIL planetario è giunto alle soglie del 350%. Le politiche poste in essere dalle banche centrali 14 anni fa, oggi non funzionano più.

Oggi si investe in titoli sempre più rischiosi

La crisi odierna è il frutto di politiche monetarie sconsiderate. In questi ultimi anni sono stati creati dal nulla miliardi e miliardi di dollari e di euro, aumentando la mole del debito mondiale. Si pensava di salvare le banche in sofferenza, ma il diluvio di liquidità non ha fatto altro che rendere ancora più critico lo stato di salute della finanza internazionale, spingendo gli istituti di credito (e non) a investire in titoli sempre più rischiosi. Ci ritroviamo con migliaia di miliardi di dollari di debito senza alcun sottostante.

Qualche giorno fa, nel suo ultimo rapporto trimestrale, la Banca per i Regolamenti Internazionali (BRI o BIS) – ovvero la banca centrale delle banche centrali – ha dichiarato che “I fondi pensione e altre società finanziarie non bancarie hanno più di 80.000 miliardi di dollari di debito in dollari nascosto e fuori bilancio in swap FX”. Molti dei titoli in circolazione sono stati emessi per coprire buchi di miliardi che a loro volta pesano sul portafoglio titoli di molte banche, le quali hanno investito usando i risparmi dei loro clienti.

Rischio fallimento per le banche

L’aumento dei tassi di interesse, riducendo il valore di mercato dei titoli detenuti, espone molte banche all’imminente rischio di fallimento. Sul lato economico, gli alti tassi non fanno altro che aumentare la crisi economica, rallentando il mercato immobiliare e disincentivando gli investimenti, già depressi dal calo della domanda a causa delle politiche deflazioniste degli ultimi anni, dai lockdown e dalla crisi energetica.

Scrivono gli strateghi di BlackRock:

La recessione si preannuncia come una corsa delle banche centrali per cercare di domare l’inflazione. È l’opposto delle recessioni passate … In questo nuovo regime, i banchieri centrali non verranno in soccorso quando la crescita rallenterà, contrariamente a quanto gli investitori si aspettano. Le valutazioni azionarie non riflettono ancora il danno che ci aspetta … Ciò che ha funzionato in passato non funzionerà più adesso … Il mercato azionario non ha ancora preso in considerazione l’entità potenziale dell’imminente recessione economica.

Secondo Morgan StanleyBank of America e Deutsche Bank, nel 2023, la recessione economica potrebbe far crollare le azioni statunitensi di oltre il 20%. La recessione di cui parla BlackRock, in realtà, perlomeno in Europa, si è già cristallizzata in stagflazione, cioè, la compresenza di inflazione e stagnazione economica. Che le banche centrali non siano all’altezza di salvare il sistema finanziario è ormai chiaro da tempo. La Bank of England aveva già dato qualche segnale settimane fa, quando fu costretta a riacquistare i propri titoli, dopo la caduta della sterlina.

Politica monetaria restrittiva

Anche la FED non potrà continuare a lungo con la sua politica monetaria restrittiva. Il rialzo dei tassi a colpi di 0,75% dovrà fermarsi davanti alla caduta del prodotto interno lordo e alla crescita del rapporto debito/Pil, che, superata una certa soglia critica, potrebbe innescare la caduta dei Treasuries (titoli del debito pubblico americano) e, quindi, la necessità da parte della FED di riacquistare i titoli emessi per sostenere la valuta americana (politica monetaria espansiva).

L’apprezzamento del Dollaro, paradossalmente, sta contribuendo alla crescita dell’inflazione mondiale. Dal momento che molti beni si scambiano ancora in Dollari, l’apprezzamento della valuta di riserva mondiale ha comportato un aumento dei costi dei beni in termini di valute nazionali. Molti Stati, come alcuni Paesi dell’ Africa, ad esempio, si ritrovano ad importare beni di prima necessità a prezzi maggiori, proprio a causa dell’apprezzamento del Dollaro.

Lo stesso vale per l’Euro. L’escalation dei tassi innescata dalla FED e dalla BCE stanno portando il mondo occidentale verso il collasso economico-finanziario, dimostrando come la politica monetaria di stampo liberista non abbia alcun effetto positivo sull’economia. Il rialzo dei tassi alimenta l’inflazione e la crisi.

Inflazione inarrestabile e lo shock da offerta

Le banche centrali non riusciranno a calmierare l’inflazione, che è – ricordiamo – un’inflazione da costi e, soprattutto, da profitti, e non da domanda. Abbiamo a che fare con quello che in economia è chiamato shock (negativo) da offerta, ovvero, quando la curva dei costi trasla verso l’alto a parità del volume di produzione. L’aumento del costo delle materie prime (gas e petrolio) causato dalla crisi ucraina (sanzioni alla Russia, distruzione del Nord Stream, divieto d’importazione del gas russo a buon mercato, etc) e dai profitti sul gas perseguiti da alcuni enti per l’energia, hanno innalzato i costi di produzione delle aziende europee, rendendole meno competitive rispetto a quelle statunitensi, le quali beneficeranno anche di aiuti di Stato.

Per contrastare la crisi economica è necessario rendere meno costosi i processi produttivi, riducendo (o azzerando) le imposte aziendali, le accise sui carburanti, oltre ad una diminuzione dei tassi di interesse. Sì, perché il tasso di interesse è un costo che l’azienda trasla sul prezzo finale, per cui nel lungo periodo alti tassi alimentano l’inflazione. L’unico modo efficace per contrastare l’inflazione rimane la politica fiscale, che in Europa, però, le rigide (e irragionevoli) regole di Maastricht hanno ingessato. Dato che siamo in stagflazione, si ritiene che l’unico modo per uscire dalla crisi sia agire dalla parte dell’offerta, mediante una politica fiscale espansiva in tal senso. Ma questo prevede che ogni governo si riappropri della propria sovranità monetaria. Ragion per cui gli Stati dell’UE saranno quelli più colpiti dalla crisi, che costituirà per l’Euro la prova del fuoco.

Undici anni fa, John H. Cochrane, top economist della Scuola di Chicago, vedeva già i nodi al pettine, delineando per l’Eurozona tre diversi scenari: 1) una unione monetaria con unione fiscale (cioè, gli Stati Uniti d’Europa sull’esempio degli USA); 2) una unione monetaria senza unione fiscale, in cui «gli Stati devono poter fallire come le aziende e le banche, compresa la banca centrale, devono trattare il debito sovrano come se fosse il debito di un’azienda»; 3) il crack dell’Euro, in presenza di crisi e inflazione. Le opzioni 1 e 2 sono sfumate. La crisi e l’inflazione, eccole.

Armando Savini