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Animali domestici sono famiglia. Permesso retribuito per la salute del cane e gatto

Anni fa una signora di Monteverde a Roma s’imbatté nella cagnetta. E lì è nata tutta la storia che cambierà, forse, il Codice Civile

Cane al pc tra le braccia della proprietaria

La proposta di legge di modifica del Codice Civile è ferma in Parlamento, ma una sentenza della Cassazione lo ammette. Per cui chiunque può chiedere un permesso di lavoro per caso grave relativo a una malattia del cane o del gatto di casa.

L’animale domestico, sia esso un cane, un gatto o un criceto viene equiparato a un membro della famiglia. In tal caso il dipendente ha diritto a vedersi riconosciuti dei giorni di permesso retribuito in caso di necessità grave per la salute dell’animale o per la sua morte. Se non ottiene questo “diritto” rischia, per la legge italiana, di essere denunciato per abbandono o maltrattamenti verso l’animale di cui si è assunto la responsabilità, con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro.

C’è un vuoto legislativo e una proposta ferma da ottobre 2022

C’è un vuoto legislativo evidente sul permesso retribuito e per questo la Lav (Lega antivivisezione) ha presentato una proposta di legge, che però non è stata ancora approvata e ci stanno lavorando da tempo (2008) affinché lo sia, proponendola alle varie legislature e sollecitandone l’approvazione. Nell’attuale legislatura la proposta di legge suggerita da Lav è stata presentata il 13 ottobre 2022 a firma dell’On. Brambilla e dell’On. Rizzetto ed è stata assegnata alla II Commissione Giustizia in sede Referente il 24 gennaio con il titolo “Modifiche al codice civile e altre disposizioni per la tutela degli animali nonché in materia di animali familiari“.

Sarah vuole piangere la morte del suo cane

In un video, diventato subito virale su vari social, Sarah, una giovane americana afferma di aver chiesto il giorno libero per piangere da sola la perdita del suo cane di 12 anni e il suo capo glielo ha negato e per risposta lei ha lasciato il posto lavoro licenziandosi.  

La ragazza è stata poi intervistata dal Daily Dot, giornale online che tratta di argomenti riguardanti Internet e che ha sede ad Austin, in Texas.  Alla cronista, la ragazza ha confessato di aver lavorato lì per otto mesi ma di non voler rivelare luogo e datore. Ha anche detto di aver scoperto che il suo cane era stato sottoposto ad eutanasia a metà del suo turno ma nonostante ciò sarebbe rimasta al suo posto, seppur scossa e sofferente. Ma alla fine della giornata non ce l’ha fatta ed è crollata.

La signora ha diritto a due giorni di permesso per assistere la sua cagnetta

Una setter leverack di 12 anni, di nome Cucciola, di un’impiegata dell’Università La Sapienza a Roma stava male. Doveva essere operata e la padrona aveva chiesto alla sua amministrazione due giorni di permesso retribuito, per poterla assistere durante l’operazione e nel post operazione, presso uno studio di veterinario. In un primo momento l’amministrazione non ha concesso questo diritto ma grazie al supporto tecnici dei legali della Lav, il datore di lavoro si è convinto e ha fatto marcia indietro.

Cosa avevano da obbiettare i legali dell’associazione animalista? Semplicemente che la signora correva il rischio di essere denunciata per abbandono del suo cane. Il che poi le avrebbe consentito di rivalersi sulla amministrazione del suo istituto.

Il non prestare adeguate cure ad un animale di proprietà integra, infatti, secondo la Giurisprudenza, il reato di maltrattamento degli animali previsto dal Codice penale. Non solo ma vige il reato di abbandono di animale, come previsto dalla prima parte dell’articolo 727 del Codice penale. In questo caso specifico le cure alla cagnetta erano un grave motivo personale e di famiglia, visto che la signora vive da sola e non aveva alternative per il trasporto e la necessaria assistenza al cane. 

Il caso fa giurisprudenza, ovvero crea un precedente

Ora, con le dovute certificazioni medico-veterinarie, chi si troverà nella stessa situazione potrà citare questo importante precedente – ha dichiarato Gianluca Felicetti, presidente Lav, che ha aiutato la signora nella vertenza – un altro significativo passo in avanti che prende atto di come gli animali non tenuti a fini di lucro o di produzione sono a tutti gli effetti componenti della famiglia, è un altro passo avanti verso un’organica riforma del Codice Civile che speriamo il Governo e il Parlamento avranno il coraggio di fare, approvando la nostra proposta di Legge ferma dal 2008”.

La Lav chiede che il Codice riconosca gli animali come esseri senzienti, come fa il Trattato Ue e non come beni mobili: così la legge potrebbe trattarli come membri della famiglia e regolare permessi di lavoro e affidamenti in caso di morte o divorzio.

La sentenza della Corte di Cassazione ha aperto la via

In tempi recenti, lanche a Corte di Cassazione (sentenza n. 15076/2018) ha aperto la via al riconoscimento degli animali tra i possibili destinatari dell’assistenza da prestare usufruendo di un permesso retribuito, proprio partendo dal caso della signora di Monteverde.

Per ottenere il permesso retribuito devono comunque sussistere alcune premesse:

la necessità di curare l’animale è indifferibile, non si può contare su terze persone per assistere il cane e non si hanno alternative per quanto riguarda il trasporto, si è in possesso di un certificato veterinario attestante la malattia e le esigenze di cura. Senza una di queste condizioni il permesso non può essere autorizzato.

E per il permesso in caso di morte dell’animale domestico? Il caso di Sarah avrebbe lo stesso epilogo anche in Italia. L’avvocato Cristiana Cesarato, civilista a Torino e addestratrice cinofila nonché blogger appassionata sta conducendo una battaglia personale su questo argomento. Attualmente la risposta è naturalmente no. In Italia non esiste una legge specifica che regoli il congedo per il lutto di un animale domestico, anche se quella della Lav mi pare che lo contempli. Staremo a vedere.

Entrati in famiglia è difficile non considerarli quasi parenti

Cucciola è entrata in famiglia, l’ha scelta e c’è rimasta, con le sue gioie e i suoi acciacchi. “Nessuno si vuole approfittare dei permessi di lavoro, la Sapienza è molto attenta alla normativa, ho portato certificati che testimoniavano la situazione. Sono contenta del risultato anche per gli altri” ha dichiarato la signora che abita a Monteverde vecchio.

Anni fa s’imbatté nella cagnetta. E lì è nata tutta la storia che cambierà -si spera- il Codice Civile: “E’ una trovatella, ne avevo altri due, me la trovai davanti a Villa Pamphjli, si aggirava in calore e non si faceva avvicinare. Un poliziotto la prese in carico, era anche ferita, si è fatta accudire solo da me. Chiesi aiuto ai vigili ma erano impreparati, non avevano la macchinetta per il microchip anche poco sensibili, nemmeno vollero portarla al canile della Muratella. Lo feci io, non andai al lavoro ma poi non ho avuto il coraggio di lasciarla, dovevano essere tre mesi di affido, poi si sa come va a finire.