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Beppe Grillo ne tira fuori un’altra: togliere il voto ai cittadini anziani

Niente costumi di scena alla Joker ma un post sul suo storico blog. Con un contenuto che però non è meno inquietante, ammettendo che lo si voglia prendere sul serio

Inarrestabile Grillo. Manco è passata una settimana dai vaneggiamenti sul fatto che lui è il Caos e che il Caos è il non plus ultra della democrazia, ed ecco pronta una nuova e colossale sciocchezza. O se preferite, come si usa dire garbatamente in questi casi, una ennesima “provocazione”.

Il punto di partenza è un breve estratto pescato in un articolo che risale a quasi cinquanta anni fa. Un pezzo che apparve nel 1970 sulla rivista americana New Republic e che era firmato da Douglas J. Stewart: “Ci sono semplicemente troppi elettori anziani e il loro numero sta crescendo. Il voto non dovrebbe essere un privilegio perpetuo, ma una partecipazione al continuo destino della comunità politica, sia nei suoi benefici che nei suoi rischi.”

Fissata questa premessa, ecco che inizia il ‘ragionamento’: “In un mondo sempre più anziano, esperti, studiosi e politici propongono di abbassare l’età del voto (così come proposi anni fa), ma cosa dovrebbero fare le democrazie quando gli interessi degli anziani sembrano essere in contrasto con gli interessi delle giovani generazioni?”.

La risposta, in sintesi, è quella già adombrata dalla citazione iniziale: togliere il diritto di voto a chi abbia raggiunto una certa età, che non viene specificata ma che, sembra di capire, dovrebbe essere di 65 anni. Secondo Grillo, infatti, quegli elettori ormai vecchiotti “saranno meno preoccupati del futuro sociale, politico ed economico, rispetto alle generazioni più giovani, e molto meno propensi a sopportare le conseguenze a lungo termine delle decisioni politiche”.

Ergo, si smette di farli votare e si lascia che a decidere siano gli altri. Sedicenni compresi, non appena sarà possibile. E quattordicenni compresi pure loro, se la soglia verrà ulteriormente abbassata come lo stesso Grillo si augura già da tempo.

Scontro generazionale: una truffa

Dov’è il punto debole? In parte lo abbiamo già spiegato il primo ottobre scorso , scrivendo che dietro questo genere di iniziative c’è uno schema capzioso e basato su un falso presupposto: “il nemico dei giovani sono gli anziani”. Lo stesso schema che viene usato ripetutamente, da un po’ di anni in qua, riguardo al lavoro e alle pensioni. E che tende a far credere che la disoccupazione e la precarietà dipendano dall’egoismo e dalla cattiveria delle generazioni precedenti, anziché dal modello economico globalista e dalle connivenze del sistema politico che lo sostiene.

Adottare come chiave interpretativa lo scontro generazionale serve, appunto, a semplificare il quadro delle forze in campo. Rimuovendo dalla scena, e quindi cancellando dal novero dei possibili imputati, proprio quelle oligarchie che sono le vere responsabili di quanto è accaduto e continua ad accadere. Quelle oligarchie, di matrice sovrannazionale, che stanno al di sopra sia dei giovani sia degli anziani e che, oggi come ieri, sfruttano i popoli nel loro insieme per lucrare profitti e consolidarsi ulteriormente.

L’offensiva di queste oligarchie è cominciata sul finire degli anni Settanta con l’avvento di Margaret Thatcher in Inghilterra e di Ronald Reagan negli USA, e tra i suoi bersagli fondamentali ci sono i diritti dei lavoratori e i sistemi di welfare.

Grillo non può non saperlo, non foss’altro perché conosce benissimo Massimo Fini (autore di libri imperdibili come, tra gli altri, “La ragione aveva torto?”, “Sudditi” e “Denaro, sterco del demonio”). Assecondare la tesi dello scontro generazionale non punta affatto a immettere nell’agone politico delle intelligenze autonome e impazienti di cambiare le regole del gioco: esattamente al contrario, mira a farvi irrompere masse di individui cresciuti – più ancora di chi li ha preceduti – nella frammentarietà di Internet e nell’illusione che chiunque sia in grado di dire la sua su qualsiasi argomento.

Come se il voto fosse un like.

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