Avere il busto di Benito Mussolini a casa è un reato?
Possedere o esporre un busto di Mussolini in Italia è reato? Facciamo chiarezza normativa, contesto storico e prassi reale

Busto Benito Mussolini di Adolfo Wildt
Negli ultimi anni si è alzato il dibattito su un tema che fino a poco tempo fa pareva confinato agli scaffali dei mercatini: possedere un busto, un gadget o un’immagine di Benito Mussolini a casa. Non si tratta solo di curiosità storica: la questione tocca la normativa sul fascismo, il commercio di memorabilia, la memoria sociale. Ma in concreto: è illecito tenere, vendere o esporre un busto del Duce? E come cambia la situazione se quell’oggetto viene acquistato anni fa o è parte di un’eredità? In questo articolo, analizzeremo punto per punto la disciplina giuridica italiana, le interpretazioni della giurisprudenza, il “mercato” dei cimeli fascisti e cosa significa oggi ritrovarsi in casa un oggetto del genere.
Il quadro normativo sull’“apologia del fascismo”
Alla domanda «avere un busto di Mussolini è reato?» bisogna innanzitutto rispondere che non esiste una norma che vieta automaticamente il possesso di tale oggetto per sé. La legge centrale è la cosiddetta Legge Scelba – legge 20 giugno 1952, n. 645, che all’articolo 4 vieta chiunque “pubblicamente esalti esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo” oppure faccia propaganda per la ricostituzione del disciolto partito fascista.
L’articolo 5 della stessa legge punisce chi in pubbliche riunioni compia “manifestazioni usuali del disciolto partito fascista o di organizzazioni naziste”.
La giurisprudenza e dottrina hanno evidenziato che, per essere configurato reato, non basta esporre simboli o oggetti fascisti: deve esserci uno scopo concreto di ricostituzione del partito o una manifestazione che favorisca tale intento. Ad esempio la Corte Costituzionale ha chiarito che «l’apologia del fascismo… deve consistere non in una semplice difesa elogiativa, ma in una esaltazione tale da poter condurre alla riorganizzazione del partito fascista».
Pertanto, il possesso di un busto di Mussolini non è automaticamente punito dalla legge Scelba, salvo che sia inserito in un contesto che riveli finalità di propaganda o riconnessione al regime fascista.
Cosa dicono le fonti sull’oggetto “busto del Duce”
Sul piano pratico – e culturale – il fenomeno esiste da decenni: nei mercatini, in certi negozi di memorabilia, nelle bancarelle delle feste dell’unità fino ai primi Anni 2000 circolavano gadget che raffiguravano Mussolini, o che evocavano l’epoca fascista. È confermato che la vendita di tali oggetti si è attenuata, ma non è totalmente scomparsa.
Un interessante articolo giuridico segnala che la vendita o diffusione di “cimeli fascisti” (oggetti, immagini, busti, simboli) è stata più volte oggetto di proposte di modifica legislativa: ad esempio si chiedeva di integrare la legge Scelba con una fattispecie che punisse in modo diretto la “produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli” riferibili al regime fascista.
In sintesi: il busto di Mussolini è parte di un contesto di memorabilia fascista e la sua semplice esistenza nella sfera privata non significa automaticamente reato, ma la situazione può cambiare in presenza di finalità pubbliche o di diffusione.
Quando possedere o esporre un busto può diventare illecito
È utile chiarire i criteri che rendono la fattispecie possibile di reato. I seguenti elementi sono rilevanti:
- Contesto pubblico: se l’oggetto viene esposto in luogo pubblico, utilizzato in comizi, manifestazioni o con intento propagandistico, aumenta la probabilità che si configuri il reato di apologia del fascismo.
- Finalità di propaganda o di ricostituzione del partito fascista: la legge richiede che la manifestazione (esposizione, simbolo, oggetto) sia idonea a generare consensi, adesione a ideali antidemocratici o alla riorganizzazione del partito.
- Diffusione o vendita del bene: la proposta di legge Fiano del 2017 (non approvata) avrebbe punito “anche solo la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli” del fascismo.
- Assenza di mera memoria o collezionismo privato senza esplicito intento propagandistico: la differenza è tra un oggetto che funge da souvenir privato/storico e uno usato in un contesto di esaltazione ideologica.
Un caso esemplare: la massima giurisprudenza italiana con la sentenza n. 18 gennaio 2024 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha ribadito che il gesto del “saluto romano” è reato solo se in una fase concreta il contesto è idoneo a provocare un pericolo di riorganizzazione del partito fascista.
Analogamente, possedere o esporre un busto non è reato automatico, ma può diventarlo se inserito in un contesto che viola la legge.
Perché il dibattito è vivo: memoria, gadget e business del fascismo
Il tema non è puramente giuridico: ha risvolti culturali, storici e sociali. In Italia, durante le ricorrenze del regime fascista o in città-luogo “di pellegrinaggio” come Predappio (tomba di Mussolini) è emerso un mercato di gadget nostalgici: busti, t-shirt, monetine, calendari con il Duce.
Questo mercato è stato contestato più volte da associazioni antifasciste, amministrazioni locali, e gruppi civici: sono state presentate mozioni e risoluzioni affinché la legislazione sanzioni più efficacemente la produzione e la vendita di “oggetti del fascismo”.
Dietro questa richiesta sta la preoccupazione che il commercio di tali oggetti non sia “innocuo”, ma che possa contribuire alla banalizzazione del fascismo o alla sua rimozione critica dal tessuto civile. Allo stesso tempo, le sentenze mostrano come la normativa penale richieda limiti molto precisi: non basta la presenza dell’oggetto, serve che esso sia funzionale ad un fine vietato.
Inoltre, vi è un dato storico: fino ai primi anni 2000, come abbiamo già ricordato, nelle bancarelle delle feste politiche alcuni gadget con l’immagine di Mussolini erano venduti senza che ciò attirasse particolare attenzione mediatica o giudiziaria.
Quali sono i “confini incerti” e cosa può cambiare in futuro
Malgrado la normativa esista, permangono zone di incertezza. Ecco alcuni punti critici:
- La legge Scelba richiede il rischio concreto di riorganizzazione del partito fascista perché il reato si configuri. Questo rende più complessa l’applicazione penale rispetto a un divieto assoluto di simbologia fascista.
- Quanto è “separato” il possesso privato dalla propaganda? Il confine non è sempre chiaro: un busto in casa può diventare elemento di un contesto più ampio.
- Non vi è una legge che vieti automaticamente la vendita o la pubblicizzazione di oggetti con simboli fascisti: pur esistendo proposte, queste non sono state integralmente approvate.
- Le ordinanze comunali possono intervenire per arginare la vendita sul territorio, ma ciò non crea una norma penale nazionale uniforme.
- L’evoluzione giurisprudenziale: come accennato, la Cassazione ha recentemente chiarito che il reato si configura solo in presenza di “pericolo concreto”. Ciò apre alla discussione se la semplice esposizione di un busto rientri in questo.
